Quando le immagini scuotono le nostre coscienze
Le parole non ci scuotono più. Ce ne sono troppe, spezzettate, allungate, insipide nell’acqua che bolle dei social network. Qui non si tratta di pesare la pasta da buttare in pentola, ma la nostra coscienza civile, frullata negli sfoghi che una volta nascevano e morivano al bar sotto casa.
Gli algoritmi, che governano la traballante democrazia in Internet, non sempre sono la chiave d’accesso alle notizie per fare chiarezza su una questione che getta ombre sull’Unione Europea: il destino di migliaia e migliaia di profughi.
Siamo tornati all’Europa della frontiere, quella che fa venire fuori il lato oscuro nei recinti delle nostre lande. Basta guardare com’è andata a finire in Ungheria, scivolando sull’indignazione collettiva per la gestione del flusso dei profughi o dopo aver visto la videoreporter ungherese che prendeva a calci i migranti.
La bellezza salverà il mondo? No, perchè non è quella dei selfie che hanno affolato la nostra estate: tette e culi in riva al mare; il primo dentino o il ruttino sotto l’ombrellone di nostro figlio; l’ostentazione di dimostrare agli amici facebookiani che la nostra meta fosse la migliore; la lucida follia dell’anvedi come siamo belli.
La bellezza salverà il mondo a patto che le immagini scuotano le nostre coscienze. Il bimbo dormiente in riva al mare, che ha fatto in un batter baleno il giro del mondo, ci ricorda nella sua plastica drammaticità i calchi abbracciati degli scavi archeologici di Pompei. La riflessione, miscuglio di dolore e rabbia, è vellutata dal brusio del mare. Ahimè, non si tratta delle acque dove abbiamo fatto splash la scorsa estate.
Allora canto, perchè non so scrivere: “L’estate sta finendo e un anno se ne va, sto diventando grande, lo sai che non mi va”.