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Archives Settembre 2014

Le Voci dell’Anima di Jennifer e la riscoperta di Ruccello con Antonello De Rosa

Rosario PipoloIl Festival Le Voci dell’Anima continua a regalare suggestioni con lo spettacolo “Jennifer” di Antonello De Rosa, prodotto da Scena Teatro. L’opera d’esordio di Annibale Ruccello, fiore all’occhiello della nuova drammaturgia napoletana, finisce tra le mani dell’attore e regista salernitano. Con De Rosa questa ha tutta l’aria di una rivolta drammaturgica, ancora più marcata contro il salotto borghese del teatro di Eduardo De Filippo.

In principio la tana del travestito Jennifer era uno dei tanti bassi napoletani. In questa meravigliosa trasposizione, in cui trasuda attualità e antropologia, la regia di Antonello De Rosa la trasforma in un bunker, in cui i personaggi sono cullati e denudati come se fossero prigionieri in un ventre materno. Vittime e carnefici di soprusi sociali, i “travestiti” – liberati dal cliché di “‘o femminiello partenopeo” – consumano la tragedia, appesa al filo del telefono, sussurrando la stessa solitudine di La voce umana di Cocteau. Le voci che si alternano dall’altra parte della cornetta telefonica non sono altro che “i fantasmi” eduardiani, condannati ad essere rigurgito delle voci di dentro, quelle che mormorano nelle nostre maledette coscienze. Qui non si tratta di capire se siamo di fronte a uomini, donne o a donne imprigionate nel corpo di uomini. Qui occorre ammettere che siamo di fronte all’umanità, nell’asessualità che concima rabbia e dolore. I costumi dai colori accesi di Liana Mazza ci consegnano l’illusione di scivolare in un ballo in maschera.

Togliersi la maschera non spetta né ad Anna, vissuta con pathos dalla brava Francesca Pica, né a Jennifer, rinata nella compostezza attoriale di Antonio De Rosa e distante dalla trappola della macchietta. Spetta al pubblico il sacrosanto diritto di riconoscere la solitudine del nostro tempo. Lo spettacolo di De Rosa è “il cantico dei soli” nell’amara riflessione del divenire: la cornetta del telefono degli anni ’80 è la sorella gemella della lametta tagliente tenuta in mano da Jennifer del tempo della globalizzazione, rappresentazione del controverso universo dei social network e delle chat. Non ci guardiamo più negli occhi, abbassiamo lo sguardo su un touchscreen e diventiamo incapaci di amare.
Il controscena della donna in cornice – splendida presenza scenica di Simona Fredella – non fa soltanto da specchio all’universo femminile, ma da contrappunto a questo Magnificat della solitudine di De Rosa come se fosse la piccola ballerina di un carillon, che vorremmo non smettesse mai di danzare.

“Riso amaro” e riflessione verso il tragico finale, scialuppa di salvataggio per urlare che siamo soli, troppo soli. Lunghi applausi anche Milano, prima della tappa di Rimini di ottobre. Assistente alla regia è Gina Ferri e le ricerche musicali sono di Nicola Ferrentino.

L’iPhone 6 può attendere

Rosario PipoloCi sono code e code. Quella “surreale e stratosferica” delle ultime ore davanti agli Apple Store delle grandi metropoli per l’arrivo del nuovo iPhone 6.

Quella che vedo tutte le sere tornando da lavoro davanti a una Caritas milanese, dove una ciurma di uomini e donne aspetta di ricevere un piatto caldo.  Le prima fa il giro del mondo alla velocità della luce. Quest’ultima finisce nel dimenticatoio, perché fa parte della routine: gli operai in fila per protestare contro la mobilità o i papà in coda dall’alba all’entrata dell’asilo nido per accaparrarsi un posticino per il pargolo.

Quanto costa l’iPhone 6? In Italia il prezzo oscillerà tra i 700 e i 1000 euro. Occorre rinunciare ad uno stipendio medio per andarsene in giro con il gioiellino della Apple. I due ragazzi nella foto si sono accampati su una panchina della Fifth Avenue newyorkese. Non sono lì per protestare ma spudoratemente in fila per avvinghiare  il melafonino più amato o odiato di tutti i tempi.

Questa immagine offende un’altra America e non abbiamo bisogno di un vecchio disco di Bob Dylan per riascoltare quella voce. Basterebbe farsi raccontare dai genitori e dai nonni di questi ragazzi come sciuparono i loro quattrini: per fare un viaggio e protestare fuori la Casa Bianca contro il Vietnam sanguinoso di Nixon o il rampantismo di Reagan.
Erano altri tempi, come del resto in Italia. I nostri genitori e nonni hanno fatto lunghe code per salvarsi dagli scempi del Secondo Dopoguerra o per avere il diritto di studiare in un’università pubblica.

Quanto costa “mettersi in coda” per l’iPhone 6? Le favole del marketing urlano che qualche folle abbia pagato fior di quattrini per avanzare nella lunghissima fila. Ci sono code e code. Preferisco quella che vedo tutte le sere tornando da lavoro davanti a una Caritas milanese. Fotografa l’umanità di cui avremmo bisogno tutti.

