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Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Archives 2009

Arriva il 2010, Buon anno a te!

Quando sta per finire l’anno, mi guardo allo specchio e conto quanti capelli bianchi sono sopraggiunti. Sono ospiti inattesi, ma graditi: a 36 anni meglio essere brizzolato che calvo! Ops, il 2009 si porta via  un altro decennio e ci sono una serie di cose che vorrei portarmi dietro oltre il confine: il gusto della Birra Moretti, edizione speciale per i 150 anni; il viaggio on the road negli USA e le 20 capitali europee dove ho raccolto storie e ho fatto incontri incredibili; il film Le vite degli altri di Florian Henckel von Donnersmarck; i concerti di Keith Jarrett, Rolling Stones, David Gilmour, Bruce Springsteen e AC/DC; il mio trasferimento a Milano e le tante avventure vissute qui; una foto assieme a miei zii Mimmo Palanza e Lilina Bazin; la colonna sonora di Once, album atipico da un film romanticissimo; la rosticceria di Gangi e la cassata del bar Alba a Palermo; l’intervista al drammaturgo Harold Pinter;  l’ultimo sorriso del sognatore polacco Karol Wojtyla; la canzone Non insegnate ai bambini del cantastorie Giorgio Gaber; Persepolis, il diario a fumetti di Marjane Satrapi; gli ultimi versi scarabocchiati da Alda Merini. E le persone speciali incontrate o ritrovate tra il 2000 e il 2009? Eccome se ci sono, si contano sulle dite di una mano, ma quelle preferisco nominarle a bassa voce! Mollo a terra la nostalgia e scappo via con un aforisma intelligente: “Il futuro è un mistero, ma le cose belle devono ancora arrivare”. E queste parole sagge le ritroverò negli occhietti di Alice, la mia nipotina che nascerà nel 2010. Non è  la figlia di mia sorella, ma di mio cugino Andrea. Per me i rapporti di parentela sono una stupida invenzione, perciò conta ciò che si è costruito gomito a gomito, come è successo con Andrea appunto. Quando guarderò Alice nella culla, troverò il futuro di cui parlo. Buon anno anche a te, caro lettore, con cui condivido parte di me!

Il mio Natale, in quella casa del Sud Italia!

Mai come quest’anno mi sono distaccato dal fastidioso tam tam natalizio, dall’affannosa corsa al consumismo che stressa le famiglie italiane. L’unico scambio di doni a cui tenevo, l’ho anticipato la scorsa settimana sotto i primi fiocchi di neve. Ero felice come un bambino perché mi hanno regalato una borsa rossa della collezione Vespa-Piaggio. Per un “vespista” incallito come me, andarse in giro con quella tracolla è uno spasso! E il Natale dov’è finito? Risucchiato dalle vetrine o dagli addobbi natalizi? Mi è tornato in mente un vecchio racconto di Dino Buzzati e mi sono sentito come il protagonista, don Valentino, alla ricerca di una briciola del Natale. Alcune settimane fa sono passato a trovare due amiche di vecchia data, Cinzia e Rosa, nella loro casetta a pochi passi da Napoli. In quel recinto domestico mi sembrava che il tempo si fosse fermato al nostro primo incontro, in quella cucina, in ogni viso di quella famiglia, travolta da un invidiabile spirito di serenità. Il papà e la mamma mi hanno fatto un cenno e siamo andati tutti ad osservare il bel presepe, allestito nel salotto.  C’erano i pastori alti come piacciono a me, una luce fioca, il rumore della cascata. Ci siamo guardati diritti negli occhi e abbiamo condiviso in silenzio quel momento. In quell’attimo di stupore ho ritrovato il Natale, quello fatto di incontri veri, dove il tempo non è tiranno, ma è complice dell’attimo intenso. Siamo capaci ancora di ritrovare a piccole dosi le cose speciali della vita?

