Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Archives 2008

Edimburgo, l’anima dark della Scozia

Essere qui mi fa sentire a casa, sarà perché in Gran Bretagna vi ho messo piede venti anni fa. Eppure questa Scozia dipinta a suon di cornamuse e folclore, mi ha fatto trovare un’anima dark, estranea ai miei viaggi. Un lato oscuro totalmente sconosciuto: appena si accende la luna, Edimburgo si anima di tour guidati alla ricerca di fantasmi sepolti nell’orrore di una città nascosta. Come per Napoli, qui c’è una città sotterranea dove sopravvivono antiche leggende che incuriosiscono i turisti. Sarà perché Edimburgo ha dato i natali a Stevenson, papà di Dottor Jekyll e Mr. Hide? Infatti, molte vetrine sono piene di allestimenti in stile Halloween perché qui la “Notte delle streghe” è un appuntamento atteso da grandi e piccini. Chi mi conosce sa bene che non sono stato mai “un vampiro”, un amante della notte. Preferisco la luce del giorno. Tuttavia, questi misteri notturni a Edimburgo hanno reso imprevedibile la mia permanenza, facendomi finire poi a chiacchierare con una ciurma di scozzesi in un pub. E la serata è terminata cantando a squarciagola “Hey Jude” dei Beatles. Questo pezzo per loro è come “La canzone del sole” di Battisti per noi. Il lato oscuro di Edimburgo si è trasformato in un leggero bagliore perché tutto sommato anche la notte può travestirsi di luce.

Scuola, caro o maledetto maestro unico?

Non vuole essere uno sdolcinato incipit da libro “Cuore”, ma io sono figlio della generazione che alle Elementari si è formato con la maestra unica. Il mio primo giorno di scuola? Settembre 1979, in cattedra la dolcissima maestra Iole e al mio fianco il compagno di banco Giuseppe. Quei cinque anni al II Circolo Didattico di via dei Mille ad Acerra, ad una manciata di chilometri da Napoli, sono stati davvero idilliaci. Quando “il maestro unico” è stato abolito, io avevo lasciato quei banchi da qualche anno, ma dal punto di vista sentimentale non l’avevo mandata giù! Lungo il percorso mi sono convinto che “il maestro multiplo” avrebbe colmato alcune mie lacune e avrebbe indicizzato la mia conoscenza su diversi fronti. Adesso, per tagliare i costi della “scuola sprecona italiana”, il Ministro Gelmini vuole fare un passo indietro e tornare al maestro unico. Mentre il mondo della scuola protesta (i sindacati hanno appena proclamato uno sciopero generale in data da definire), la Camera dice sì al nuovo decreto legge. Non devono essere né gli alunni né le famiglie a pagare questo scotto, ma i fannulloni. Per ridurre le spese inutili, Mariastella Gelmini dovrebbe puntare il dito contro gli sfaticati della scuola pubblica italiana: gli invalidi fasulli che sono balzati in vetta alle graduatorie; i supplenti che fanno tre giorni di annualità e poi si mettono in maternità; gli assenteisti che usano i certificati medici per fare “i cazzi loro”; o alcuni delle segreterie che si scaccolano il naso per metà giornata. Per fortuna, il corpo docenti come il resto del personale non è tutto così. Giù le mani dalla mia maestra Iole, ma per mio figlio non voglio inciampare nella nostalgia: un solo insegnante è roba da libro Cuore!

Acerra, l’hip hop di Alea denuncia i mali della periferia

Una volta la città di Acerra, in provincia di Napoli, era conosciuta per aver dato i natali a Pulcinella. L’emergenza rifiuti partenopea ha destato l’attenzione dei media e la questione dell’Inceneritore e della diossina la hanno riportata sulle prime pagine dei giornali. C’è chi se ne strafotte della flemma degli amministratori e sceglie la musica per denuciare le emergenze locali: si chiama Alea (all’anagrafe Francesca Russo), la rapper di periferia impavida che si barcamena nell’hip hop per raccontare la realtà che la circonda attraverso la musica. Chi conosce il territorio come me – vi ho vissuto ventinove anni della mia vita – sa bene il significato dei brani Munnezza o Ghetto: “Si vaje dint’ ‘o Congo me pare ‘e stà ‘o Bronx: criature ‘mpustate ca màrchene ‘a boss, na guardata storta e te danno pure ncuollo, dice n’ata parola e te ròmpene l’osse”. Alea non risparmia nessuno e colpisce duro: “P’ ‘a Montefibbre e pò ‘a fabbrica de l’osse: ce manca sulo l’inceneritore e stamm’ apposto! Stammo ‘o Sud, troppi ccose storte: ‘o problemo è ca ce mànchene ‘e solde: guagliune disperate se ne fujene ‘o nord, ma manco stanno bbuono e se ne tornene”. La grinta rabbiosa di Alea ci fa tirare un sospiro di sollievo: la musica può ancora scuotere il nostro senso civico, ripartendo dalla periferia?

