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Archives Novembre 2008

Amare è un’arte, da “Wall-E” a “Mamma mia!”

Amare è un’arte, al cinema come nella realtà. Lo sa il buffo robot Wall-E, l’ultimo eroe del nuovo film Pixar (più per adulti che per bambini!) impegnato a ripulire la terra dalla spazzatura. Wall-E è il prototipo del principe azzurro di un futuro lontano, fatto di pezzi meccanici, ma con un’anima capace di far germogliare sentimenti dalla robottina Eve. Amare è un’arte sullo sfondo di una Torino scontornata da una nebbia che ci confonde, come quella dei racconti di Hesse. E’ il dolore di lasciare o essere lasciati a mettere in moto L’uomo che ama di Maria Sole Tognazzi, che scimmiotta troppo il “Saturno Contro” di Ozpetek, nonostante la bravura di PierFrancesco Favino. Amare è un’arte anche se volete avere un relazione a tre, fuori e nello stesso letto. Consultatevi con Woody Allen, sceneggiatore e regista di uno dei peggiori film della sua carriera: Vicky Cristina Barcelona con una Penelope Cruz da souvenir in un bacio saffico o in una scena cult da “vaiassa da cortile”. Amare è un arte nelle fantastica pellicola tratta dal musical Mamma mia! di Phillyda Lloyd con le musiche degli Abba. Qui l’amore si propaga in diverse direzioni e la lezione ce la danno alla fine i due personaggi Donna (Meryl Streep è da Oscar!) e uno dei padri della sposa (Pierce Brosnan). Un rapporto si può recuperare anche nella mezza età. Amare è un’arte al cinema come nella realtà. Al cinema è più semplice, nella realtà è più complicato. Chissà come ci si deve sentire a cinquantanni a ritrovare un amore perso ed avere il coraggio di farlo rientrare nella propria vita dal portone principale. Amare è un’arte comunque vada, nella spavalderia del grande schermo così come nella vigliaccheria della quotidianità.

‘A livella e gli eccessi del 2 novembre

“Ogn’anno, il due novembre, c’é l’usanza per i defunti andare al Cimitero. Ognuno ll’adda fà chesta crianza; ognuno adda tené chistu penziero.” Per chi non li avesse riconosciuti, questi sono i primi versi di ‘A livella, meravigliosa poesia scritta da Antonio De Curtis, in arte Totò. Il Principe del sorriso ci ha donato una suprema riflessione in versi: volendo o non, dinanzi alla morte torniamo ad essere tutti uguali. Per me il 1 e il 2 novembre sono giorni particolari. Nella mia famiglia li dedicavamo ai nostri defunti, non tanto per fare “lo struscio” al cimitero, ma per pensare ai nostri cari che non c’erano più. Nei cimiteri del Sud vivevo quasi un’aria di festa, vedendo fin da piccolo migliaia di persone assiepate ovunque. Peccato però che poi durante l’anno c’era il deserto. Non sono qui per discutere sulla scelta di visitare un defunto al cimitero, piuttosto sulle lotte inutili per acquistare la cappella di famiglia, per avere la lapide più bella o svuotarsi il portafogli a tutti i costi per il sovraccarico di fiori. Questo atteggiamento tra folclore e mania di protagonismo – per non parlare dei titoli ed appellativi che notavo sulle lapidi- mi ha sempre stizzito, anche oggi che vivo lontano da Napoli. De Curtis concludeva così: “Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie… appartenimmo â morte!”. Nel piccolo cimitero della provincia di Napoli, dove sono sepolti i miei nonni paterni, ho osservato anno dopo anno gente che voleva affermare il suo ruolo sociale anche al di là di quel cancello. Alla faccia di quella mentalità feudale e delle famiglie borghesotte e provinciali, io preferisco ancora un petalo di rosa e un crisantemo per ricordare che la morte è una cosa troppo seria. Smettiamola di trasformare il 2 novembre in una farsa carnevalesca!