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Archives 2015

Cartolina d’estate: Il Summer Jamboree di Senigallia tra sagra e dilettantismo

Rosario PipoloFa uno strano effetto alla vigilia di Ferragosto Senigallia, località balneare nelle Marche, senza i marinai e le ragazze pin up del Summer Jamboree Festival.
In Italia non abbiamo il senso della misura: apparteniamo o al popolo dei disfattisti o a quello dei buonisti. Il disfattismo è nocivo, ma il buonismo lo è ancora di più se ti avevano invitato ad un festival dal gusto retrò e ti accorgi d’essere finito ad una sagra.

“I travestiti” vintage in giro per Senigallia o le vecchie auto e motociclette a stelle e strisce spariscono tra la folla che fa fatica a riconoscere gli anni ’40 e ’50. I palchi musicali, inavvicinabili per la calca, hanno in compenso il pregio di evocare i nostri papà che negli anni ’50 scimmiottavano bonariamente le icone d’oltreoceano.
Del resto il musicista di punta porta solo il nome americano ma è un marchigiano doc che all’unanimità è un incontestabile enfant prodige. Per fortuna c’è la scuola Giovanni Pascoli che, attraverso un’emozionante mostra, ci riporta tra i banchi delle nostre mamme e delle nostre nonne

Rimunciare a portarsi via qualche souvenir dell’epoca – tra gli stand prevalgono goffe imitazioni cinesi – ed imbattersi nel viaggio notturno della speranza sull’affollata LINEA 4: gli autisti dell’azienda di trasporto locale si attengono al comandamento Non parlare al conducente, sono sgarbati e ti fanno sbagliare fermata, lasciandoti alla fine della Marzocca.
I veri anni ’50 sono proprio sull’autobus dove la gente sgomita, evocando in un deplorevole episodio di becero razzismo all’italiana, l’America degli anni di Martin Luther King: un turista “cafone” dà a spintoni una donna di colore, interviene il marito e si rischia la zuffa.

Altro che festival! Chi aveva chiesto in prestito al Doc di Ritorno al Futuro la DeLorean DMC-12 per rivivere gli Happy Days dei Fifty americani in trasferta nelle Marche, si ritrova  in un’affollata Notte Rosa, versione summer in stile romagnolo della Notte Bianca, che per fortuna porta a commercianti ed albergatori un bel sold out.

Il vero pregio del Summer Jamboree di Senigallia è farci indietreggiare nell’Italietta provinciale di sessant’anni fa, “povera ma bella”, autentica, fatta di dilettanti allo sbaraglio che sognavano l’America come terra promessa.
La musica siglò parte del manifesto del cambiamento e ciò non avvenne solo con il rock chiassoso e grezzo di Celentano. Lo stile e l’eleganza del Modugno di Volare non fecero rumore quanto gli ancheggiamenti dell’Elvis di Hound Dog ma dimostrarono che il nostro temperamento latino di sognatori e romantici poteva far breccia nel cuore del mondo senza scomodare i principi di Memphis.

Mi sentivo bresciano con i cornetti di “Frank” alla Mandolossa

Rosario PipoloI veri viaggiatori esplorano anche le periferie. Così una notte di tanti anni fa mio cugino mi fece scoprire un posticino fuori dal centro di Brescia dove poter mangiare cornetti, brioche e pizzette  a tutte le ore della notte.
Il gestore Francesco Seramondi, l’uomo freddato da due killer insieme alla moglie ieri mattina nella famosa cornetteria e pizzetteria della Mandolossa al numero 27 di via Vallecamonica, era conosciuto da tutti come “Frank”.

Lì, in mezzo al degrado della periferia bresciana, era Frank il “Re della Notte” e per i ragazzi era un punto di riferimento come il mitico locale Arnold nella serie televisiva Happy Days. La prima volta che ci capitai, Frank capì subito che ero originario del Sud. Attaccai bottone.
Mentre mi rimpinzavo di cornetti e pizzette in piena notte, il gestore esprimeva la simpatia per noi napoletani. Amava ripetere che avevamo una marcia in più e rideva ripensando ai cartelli sparsi sul territorio che, nella metà degli anni ’80, recitavano sgarbatamente: “Non si affittano case ai napoletani”. Prima che andassi via, lanciò un paio di monete nella macchinetta e disse: “Il caffè tocca a me”.

Da allora tutte le volte che ero in zona e a stomaco vuoto, chiedevo a mio cugino di portarmi da Frank. Quando Seramondi scoprì che ero un giornalista, tirò fuori una raccolta di ritagli di giornale dedicati a lui e alle sue ghiottonerie. Ne andava fiero.
Con una punta di ironia diceva che le sue brioche piacevano a tutti, anche “alle battone”. Una volta, dovendo prendere l’aereo all’aba da Orio al Serio, mi regalò un paio di brioche calde da portare in viaggio.

Frank era generoso, a chi aveva fame e tasche vuote non negava mai un cornetto e una pizzetta. Francesco Seramondi sapeva che prima o poi gli avrei dedicato un articolo, ma io non avrei mai immaginato di doverlo fare in questa triste e tragica circostanza. Adesso chi lo dice ai bresciani al ritorno dalle vacanze che il vecchio Frank, il re dei cornetti di Brescia e provincia, non c’è più?

