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Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Archives Febbraio 2012

Il funerale

Da bambino ero irrequieto, ma ho imparato la compostezza ad un funerale. Qualche volta mio padre mi portava con lui e rimaneva stupito di come diventassi serio per l’occorrenza. Restavo in silenzio ad osservare tutti, a decifrare il significato delle lacrime. Poi mi soffermavo su quella cassa di legno. Mi ero convinto che tutti gli alberi, abbattuti nei frutteti delle campagne della mia terra natia, avvolgessero con la loro legna i defunti.

Che bizzarra idea mi ero fatto. Crescendo ho avanzato una spiegazione alla mia teoria infantile. Se da quel legno gli alberi fossero rinati, avrebbero rivestito con un manto di foglie verdi l’involucro, che ingabbia l’umanità della morte.

Ieri mattina ero in un obitorio della Lombardia. Prima che arrivassero i parenti, mi sono trovato da solo con il defunto. Non ho osato aprire la porta, perché non l’ho mai conosciuto di persona. Ero immobile al di là di una parete a chiedermi cosa ci accomunasse: essere figli del Sud Italia.
Da piccolo pensavo che, chi morisse fuori dalla terra-madre, ritornasse al suo paese, tra la sua gente. Non accade sempre così. Sottovoce ho chiesto al defunto se volesse andare via da qui, ma lui non ha risposto. I morti non parlano, o perlomeno così pensiamo.

Al termine delle esequie, ho avuto la risposta. Sulla bara ho visto spuntare un bonsai e mi è tornata in mente la mia teoria infantile, che ripetevo a mio padre: quando i nostri cari ci lasciano, dovremmo piantare un alberello nel luogo in cui viviamo, perchè loro non stanno mai nello stesso posto.

Scappando via, di corsa verso la stazione, ho incrociato un’anziana signora che rimproverava il figlioletto: “Giuseppe, non imbrattare il muro con la bomboletta spray”. Il bambino, dopo avermi sorriso, ha replicato con tono deciso: “Mamma, non l’ho mai svelato a nessuno. Da grande voglio disegnare alberi per non essere mai nello stesso posto. Quest’albero è per te, per le mie sorelle. Tenetemi con voi, per sempre”.

Incendio sulla Costa Allegra a fil di Twitter

In rete e nei social network corre la notizia dell’incendio sulla nave Costa Allegra a largo delle Seychelles. C’è chi parla di “terrorismo mediatico” o addirittura chi fa intendere che “un focherello a bordo” non avrebbe meritato un titolo così allarmante. Io direi che qui entra in gioco il criterio di notiziabilità.
Fuoco e fiamme a bordo? La notizia c’è e c’è tutta. Poi spetta alla compagnia e alle autorità di competenza fornire i dettagli.

Intanto, mettiamo in chiaro una cosa: c’è stato un incendio a bordo di una nave con mille e passa persone e la notizia andava comunicata con questi toni, Costa Crociere o non. Poteva capitare su qualsiasi imbarcazione, ma purtroppo la legge di Murphy ha detto la sua: quando di mezzo c’è la sfiga – quella che i napoletani chiamano mala ciorta – tutto diventa opinabile. A quasi due mesi dalla tragedia della Costa Concordia, ci risiamo. Per la disfatta dell’isola del Giglio è stato mandato alla forca il capitano e adesso?

Su Twitter, c’è chi la butta sullo humor: “Se Costa Crociere voleva avere engagement rate più alto della storia di Fb poteva dirlo, non c’era bisogno di distruggere due navi”. Qui c’è poco da scherzare. Chiediamoci piuttosto quanti saranno a pianificare una crociera come vacanza.
Fino ad ieri c’erano dubbi, oggi potrebbero esserci certezze. Mentre gli strateghi della comunicazione sono ancora a lavoro per attutire l’uragano dell’Atto I, per questo Atto II ci appendiamo alla tweettata di Snoopy the Writer: “L’incendio sulla #CostaAllegra ci dà una certezza: ora alla Costa Crociere hanno bisogno di @lddio al marketing.”