9 settembre 2014: l’emozione di ascoltare in mono come allora il vinile dei Beatles…

Rosario PipoloFatevelo raccontare dalle nonnine di Liverpool cosa accadde nei negozietti di musica ai tempi del Mersey Beat quando apparve Please Please me, il primo album dei Beatles. Più di mezzo secolo fa la musica si ascoltava in mono e, oggi 9 settembre 2014, tocca capirlo anche alla generazione che divora canzoni in formato digitale. The Beatles in Mono, il lussuoso cofanetto dei Fab Four che ripropone i vinili orginali in versione mono, è più di un capriccio feticista.

Nell’agosto del 1990, in occasione della mia prima fuga a Liverpool ancora minorenne, incrociai un venditore di musica degli anni ’60. Mi raccontò delle file di ragazzine che si appostavano nel retrobottega alla vigilia dell’uscita di un nuovo album di John, Paul, George e Ringo. La Universal non è riuscita neanche a consegnare i Mono Box nei grandi store musicali di Milano. Segno che i tempi sono cambiati, che le file sono diventate flussi di acquisto su Amazon, che la crisi ci costringe a vedere un LP come superfluo.

Negli anni ’60 la musica era pura “monofonia” e le prime apparecchiature in  “stereofonia” erano davvero lusso. Ricordo quando da Liverpool mi portai una delle prime stampe di With the Beatles in mono e provai a metterla sul mio giradischi e percepirne le variazioni d’ascolto. Non si restaurano solo i film, ma anche la musica. Rispetto agli errori fatti sui remasters dei Pink Floyd, per i Beatles la faccenda è diversa. Tuttavia, la versione CD di the Beatles in Mono del 2009 aveva solo una pecca: il suono mono aveva come fonte i master digitali, perdendo fragranza e spontaneità.
Su questi vinili 180 grammi di oggi i Beatles tornano a cantare “nel mono di allora” grazie agli ingegneri del suono. Questa volta hanno lavorato al mastering sull’analogico.

A cosa serve tutto questo? A ricordare che un disco allora non era fatto soltanto di ascolto ma anche di tatto:  l’artwork, la copertina apribile, i testi delle canzoni. A ricordare che, lungo il marciapiede dei vent’anni dei miei genitori, bastava un disco per essere felice, lontano dall’ingordigia dei giorni nostri. A ricordare che sono in tanti quelli come me che hanno calcato i passi della propria vita sulle canzoni dei Beatles.
A me succede dall’età di 14 anni. Allora chiesi a mia madre i soldi per comprare tutti gli album dei Beatles. Fu un prestito mai restiutito che si trasformò in un regalo: quello di aver messo una passione legittima sul piedistallo della mia vita.

Diario di viaggio: Ponte di Legno tra memoria e futuro

Rosario PipoloE’ stata un’estate piovosa e la comunità di Ponte di Legno, culla della Valcamonica, lo sa fin troppo bene. Eppure la chiusura del mese di agosto con l’emozionante raduno degli Alpini ha fatto spuntare il sole come a voler dire: l’ascolto della voce della nostra memoria collettiva ci aiuta a guardare avanti. L’incontro con i due “nonni alpini” Fedele Balossi e Giovanbattisti Agozzi, entrambi classe 1919 e scampati alla morte delle trincee della guerra, mi ha emozionato perché mi ha riportato tra i sentieri delle trincee del mio viaggio recente tra le pendici del Carso goriziano.

Dal tronco di un albero del 1914 lo scultore di Ponte di Legno Antonio Sandrino ha ricavato un meraviglioso Cristo con una corona fatta con il filo spinato delle trincee. La scultura in legno, che ho avuto il piacere di vedere ancora in fase di realizzazione, sarà collocata entro la metà di settembre nei pressi della località Vescasa. Tornando agli alpini, ti toglie il fiato il loro canto e ti commuove la preghiera sussurrata al Padreterno che miete dolore e riflessione in quel “lasciatemi piangere la mia giovinezza”.

Tuttavia, la fatica della comunità di Ponte Di Legno di custodire la memoria  – dalla Valcamonica spuntano ristagli di storia in ogni stagione dell’anno – si mescola al desiderio di stare al passo con i tempi. Lo chef Marco Bezzi dal suo covo, il ristorante San Marco, interpreta i piatti della tradizione montana con quel tocco di stile e di modernità che fanno del buon cibo un ponte tra ciò che eravamo e ciò che saremo.
Ed è proprio questa voglia di “ciò che saremo” a brillare negli occhi di Mauro e Laura della scuola di sci Ponte di Legno-Tonale o in quelli di Carla, direttrice del residence Raggio di Luce, un sorta di posto incantato. Qui l’atmosfera domestica si mescola alla voglia di benessere della piccola spa o alla magia delle pareti disegnate dell’area dedicata ai giochi e ai bimbi.

Ponte di Legno, tra l’altro tappa dell’ultimo Giro d’Italia, offre tante ispirazioni al viaggiatore. Smettiamola di essere distratti o turisti arroganti. Osserviamo la laboriosità, l’entusiasmo e la costanza della comunità abbracciata dal consorzio Adamello Ski perché, come amava ripetere Audrey Hepburn, “ci sono viaggi che si fanno con un unico bagaglio: il cuore”. Ed è proprio con questo spirito che sono tornato qui, tra le meravigliose cime della Valcamonica.