Vacanze low cost e fuori stagione

Sono sempre di più gli italiani che scelgono di far vancanza fuori stagione. Si spende meno prima di tutto e non si corre il rischio di essere vittima del caos e della confusione. Le mie vacanze low cost non sono più ad Agosto da un bel pezzo. E’ sicuramente più facile partire in una bella giornata d’estate, e non in un pomeriggio uggioso di Ottobre. I vantaggi sono troppi per rinunciare ad un viaggio in questo periodo. E poi ritrovarsi in una città fuori stagione e sbirciare lo stile di vita è a dir poco emozionante. Ricordo con entusiasmo i miei risvegli di lunedì mattina a San Francisco come a Berlino.  Perché perder tempo? Consultate i siti di compagnie aeree come Ryan Air e Easy Jet per sentirvi padroni dell’Europa. Pagare 60 euro un biglietto di andata e ritorno per Copenaghen o Edimburgo è davvero un bel colpaccio! Per l’alloggio fate un giro su hostelbooking.com ed il gioco è fatto. Fare il turista in Italia è diventata davvero roba da ricchi e in più bisogna stare alla prepotenza degli operatori turistici locali: la Liguria ci fa pagare pure l’aria, per non parlare del mare della Calabria che può costarci caro con un cagotto! Beati quelli che spalancano la finestra sugli altri continenti. Il mio amico Luca, detto “L’americano” (i suoi commenti dagli USA sul mio blog sono diventati leggenda!), adesso è lì che se la gode in giro per l’Australia. E’ vero che viaggiare ha un costo, ma rinunciando a qualche comodità e muovendosi con astuzia, si ha l’occasione di arricchire l’anima.

Trenitalia, sospeso il diveto ai cani di grossa taglia!

E’ vero che non sono un amante degli amici a quattro zampe. Chi mi conosce sa che non sono tipo da smancerie, né nascondo l’imbarazzo di quanto li trovo al mio fianco nel vagone di un treno. Tuttavia, sono contento che Trenitalia abbia revocato il divieto del 1 ottobre: bandire tutti i cani di peso superiore a 6 chili. L’allarme sarebbe avvenuto perché su un treno a lunga percorrenza un viaggiatore è stato visitato da un esercito di zecche. Al di là delle indignazioni degli animalisti, mi chiedo cosa sia stato a far cambiare idea a Trenitalia.  Si sono fatti un esame di coscienza e hanno ammesso che le condizioni igieniche dei treni notturni sono così indegne da poter causare questo e altro? Il cane sarebbe stato soltanto il capro espiatorio per adombrare la sporcizia degli Espressi come il 1920 Trinacria (Palermo-Milano), su cui ho viaggiato qualche estate fa, vergognandomi di essere italiano. La replica del capotreno? “Non si scaldi. Nei paesi dell’Est sono messi peggio di noi”. Trenitalia dovrebbe inviare le sue ditte di pulizia a fare un giro nei treni locali di nazioni come Polonia o Bulgaria. In realtà quelli messi male siamo noi. I nostri amici a quattro zampe tornano a viaggiare al sicuro, ma l’allarme igiene sui treni resta e non può passare inosservato.