Anna e Eugenia, nel Sud tra storie di vita e una fiaba per te

Nelle caldi notti d’estate, in cielo come in terra nessuno, ma proprio nessuno, riesce a riposare tranquillo. La fiaba che stiamo per raccontare parla di una stella del cielo che, in una di queste notti, per rinfrescarsi, nel mare si tuffò e l’amore incontrò.
Una notte calda d’estate L***, una stella del firmamento, guardava dall’alto il mare immenso che si dispiegava sotto di lei. Sulla sua calma superficie giocavano i delfini: sembravano divertirsi tantissimo.
<<Beati loro!>> sospirò L*** e aggiunse: <<con questo caldo, sarà bellissimo nuotare nelle acque fresche del mare illuminato dalla luna!>>. Trascorreva ore ad osservarli, le trasmettevano tanta gioia e poi erano davvero bellissimi. Quando la luna cedeva il suo posto al sole anche per la stella arrivava il momento di andare a riposare e salutare il mare.
Una notte, il caldo era diventato davvero insopportabile e L***, guardando i delfini, sospirò: <<UFFF!!>> e continuò: <<come vorrei raggiungerli!!>>.
La stella sapeva bene che quando una di loro decide di cadere giù, può rimanere lontana dal cielo solo per tre giorni. Poi dovrà ritornare nel firmamento e rimanervi per sempre o almeno fino a quando un uomo sulla terra esprimerà un desiderio che nasce dal cuore. Solo allora la stella di nuovo cadrà e per sempre laggiù resterà.
Fu così che L*** decise di tuffarsi in quel mare blu notte: lasciò il cielo, una scia di luce disegnò dietro di lei e sul dorso di un delfino si ritrovò ad ondeggiare.
<<E tu chi sei?>> le domandò il delfino quando si accorse della sua presenza.
Lei così rispose: <<Sono L***, una stella del firmamento, per il tanto caldo mi son tuffata e su di te mi son ritrovata>>.
Il delfino, allora, per rinfrescare la bella stella, incominciò a nuotare passando dalle profondità del mare alla sua superficie. L’acqua era fresca e salata proprio come la stella l’aveva sempre immaginata.
La notte passò velocemente e le prime luci del giorno incominciarono a brillare sull’acqua rendendo il delfino di un grigio splendente.
Che spettacolo era vedere, dalla superficie dell’acqua, scomparire la luna e sorgere il sole.
L*** guardava il cielo e il mare. Non erano tanto diversi l’uno dall’altro: blu, profondi e immensi. Certo l’acqua era umida ma tanto tanto fresca.
L*** all’improvviso domandò al delfino: <<Ho nuotato tutta la notte con te e non so ancora qual è il tuo nome. Scusami! Allora, come ti chiami?>>.
<<R***>> rispose lui. Per tre giorni R*** e L*** rimasero sempre insieme. Il delfino portò la stella a conoscere i tanti abitanti del mare: dai granchi alle trasparenti meduse, dai piccoli pesci alle grandi balene. I coralli, poi, erano una vera meraviglia, ce n’erano di tanti colori ma i più belli erano quelli rossi e rosa. R*** conosceva tutti i segreti del mare, tutti i luoghi più belli che si nascondevano nelle profondità delle acque. Fu così che il delfino le fece conoscere la conca dei fiori del mare: un avvallamento pieno di anemoni colorate tra cui nuotavano felici simpatici pesci pagliaccio.
Il terzo giorno arrivò veloce come un battito delle ali dei gabbiani che volavano liberi sulla superficie del mare.
<<Purtroppo non posso rimanere qui con te! Questi giorni vissuti insieme sono stati bellissimi. Ho imparato tante cose grazie a te. So che mi mancherai tanto ma … non posso! Devo ritornare lì dove sono nata>> disse L*** a R*** che aggiunse: <<Sei una stella del cielo e il firmamento è la tua casa, io sono un abitante del mare e l’acqua è il mio ambiente.
Tutti devono essere ciò che sono … mi mancherai!>>.
E così fu che L*** e R*** ritornarono ad essere divisi dalla linea dell’orizzonte che separa il cielo dal mare.
Ma da quel giorno qualcosa era cambiato dentro i cuori della stella e del delfino. L*** non era più luminosa come un tempo e guardava sempre il mare sotto di lei con la speranza di rivedere R***: ma nulla!