Diario da Parigi, in tilt per una spruzzata di neve

Parigi è Parigi, anche sotto la neve. E così una toccata mordi e fuggi per lavoro è stata un’opportunità per godermi dal taxi la Ville lumière in piena atmosfera natalizia. Ho visto meno addobbi e illuminazioni del solito. Sarà mai una campagna di risparmio energico per evitare che i nostri cugini d’oltralpe si facciano le festività a lume di candela? I quotidiani francesi annunciano un possibile black out. Se giovedì scorso pochi centimetri di neve hanno mandato in tilt l’aeroporto Charles De Gaulle, figuriamoci la mancanza totale di elettricità! Chi viaggia mette in agenda i ritardi a causa del maltempo, ma non 6 ore di attesa per l’indecente gestione areoportuale. Poco prima di partire per Milano, non c’erano i bus per portarci all’aereo. Insomma, ho scoperto che, dopo una certa ora, non ci sono più autisti a sufficienza. E le emergenze? Ad un tratto la situazione è diventata surreale con gruppi di passeggeri, sballottati da un gate e all’altro. Mentre mi divertivo a guardare i più furiosi, raccoglievo qualche testimonianza. “Lo so che il mio nome in italiano è davvero buffo”, mi ha sussurrato Salma. Figlia di algerini emigrati trenta anni fa a Rouen (la città di Flaubert e Corneille!), io e questa simpatica studentessa universitaria abbiamo condiviso alcune sequenze della Battaglia di Algeri, il film del compianto Gillo Pontecorvo che osò per primo raccontare questa sanguinosa indipendenza. Abbiamo parlato di immigrazione nei giorni in cui il governo di Sarkozy si interroga sull’identità nazionale! Poi Salma si è dissolta in aereo col suo minuscolo bagaglio, dietro il desiderio di raggiungere al più presto l’Italia per un fine settimana con le amiche bolognesi. Su quell’aereo , in piena notte, eravamo tutti stravolti. Alla mia destra c’era il mio capo che dormiva, con quella stessa serenità che aveva trasmesso a telefono al figlio qualche ora prima. Il desiderio di riabbracciare il suo cucciolo mi ha dato la sensazione di trovarmi in una pallina di neve, il tipico souvenir con cui puoi sempre agitare un ricordo: mi sono rivisto tredici anni fa in un treno notturno che mi portava da Parigi nel Sud della Francia e mia zia Santina sull’uscio della porta lì a rimproverarmi: “Sembri uno zingaro, buttati subito nella vasca da bagno e restaci fino a domani”. I ritardi servono per smuovere i ricordi e farli scivolare su uno spruzzo d’inchiostro: “Cara zia Santina, mi manchi. Parigi è cambiata, ma io sono sempre lo stesso, un vagabondo in giacca e cravatta”.

Aggressione Berlusconi: Internet è in pericolo?

A sentire i chioschi attorno a piazza del Duomo a Milano, pare che la vendita delle cattedrale in miniatura abbia subìto un’impennata. Dopo la disgustosa aggressione al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di domenica scorsa, c’è chi si porta a casa come souvenir una riproduzione dell’ “arma dell’assalto”, quella che ha trasformato l’anonimo Massimo Tartaglia in un personaggio del web. Augurandoci che la triste vicenda non diventi il soggetto di una lunga soap opera mediatica, va fatta una riflessione sul pericolo che corre Internet in Italia. Il Governo sta lavorando ad un ddl sulla rete, per evitare che prendano il sopravvento istigazioni contro la violenza. Si mette un freno così all’ascesa di blog e social network? Apprezziamo lo staff di Facebook per aver oscurato quei gruppi e quelle pagine di cattivo gusto, chiunque fosse stato il soggetto del bersaglio! Tuttavia, questi giorni di tensione – che non sono minimamente paragonabili a quelli degli Anni di Piombo –  non possono ricadere su l’ultima spiaggia di “democrazia” e “libertà” di una comunità globale: Internet. Perché dovremmo pagare tutti  per  le offese di qualche testa calda? Per fortuna sul web ci sono ancora blogger e utenti che manifestano dissenso con decoro, senza infangare o demonizzare nessuno.  L’appello di Pierferdinando Casini è lucido: “Mettere le mani su Internet è pericolosissimo”. In Italia, Internet non ha bisogno né di filtri né di censure, ma siamo noi a dover essere meno arroganti, tutti, senza distinzione.  Un pensiero è volgare o offensivo in qualsiasi modalità:  strillato attraverso un megafono, per mano di un graffitaro sul muro dietro casa nostra, in grassetto nel sottotitolo di un quotidiano  o sceneggiato in un salotto televisivo. E Internet non può essere il capro espiatorio! 

Piazza Fontana, quel lunedì dopo di 40 anni fa

Passando ieri in tram per piazza Fontana a Milano, non ho pensato al giorno della strage, ma a quel lunedì dopo. Di quel venerdì 12 dicembre 1979 ricordo solo il mio televisore in bianco e nero che vomitava immagini e parole. Eppure il lunedì dopo, al mio ritorno a scuola, mi è rimasto impresso il volto spaurito delle maestre. Milano era distante da Napoli, ma quella tempesta terroristica arrivò fino da noi, che vivevamo l’incubo delle stragi metropolitane della Nuova Camorra Organizzata. Il capitolo relativo a questa “strage di Stato” resta il più buio e il più zozzo nella storia del nostro Paese. I soliti bla bla bla e cerimonie commemorative non risollevano i parenti delle vittime, che morirono per colpa di quell’ordigno piazzato di fronte alla Banca dell’Agricoltura di Milano. Quanti di noi avvertono un senso di vergogna e di oltraggio al senso civico, dopo una sentenza che non condanna nessuno e getta gli scheletri nell’armadio? La grande beffa è scritta alla fine della nostra triste storia negli anni della “strategia della tensione”: i parenti delle vittime sono condannati “per legge” al pagamento delle spese processuali. E’ stato scritto troppo su piazza Fontana e sono legittimi le contestazioni e i fischi che hanno animato la cerimonia commemorativa.  Questo lunedì dovremmo invitare tutti gli insegnanti a parlarne ai nostri ragazzi. La “mia scuola”, nei primi anni novanta, mi negò un confronto su questo evento contemporaneo, per non rinunciare a quelle noiose ore di greco e latino, in nome del rigido copione che mortifica “il pensiero” e “redime” il nozionismo. I miei professori non sono stati all’altezza di misurarsi con i misfatti della storia!