Paul Newman, addio agli occhi blu dell’America sincera

I suoi occhi blu hanno avuto il colore di un’America pulita e sincera, il suo sex appeal ha frantumato i cuori femminili di mezzo mondo, la sua presenza attoriale ha bucato il grande schermo consegnando al cinema ruoli memorabili. Paul Newman, scomparso all’età di 83 anni, resta uno dei miti tra realtà e immaginario collettivo, che soltanto il XX secolo ha saputo procreare. Dell’attore dell’Ohio non ci piace ricordare questo o quel personaggio, ma colui che è stato dentro e fuori dal set: semplicemente Paul Newman. La sua prima arrampicata cinematografica è legata agli anni cinquanta, un decennio idilliaco per gli USA. Ed è proprio quella serenità che i suoi occhi hanno trasmesso fino a ieri, lo stato interiore di un americano che voleva vivere una vita tranquilla, senza troppi grattacapi, distaccandosi dagli errori e i traumi dell’America dei decenni successivi. Mia madre è stata una sua grande ammiratrice e me lo ha presentato in un pomeriggio di trenta anni fa: “Vieni qui, che ti presento Paul Newman… quel signore lì”. Alla tv davano “Lassù qualcuno mi ama”: dietro la macchina c’era il grande Robert Wise e Paul con i suoi guantoni dava vita all’incredibile storia di Rocky Graziano. Crescendo, ho imparato ad apprezzarlo in “La gatta sul tetto che scotta”, “Lo spaccone”, “Furia Selvaggia” e “Butch Cassidy”. Da adolescente, l’ho detestato perché “per colpa sua” mi andava sempre male con le ragazze. “Mi spiace, ma non hai gli occhi blu come Paul Newman”, mi dicevano. Ed io quatto quatto me ne andavo con la coda tra le gambe, maledicendo i miei occhi castani! Ahimè, le ragazze a cui facevo il filo non avevano capito che non si trattava solo del colore degli occhi, ma di una verità misteriosa oltre il suo sguardo. Una verità che adesso l’America non rivedrà mai più.

Gomorra, l’Oscar mi rende nervoso!

Ogni anno è una tribolazione per trovare un accordo sul film che rappresenterà l’Italia gli Oscar. E il malcontento rischia di essere all’ordine del giorno per alcune candidature passate, azzardate ed ingiustificate: il Pinocchio di Benigni nel 2003 o La sconosciuta di Tornatore quest’anno. Sarà Gomorra di Matteo Garrone, il film tratto dal libro cult di Roberto Saviano, a restituire all’Italia il 22 gennaio 2009 la speranza di rientrare nella rosa delle nomination per l’ambita statuetta. Tradotto in 33 lingue con quasi 2 milioni di copie vendute, il libro dello scrittore e giornalista partenopeo è una radiografia sconvolgente, in bilico tra saggio e inchiesta, sulle attività criminali della camorra. La trasposizione cinematografica di Garrone è un racconto epico, una tragedia in stile classico che trasforma quei mostri localizzati tra Napoli e la sua degradante periferia in un dramma universale. Non dimentichiamo che la maggior parte degli Americani guarda l’Italia come il Paese di “spaghetti, sole, pizza, mandolino e mafia”. Quel film è un coraggioso atto di denuncia, e non una radiografia pittoresca o folcloristica del morbo cronico di una città e del Sud Italia. L’ambita statuetta – che tutti ci auguriamo – acquisterà un valore culturale e artistico soltanto se rientrerà nei parametri di questa riflessione: il popolo napoletano non ha più bisogno di finire in pasto alle prime pagine dei tabloid di tutto il mondo per autorevoli critiche, compassione o commiserazione. Napoli, oggi più di ieri, ha bisogno di una presenza costante delle istituzioni e del sostegno a persone come Saviano, piccoli grandi eroi dei nostri giorni bui. Se così non fosse, allora vi diciamo: “No grazie, l’Oscar ci rende nervosi”.

Mina, 50 di carriera e 30 anni da “reclusa”

Da ragazzino c’era una vicenda che mi incuriosiva e mi insospettiva allo stesso tempo. Come era possibile che una grande artista musicale, nel pieno del suo successo, avesse deciso all’improvviso di non apparire più in pubblico? Questo mio legittimo interrogativo rispunta nei giorni in cui Mina festeggia 50 anni di carriera. Allora interrogavo l’oracolo in materia di casa mia, mia madre, adesso mi consolo constatando che “la tigre di Cremona”, in 30 anni di “reclusione volontaria”, abbia tirato fuori una discografia di tutto rispetto. Nonostante la crisi del mercato non abbia risparmiato neanche la signora Mazzini, io vi confesserò il mio peccato. Io adoro spassionatamente la Mina “ben stagionata”, non l’agile ugola da Belpaese in bianco e nero di “Le mille bolle blu” o “Brava”, bensì quella più cupa e graffiante di “Tu sarai la mia voce”, “Rose su rose”, “Questione di feeling” o “Il corvo”. Chi più di lei è riuscita a dare un’anima ad un canzoniere così diverso, da Lucio Battisti ad Alex Britti (alla faccia di chi pensa che Mina sia roba da vecchi!), oppure a dar retta ad emeriti sconosciuti (gli Audio 2 devono a lei parte della popolarità). Nonostante tutto, Mina resta ancora “invisibile”, e la leggenda vuole che abbia detto no a grandi come Pavarotti e Sinatra, o respinto un assegno in bianco di Silvio Berlusconi per tornare in tv. Ancora 50 di questi anni, signora Mazzini, perché per tanti lei è una malattia: “chi di Mina ferisce, di Mina patisce”.