Dal giorno in cui si erano salutati il delfino non era più comparso sulla superficie dell’acqua.
A L*** mancava tanto R***. Avrebbe voluto rincontrarlo ma poi pensava che, anche se l’avesse rivisto, si sarebbe dovuta separare nuovamente da lui: erano troppo diversi.
Lui così grande, lei piccina piccina, lui abitante del mare, lei abitante del cielo, lui meraviglioso delfino argentato, lei splendente stella del firmamento.
<<Forse è meglio non rivedersi!>> sospirò L*** mentre questi pensieri attraversavano la sua mente.
In realtà il delfino non si era mai allontanato dalla sua stella: lei non lo vedeva ma lui, ogni notte, era lì ad osservarla appena sotto la superficie dell’acqua.
Non voleva mostrarsi per paura di far spegnere ancora di più la sua luce, per paura di farla ridiventare triste quando al mattino di ogni giorno avrebbero dovuto salutarsi.
Si erano innamorati, lo avevano capito m appartenevano a due mondi diversi e tutto sembrava impossibile. A volte, però, si fanno degli incontri capaci di dare nuovo senso.
R*** nuotava tra le profondità del mare, fuori la superficie il sole brillava caldo nel cielo turchese senza nuvole. Ad un tratto, senza rendersene conto, il delfino si ritrovò lì dove nulla cresce e nessuno abita.
Non era solito nuotare in quel luogo deserto ma la tristezza lo aveva portato lì. Nuota e nuota, all’improvviso trovò, su quell’arido fondale, un bellissimo corallo rosso.
Rimase meravigliato e, pensando ad alta voce, disse: <<Credevo fosse impossibile che qui potesse nascere una nuova vita>>.
<<A volte ciò che è impossibile diventa possibile>> aggiunse una tartaruga che, passando da quelle parti, aveva ascoltato le parole del delfino.
<<A volte la luna incontra il sole, a volte il sole illumina la pioggia, a volte tra i sassi nasce un fiore e un corallo in un territorio arido>> continuò lei.
E R*** aggiunse: <<A volte un delfino si innamora di una stella del cielo>>.
Dopo un po’ di silenzio, il delfino domandò alla tartaruga: <<Tu che sei la più saggia tra gli abitanti del mare, mi dici come l’impossibile diventa possibile>>.
La tartaruga così rispose: <<L’impossibile diventa possibile se le differenze si trasformano in risorse, i confini in spazi da riempire ma soprattutto se l’amore è più forte della paura di soffrire, se l’amore è più forte di un vento imponente!>>.
R*** sospirò, riguardò quel bellissimo corallo tutto rosso e stava per dire qualcosa alla tartaruga quando si accorse che non era più accanto a lui. Intorno non c’era più nessuno e stava diventando tutto scuro perché la notte aveva preso il posto del giorno.
<<L***!>> esclamò R***. Nuotò veloce fino a raggiungere la superficie del mare. La sua stella era lì, nel blu del firmamento. Quando L*** lo vide si illuminò mai come prima, la sua luce era abbagliante.
<<Che felicità, proprio oggi che compio gli anni vederti è il regalo più bello>> sospirò la stella e aggiunse: <<non pensavo che un delfino mi potesse mancare così tanto>>.
<<Ed io non avrei mai immaginato di essere così fortunato da innamorarmi di una stella del cielo>> continuò lui. Si sorrisero dolcemente. <<Ma come faremo, siamo lontani, diversi, i nostri mondi ci separano!>> disse L*** ritornando nuovamente triste.
<<Non importa quanto diversi siano i nostri mondi, ciò che conta è guardarsi negli occhi e riconoscersi l’uno nell’altra. Il nostro amore deve essere più forte della tristezza che proveremo quando ogni mattina il sole sorgerà>> aggiunse sicuro di sé R*** e L*** così continuò: <<Si! Il nostro amore riempirà lo spazio che ci separa rendendoci vicini di cuore>>.
R*** replicò: <<Mentre nuoterò, penserò ai tuo occhi, così mi sembrerà di averti accanto e non vedrò l’ora di poterti osservare al calar del sole>>.
E L***: <<Io vivrò nell’attesa che qualcuno sulla terra esprima il desiderio di vivere per sempre con la sua amata, allora finalmente cadrò dal cielo, nel mare ti raggiungerò e con te per sempre resterò>>*.