Napoli, la storica pizzeria Triunfo divorata dai cinesi!

Un altro trauma dopo il mio recente ritorno a Napoli. Avevo voglia di una pizza accartocciata e così mi sono diretto da Triunfo nella Duchesca. Stranamente non sentivo il solito profumo. Al posto della storica pizzeria dietro al vecchio Tribunale di Napoli, sono spuntati una coppia di cinesi che vendevano la solita accozaglia. Credevo di aver sbagliato vicolo! E’ stato un signore del quartiere a confermarmi che la saracinesca di Triunfo si era abbassata per sempre. Il figlio non ha voluto continuare l’attività del padre e pare che se ne sia andato in Corea dopo aver venduto agli orientali. Pizza o calzone fritto, da Triunfo dovevi fare la coda a qualsiasi ora e faceva gola pure agli animali: una volta c’è mancato poco che un cane azzannasse un pezzo della mia Margherita fumante! Pure chi veniva dalla provincia – che magari di Napoli sapeva ben poco – conosceva quell’angolo, a pochi passi dalla Ferrovia. L’ultima volta che ci sono passato, invece dei soliti operai o muratori con cui condividevo la pausa pranzo, ho parlato di pizza fritta con marocchini e algerini. Segni che i tempi cambiano e che il fenomeno dell’immigrazione porta nuovi risvolti. Questo paradiso gastronomico della Napoli popolare andava salvaguardato. E adesso chi glielo dice alla buonanima del mio bisnonno, Francesco Mautone, che Triunfo non c’è più? Quella pizzeria che ha sfamato più generazioni  della mia famiglia, anche quelli come il nobile ed elegante Francesco che, nella Napoli degli anni ’20, non privava i suoi figli del piacere di “leccarsi le dita” dopo una buona pizza mangiata con le mani!

Napoli, giù le mani dal mercato della Duchesca!

Ogni volta che torno nella mia città, Napoli, trovo qualche triste novità. Il leggendario mercato della Duchesca a piazza Mancini, alle spalle della statua di Garibaldi, è stato rimosso per costruire un parcheggio. Avevo 13 anni, la prima volta che mi sono spinto da solo tra quelle bancarelle. Di nascosto dai miei genitori, si intende. Mi avevano detto che in quel meraviglioso bazar partenopeo avrei potuto trovare a poco prezzo i videogiochi per il mio Commodore 64.  Con i miei risparmi in saccoccia arrivai alla Duchesca ed è lì che scoprii il piacere della “contrattazione”. Il Comune di Napoli cancella un pezzo di storia per combattere l’abusivismo dei venditori ambulanti. In una città che convive con la sindrome  dell’irregolarità, questa risoluzione mi sembra più una presa di posizione da “sceneggiata”. I venditori abusivi ci sono ancora, ai lati delle transenne del cantiere della Duchesca, e quei pochi “regolari” si sono spostati verso Porta Capuana, ma non riescono a ritrovare una giusta collocazione. A Milano il trascloco della storica  Fiera di Sinigaglia a Porta Genova ha decretato la morte lenta di un altro mercato storico. Fatelo pure questo benedetto parcheggio e in fretta! Ridate a Napoli lo storico mercato della Duchesca, mettendo in regola tutti i venditori e restituendo ai napoletani e ai turisti il piacere di tornare a fare shopping con la borsa del “folclore” e la maschera dello “scugnizzo”.

X Factor, Marco vince e Morgan fa l’offeso!