Sofia, il lunedì non sono incazzato!

Chi mi conosce sa bene che il lunedì mi sveglio con la luna storta. Come Mafalda, l’eroina a fumetti di Quino, detestava la minestra, io invece provo lo stesso sentimento per il primo giorno della settimana: sono sempre incazzato il lunedì. Per una volta il risveglio è piacevole. Sono a Sofia, la capitale della Bulgaria, che riesce a mettermi di buon umore. Nonostante non sia particolarmente monumentale – fatta eccezione la spettacolare Chiesa di Aleksandr Nevskij   – si respira un’atmosfera piacevole. La maggior parte dei palazzi fatiscenti è popolata da persone ospitali e accoglienti. I bulgari sono come quelli del Sud Italia: semplici e allergici alla lingua inglese. Del codice anglosassone non ne vogliono proprio sapere e così si fa quel che si può per farsi capire. Immaginate un bulgaro e un napoletano assieme. Una coppia da barzelletta. Ognuno parla per conto suo, ma poi è il risultato che conta, riuscire a capirsi! Senza tener conto del disagio per le insegne in cirillico! Nelle strade del centro c’è un formicolio di persone. Gli adulti si assiepano nei centri commerciali, mentre i giovani se ne stanno a chiacchierare nei bistrot. Per quella stupida divisione storica ed ideologica, la mia generazione ha dovuto rinunciare alla scoperta dei paesi dell’Est. Venti anni fa ci affaticavamo per un weekend a Parigi o Londra, ma era impensabile “cazzeggiare” in formula low cost in una capitale dell’Europa orientale. Dovremmo abbattere gli ultimi pregiudizi e recuperare il tempo perduto. Non è mai troppo tardi. E Sofia potrebbe essere un buon pretesto per non essere incazzati il lunedì!

San Gennaro, miracolo “napoletano” a Milano

L'ampolla con il sangue di S. Gennaro

Rosario PipoloIl Miracolo di San Gennaro, patrono di Napoli, è un fenomeno misterioso che ha fatto il giro di tutto il mondo. Gennaro, Vescovo di Benevento, è vittima delle persecuzioni di Docleziano nei confronti dei Cristiani, e muore martire nel IV sec. d.C. Si racconta che nel 432, durante lo spostamento delle reliquie da Pozzuoli a Napoli, una donna abbia consegnato al nuovo vescovo due ampolle con il sangue. Da allora si è verificato il prodigio e puntualmente il 19 settembre il sangue si liquefa dinanzi agli occhi di migliaia di persone. Il Miracolo di San Gennaro resta un evento in bilico tra religiosità e tradizione popolare. Mio nonno Pasquale mi ha raccontato una serie di anedotti, ribadendo: “Rosa’, se volgiamo andare c’avimme sceta’ ‘e 3 da matina!”. Se il miracolo non si verifica entro mezzogiorno, ci saranno sciagure in vista per la città. Infatti, i napoletani sostengono che nel 1980 il ritardo di San Gennaro avrebbe pronosticato il terribile terremoto dell’Irpinia (23 novembre) così come la puntualità annuncia il primo scudetto del Napoli Calcio (1987). Al di là delle dicerie, mi ha suggestionato come il fenomeno abbia contagiato anche il Nord Italia. Ho cosciuto una distinta signora milanese, Gennara, nata il 19 settembre di 56 anni fa. Sua mamma, emiliana, era ricoverata in un ospedale assieme ad una signora partenopea. Per quel parto difficile, la nuova amica le ha raccontato la storia del santo patrono, consigliandole: “Se la bambina nasce sana prima di mezzogiorno, devi ringraziare San Genna’”. Così è stato e, nel giorno del battesimo, quella bimba milanese si è fatta adottare simbolicamente dal popolo napoletano. Allora è vero che un miracolo napoletano può contagiare persino una città diffidente e poco superstiziosa come Milano!