*Anna Riva e Eugenia Russo, ospiti del blog, sono una piscologa ed un’educatrice. Sono autrici di questa e altre intense fiabe. Vivono e lavorano alla periferia di Napoli.

Un pallone di Samuele Bersani e la leva calcistica del 2012

Peccato che “Un pallone”, quello di Samuele Bersani, sia finito in calcio d’angolo all’ultimo Festival di Sanremo. E non perché fosse il solito inno da tifoso, di cui ogni italiano medio che si rispetti non potrebbe fare a meno. Se avesse segnato goal, come il pallone che calciò Francesco De Gregori in La leva calcistica della classe ’68, ci saremmo accorti che il brano di Bersani era il più “impegnato” di Sanremo 2012, seguendo la trafila dei toni scanzonati.

Accecati dalla sindrome del “Talent Show”, sul podio non potevamo che piazzarci “una di noi”. Nei social, in rete e per strada ho sentito o letto la solita affermazione: “Emma è vera”. Chi si è soffermato a commentare la canzone? A Sanremo vola ad alta quota il nostro riscatto nazional-popolare: chiunque di noi ce la può fare. Il festival di Sanremo non è un talent show, almeno non lo era fino a pochi anni prima che i Carta e gli Scanu facessero da apripista al nuovo travestimento della macchina festivaliera.

“Un pallone sgonfio” non poteva farci vincere la partita, ma perlomeno incoraggia i pochi convinti che in giro ci sia ancora qualcuno capace di scrivere una canzone. Non una canzoncina qualunque, ma una filastrocca musicata che scioglie in un acquarello l’Italia di questi giorni. Samuele Bersani ha saputo denunciare – più di quanto non abbia fatto Celentano nei suoi sermoni apocrifi -la decadenza di questa Italia, i cui vertici predicano che “il posto fisso è un’illusione”, ma razzolano male. Di fatti, i loro pargoli hanno il culo al sicuro.

Il pallone sgonfio di Samuele Bersani è la scultura musicata che ritrae la leva calcistica del 2012: la faccia dell’Italia presa a pugni e schiaffi. Da ragazzino, nel campetto che fronteggiava casa mia, andavo alla ricerca di palloni bucati. Li recuperavo perchè avevo capito che il mondo non è sempre tondo, proprio come il pallone di Samuele Bersani. Sarebbe una vigliaccata far finta di niente. E se il Festival è ancora lo specchio del Belpaese, allora saranno questi versi a restare indelebili per sempre: “Ci vuole molto coraggio a ricercare la felicità in un miraggio che presto svanirà e a mantenere la calma adesso per non sentirsi un pallone perso”.

 Samuele Bersani & Paolo Rossi

Sanremo 2012 #2: Svendo su eBay Emma e Dolcenera, ma ridatemi Marlene Kuntz e Carone!