Adesso digitando “Marco” in rete bisogna stare attenti.  Fino all’altra sera pronunciare questo nome significava Marco Carta, il divo di Amici, adesso invece a lui se ne affianca un altro: Marco Mengoni, vincitore della terza edizione di X Factor. Tra i due naturalmente non c’è paragone e Mengoni ha messo in accordo tutti, vista la delusione della passata edizione con il mieloso Matteo Becucci in pole position. Tuttavia, c’è sempre il pericolo che “la sfiga” baci i vincitori. Quelli delle passate edizioni chi se li ricorda più? Sono le grandi escluse come Giusy Ferreri o Noemi a tenere ancora testa. Marco di X Factor ha una carta in più rispetto ai suoi precedessori: il passaggio al Festival di Sanremo. L’Ariston è un’arma a doppio taglio: o la va, o la spacca, perchè ci vuole una canzone che funzioni e anche una piccola “botta di culo”. Quest’anno l’aspetto musicale del talent show di Raidue esce a voto pieno, ma quello televisivo con parecchie carenze. Sì, Claudia Mori aveva le sue competenze ed è riuscita persino ad “addomesticare” Morgan, che fa la parte dell’offeso e vuole andarsane. Parecchi ospiti a X Factor, ma i litigi tra lui, la Mori e la Maionchi mi hanno annoiato, usciti dal solito copione. Morgan dice di essere “stufo”, ma non si è chiesto se anche il pubblico sia stanco di lui? Non gli perdono una gaffe in questa edizione, quella di aver disprezzato la voce di Freddie Mercury. L’ex frontman dei Queen, oltre ad essere  uno dei vocalist più possenti del XX secolo, non era un personaggio “costruito a tavolino”. Forse l’ex Bluvertigo si sente così?

Checco Zalone, superstar in rete e al botteghino!

Ci voleva la canzoncina dedicata alla Daddario e ai suoi incontri “a luci rosa” a far diventare Checco Zalone il più cliccato della rete. Ovunque su Internet non si fa altro che parlare di lui. Adesso il comico barese, figlio irriverente della combriccola di Zelig, è sbarcato al cinema ed ha stravinto al botteghino.  Cado dalle nubi, il film di Luca Medici (questo è il suo nome all’anagrafe), ha incassato lo scorso weekend quasi 3 milioni di euro. Zalone mi è particolarmente simpatico perchè porta in giro il prototipo del “tamarro” (il suo nome d’arte richiama lo slang barese “Che cazzolone”), sotto le vesti del cantante neomelodico da matrimonio. E i neomelodici da “matrimonio” – di cui la mia città, Napoli, abbonda – sono un fenomeno sociale e folcloristico in continua evoluzione,  dappertutto. La stessa sorte tocca pure ai comici che finiscono in pasto ai netturbini, se si fermano al solito clichè o pretendono di campare di rendita col tormentone di turno. E se lo stereotipo te lo impongono gli autori o il pubblico, come è successo tanti anni fa a Lino Banfi? Il compaesano di Checco era un bravo attore di avanspettacolo, ma il pubblico lo ha incoronato il reuccio della commedia sexy all’italiania. Zalone è uno che sa il fatto suo, saprà scacciare la mala sorte, quella che ha travolto la povera “Sconsolata” (Anna Maria Barbera), il cui personaggio oggi sembra roba di altri tempi.

The Wall dei Pink Floyd, 30 anni dopo

Dopo 30 anni dall’uscita, The Wall continua a dividere i fan dei Pink Floyd: c’è chi lo considera un capolavoro, c’è chi lo trova un ripiego commerciale. I primi video di questo doppio concept album li ho visti su Italia 1, nei primi anni ’80, all’interno del programma cult DJ Television, orchestrato da Claudio Cecchetto. Io faccio parte dei primi, quelli che lo considerano un piccolo gioiello, con la consapevolezza che i Pink Floyd si fermano qui. David Gilmour era la musica, Roger Waters l’anima letteraria della band. Ogni volta che riascolto The Wall  in vinile, mi sembra di individuare altri spunti riflessivi. Al di là che il disco sia diventato il simbolo del Muro di Berlino, mi pare che gli assilli di Waters siano ancora molto attuali: alienazione e solitudine. Nonostante i social network stiano cambiando il nostro approccio ai rapporti interpersonali, quei due stati d’animo continuano  a dannare pure la generazione di YouTube, che ascolta musica con la voracità di chi vuole consumare a tutti i costi. La partitura  di The Wall, nonostante sia roba del 1979, sembra musica scritta ieri, pronta a legare le ombre della storia ai paradossi del presente. Qundo da ragazzino ho ascoltato l’album, il giorno dopo non sono stato più lo stesso dietro i banchi di scuola: ribelle al nozionismo, allergico all’imposizione del “precettore” modello. E poi si dice che un disco non ti possa cambiare la vita, anche se in parte. Riascoltandolo in occasione di questo compleanno speciale, ho ritrovato la vera spiritualità di The Wall: la presa di coscienza che ognuno ha i suoi muri, che lo rendono prigioniero dello scorrere della vita. Perché restare indifferenti? Perchè non abbattere le barriere e sovrapporre più stati d’animo? Ci vuole coraggio e sacrificio, ma la vita può tornare a sorriderci.