Sono ancora in tempo per gli ultimi saldi fine stagione? Se si tratta del Festival di Sanremo, finisco su eBay per un bel baratto musicale. Svendo l’impegno sociale gonfiabile di Emma e il “Ci vediamo a casa” di Dolcenera in cambio dello stile dei Marlene Kuntz e del sussurro giovanile di Pierdavide Carone, con o senza lo spintone di Dalla.

Ieri sera a Sanremo è arrivato il buttafuori e così in quattro sono stati lanciati giù dalla torre, inclusi D’Alessio e la Bertè che potrebbero tornare in gara con la benedizione del televoto. Si sa che lo chou napoletano è sempre supportato dall’uragano popolare. Sanremo Social sembra un bluff e tra i giovani è un’impresa affezionarsi ad una canzone.

Sì, perché dimenticavo: questo è il festival del cantante e non della canzone. Anzi, direi del “molleggiato” che, impugnando una predica sottocosto, ha fatto decollare lo share. Il Festival di Sanremo commissariato mi sembra una barzelletta da “Prima Repubblica”, perché la censura su Celentano sarebbe davvero una beffa. Piuttosto avrebbe avuto un senso sospendere la gara ,dopo l’osceno inghippo del voto della prima serata.
Gli sponsor pagano un botto e i discografici soffrono di meno. Sanremo sempre più tv e meno festa della musica. Ci stanno convincendo che negli anni avvenire ne possiamo fare a meno, nonostante lo share.

Sanremo 2012 #1: i sermoni del Molleggiato

Luca e Paolo l’hanno detta tutta in meno di una tweettata: sticazzi! Questo è sottotitolo per i non udenti della prima serata del Festival di Sanremo 2012. Canzoni in secondo piano come al solito, Gianni Morandi sottotono, in attesa del salvagente festivaliero: il Molleggiato.

Che noia, che barba, che noia, che barba, con il solito sermone tra religione e politica che scimmiotta un quadretto del teatro dell’assurdo. Pochi silenzi per Celentano, personaggi in cerca d’autore – Pupo & Canalis in primis – e i soliti attacchi scontati. Sticazzi. Questa volta tocca a Famiglia Cristiana e Avvenire, ma non fa nessun effetto, così come tirare in ballo il profeta Gesù o il tango tra musulmani e cristiani. Religione, consulta e tattarattà.

E le canzoni? Sticazzi. Si fa a fatica al primo ascolto, spostando l’attenzione sull’interprete. Un dì era il Festival della Canzone Italiana. Si adegua ai tempi Van De Sfroos, che canta in italiano per bocca della sibilla Irene Fornaciari. Si salvi chi può dai saldi sociali di Emma, dalle coppie scoppiate D’Alessio-Bertè, dalla melodia sgonfiabile di Dolcenera e dalla solita pappa sanremese di Fabrizio Moro, affidata alla voce graffiante di Noemi. Sulla scialuppa di salvataggio ci sono Nina Zilli, Samuele Bersani e Marlene Kuntz.

E la beffa del televoto? Ci risiamo: niente buttafuori per la prima serata. Sticazzi.

14 febbraio, San Valentino: Lo sfarfallio

Per parecchi lo “sfarfallio” è quello stato d’animo che ci capita in fase di innamoramento. Quella ciurma di farfalle che svolazzano dentro noi e non ci fanno sentire neanche il bisogno di mangiare. Messo da parte il meccanismo del colpo di fulmine e della chimica dell’amore, alle porte di San Valentino mi torna in mente un episodio.

Quando ero piccolo, in cucina avevamo un televisore in bianco e nero. Guardavo con mia madre il film Via col Vento. A causa del maltempo andò via il segnale. Mi avvicinai allo schermo e restai imbambolato ad osservare i migliaia di minuscoli puntini che lo affollavano. Ero come ipnotizzato, mentre mamma cercava invano di farmi capire che il film non c’era più. Io invece – come accadeva nel tracciato di quei giochini da Settimana Enigmistica – mi ostinavo a dare al formicolio televisivo delle forme, ricreando fatti e personaggi della storia.

Fui affetto dal sintomo dello “sfarfallio”, che rappresenta per me un disorientamento d’animo ed è tutt’altro rispetto alla credenza popolare. Lo sfarfallio interviene nell’approccio interiore verso l’altra persona. Magari invasioni esterne ci fanno confondere, scambiando per dinamicità dell’anima quella che altro non è se un esterno/notte pantofolaio e rivestito di noia. Ci ostiniamo a dar forma all’inconsistente così come feci io davanti a quel televisore. Me ne resi conto quanto tornò il segnale e mi ritrovai in mezzo al bacio appassionato di Clark Gable e Vivien Leigh. Mi si appannarono gli occhiali dalla felicità.

Lo sfarfallio disorienta la nostra interiorità perché non è lì “l’altrove” che cerchiamo. Facendo un passo indietro non costringeremo l’altro ad essere ciò che non è e non sarà mai. Incamminandoci a piccoli passi nel sentiero della felicità, finiremo nell’interno/giorno rivestito di energia e amore e dall’inconsistenza visionaria dello sfarfallio finiremo alla consistenza dello scintillio. Ma questa è un’altra storia. Se così San Valentino diventasse festa pure per quelli convinti che sia robetta da mocciosetti?

Lo scintillio

Addio a Whitney Houston, la mia stella del pop-soul su un’audiocassetta TDK 60

La mia è stata la generazione dell’audiocassetta, quella che in fronte aveva la scritta: “Press to play on tape!”. Sbuffavo al liceo, mi annoiavo da morire alle lezioni di latino e greco, ma in compenso barattavo cassette. E su quella TDK da 60 minuti ci finirono alcuni pezzi di Whitney Houston. Tra me e me pensai che le festicciole fatte in casa negli anni ’60 – come quelle che mi raccontava mia madre – potessero ripetersi con queste canzoncine pop infestate di soul: provai a fare un lento su “All at Once”, immaginando che l’America nera, che mi avevano rivenduto sui manuali di storia di seconda mano, si stemperasse in questa voce davvero bella, romantica e sensuale.

Quel lento non andò come speravo, perché non ci fu il bacio agognato. Tutta colpa mia, fui imbranato quanto Ricky Cunnigham nella prima puntata del telefilm Happy Days. Eppure le canzoni di Whitney Houston me le portai nel mio primo viaggio all’estero, al di là della Manica. Ci ritrovammo noi, un gruppo di adolescenti romantici, ad ascoltare la principessa scalza del pop-soul in un parco della contea del Kent. Alcuni bulletti inglesi si sparavano ad alto volume musica elettronica e noi rispondemmo con toni diversi. Mettemmo le mani avanti con il vocione della Huston che cantava: “I Wanna Dance with You”. E pensare che fino ad allora mi vergognavo, perché volevano convincermi che quella fosse soltanto robetta da ragazzine mielose.

La mia generazione fu accusata dai ripetenti sessantottini di non avere un repertorio di canzoni impegnate, perché i grandi cantautori se l’erano giocata tutta nei Seventies. A noi rimanevano soltanto briciole e degli avanzi non sapevamo che farcene. Attraverso il repertorio di Whitney Houston stendemmo al sole del Soul i nostri sogni, teneri e irrinunciabili. In questa domenica di febbraio la sua scomparsa ha lo stesso valore di quella di Amy Winehouse per la generazione Y. La vita privata si arrugginisce, ma la storia musicale no, anche se di mezzo ci sono infiltrazioni pop di una voce nera indimenticabile.

Addio a Whitney Houston, stella della black music che ha illuminato gli Ottanta

Twitter ci risiamo: Dopo i “senzatetto” di Bolle e Berra, le “madrelingue” della Minetti…

Dopo la brutta figura del ballerino Roberto Bolle – a cui legherei quella dal blog della sottosegretaria francese Nora Berra “senzatetto, restate a casa” – Twitter continua ad essere territorio di insidie e di gaffe. Se fosse vivo il compianto Mike Bongiorno, ammonirebbe con il suo tono scanzonato: “Signorina, mi è caduta sulla lingua”.

Questa volta si tratta di Nicole Minetti, il consigliere regionale del PDL, che ricorderemo per quest’altra tweetta memorabile. Per ribattere alle critiche a seguito dell’abbandono della commemorazione dell’ex Presidente Oscar Luigi Scalfaro, Nicole si è difesa così, diciamo alla buona: “Ben detto…Madrelingue tutte omologate e dicono la stessa cosa”.

Chissà se chiederà risarcimento alla Apple per la figuraccia. E’ sempre così, si fa a scaricabarili, dando colpa all’iPhone di turno che ha corretto il vocabolo. Tocca all’aggeggio tecnologico più desiderato metterci la pulce nell’orecchio a fil di rete: L’italiano lo sanno scrivere davvero in pochi. Si dice “malelingue” o “madrelingue”?

Gli urlatori social non perdonano e ci risiamo: Nicole ha fatto in un batter baleno il giro di tutti i nidi cinguettanti della rete. Meno male che nel 2007 Twitter era ancora massonico in Italia, altrimenti Antonella Clerici avrebbe finito in anticipo con il babysitteraggio in tv dopo la sua riflessione arguta: “Non posso fare a meno del c***o”.

Nicole Minetti, gaffe su Twitter

La bourde de Nora Berra

Roberto Bolle e Twitter: il ballerino che ha offeso clochard e napoletani

Roberto Bolle e Twitter: il ballerino che ha offeso clochard e napoletani

“I senzatetto che s’accampano e dormono sotto i portici del San Carlo, gioiello di Napoli, sono un emblema del degrado di questa città”. L’affermazione di Roberto Bolle, l’osannato ballerino del Teatro alla Scala di Milano, è una doppia e imperdonabile offesa nei confronti dei clochard e degli stessi napoletani. Una riflessione fuori posto destinata ad essere un boomerang verso i VIP saccenti, apostoli delle mode social. Il 2012 è l’anno di Twitter e il cinguettio sta diventando la vetrina prediletta nello star system dello show business italiano.

Peccato che Bolle, come tanti altri suoi colleghi, non abbia percepito la filosofia di una tweettata o il valore di questa piattaforma social, tutto all’infuori del sipario-prigione degli adoni. Le riflessioni necessitano di un pensiero, le offese gratuite di stupidità. Il ballerino del tempio scaligero dovrebbe sapere che, alle porte del Teatro San Carlo di Napoli, proprio dove si erano accampati quei “barboni”, c’è un altro palcoscenico. Quello di oltre tre secoli di storia, consegnata nelle mani di un popolo. In quel punto preciso della città si è giocato il tutto e per tutto, tra sogni e delusioni, in balia di rivolte o rivoluzioni, offrendo un luogo di rifugio anche ai diseredati.

Napoli è da sempre la casa di tutti, senza discriminazioni. Il tweet di Roberto Bolle – rimosso dopo le polemiche a dimostrazione di chi non sa comunicare (mai cancellare un cinguettio!) – potrebbe far da spunto al maestro Roberto De Simone per la creazione di un’opera buffa, che abbia come protagonisti proprio i clochard. I napoletani e i senzatetto dovrebbero chiedere un risarcimento morale al ballerino incauto, barattando di bandirlo dal San Carlo e dall’Unicef.

Viviamo in un paese democratico ed è giusto che ognuno esprima il suo pensiero. I twitterini hanno mostrato il loro dissenso e forse anche quei napoletani, frequentatori assidui di teatri, che una volta avranno visto Roberto Bolle volteggiare sulla scena, convincendosi che una macchina carrozzata di tecnica può essere priva d’anima.

 Bolle e i barboni sotto i portici di Napoli…

 Clochard sotto i portici anche a Londra

 Se Twitter diventa impressionista…