Oggi anche io ho il diritto e il dovere di urlare #MéSoFrank, l’hashtag a lui dedicato dal popolo dei social network che chiede una Brescia più sicura.

Cartolina d’estate: Gina Mastrangelo, capotreno Trenitalia medaglia al valore

Rosario PipoloUna domenica sera caotica sulla linea ferroviaria Ancona-Bologna a causa di un guasto tra Forlì e Bologna. I passeggeri temono che possa ripetersi il tracollo di una settimana prima: passeggeri in ostaggio in treno per tutta la notte a causa di un nubifragio a Firenze.

Questa volta i treni si limitano ad accumulare ritardi tra i 60 e 90 minuti, facendo perdere a tanti viaggiatori le ultime coincidenze per ritornare a casa. Sul Regionale Veloce 1734 in direzione Milano alla stazione di Bologna sale un capotreno occhialuto.
E’ una donna minuta, sulla trentina. A conti fatti a Milano Centrale arriveranno diversi passeggeri, tra cui anche un minorenne, condannati a trascorrere la notte in stazione: addio treni per attraversare la stessa Lombardia, raggiungere il Piemonte o il Veneto.

Gina Mastrangelo – è il nome del capotreno in questione-  va su e giù per i vagoni, telefonando in Centrale a Milano per risolvere la criticità. Trenord, la società costituita da Trenitalia e Ferrovie Nord che gestisce il trasporto ferroviario in Lombardia, rimbalza la patata bollente a Trenitalia. Due società che dividono l’Italia lungo il Po con una carta dei viaggiatori differente, duellando spesso e facendo a scaricabarile.
E’ passata da un pezzo la mezzanotte, la Mastrangelo tiene duro e con un rimbalzo telefonico che va da Bologna a Milano la spunta, fa la voce grossa, ottiene quattro taxi per far riportare i passaggeri a casa.

A Milano, sotto un diluvio universale, il capotreno bolognese si prende la briga di accompagnare ogni viaggiatore al tanto agognato tassì. Su una di quelle auto ci sono io, mi volto indietro, mentre lei scompare sotto la pioggia.
Mi piace raccontare quest’Italia, fatta anche dalle donne capotreno che di sera e di notte attraversano l’Italia, mettendo a repentaglio la vita su linee ferroviare, poco sicure in alcune tratte.

Siamo diventati così piagnucolosi da raccontare solo il peggio del Belpaese. Il meglio è invisibile all’isterismo collettivo, perchè spesso opera all’ombra. Stamattina a Milano Centrale, poco dopo le 7,  hanno sentito un fischio.
Era la Mastrangelo in divisa, impeccabile come sempre, orgoglio del trasporto ferroviario locale.  E forse su quel treno Regionale con destinazione Bologna qualcuno l’avrà riconosciuta, porgendole un fiore come per dire: “Grazie Gina, perchè la passione che ci metti ogni giorno su questo treno rende a piccole dosi l’Italia migliore”.

Cartolina d’estate: la Swing Avenue di Accordi Disaccordi

Rosario PipoloQuando senti puzza di “proibizionismo” intorno a te, ti viene una smaniosa voglia di gettarti a capofitto nello swing. Dopotutto ogni genere musicale che si rispetti deve fare i conti con la storia che lo ha sputato fuori.

C’è una filettatura sofisticata dello swing italiano lungo la Swing Avenue di Accordi Disaccordi, il duo torinese formato da Alessandro Di Virgilio e Dario Berlucchi, ed è la strada che voglio percorrere in questi giorni d’estate. Quello che mi è finito tra le mani non è il solito disco ma un percorso da fare scalzo, perchè la terra sotto i piedi dovrebbe essere vissuta a contatto con la pelle.

L’altro ieri Buscaglione dimenticato, ieri Buscaglione bistrattato, oggi lungo la Swing Avenue Buscaglione ritrovato nella sincera armonia di Buonasera signorina, prima che nel meraviglioso Valse di Amélie di Tiersen, perla musicale d’oltralpe, scatti il naufragio: nel tremolio delle corde lo swing vibra nel pozzo magico della memoria.

I musicisti bravi non hanno bisogno di elemosina ma di ascoltatori acuti in grado di riconoscerli. Eravamo troppo distratti per accorgerci che proprio la Torino, in cui se ne vanno a zonzo i fantasmi sabaudi, ha partorito Accordi Disaccordi, i nuovi principi dello swing.

Lungo questa strada asfaltata di swing incrocio il sassofono di Emanuele Cisi, il contrabbasso di Luca Curcio e Isabella Rizzo, il clarinetto di Giacomo Smith. Mi distendo nel collage grafico di Stefano Brizzi.

Sto bene qui. Non voglio più tornare indietro.

Quando la donna non va in vacanza e difende altre donne

Rosario PipoloMentre i social network sono affollati di foto al mare di donne in bikini, soddisfatte a pieno per la prova costume, io sono distratto dalle donne che non vanno in vacanza per difendere altre donne. Sarò pure un maschio atipico ma mi piace pensare che ci sia un’altra cartolina da affrancare e spedire sotto questo cielo d’estate.

In una Milano che si spopola per le attese vacanze è più facile accorgersi di giovani donne ccome Vanda che si danno da fare in organizzazioni umanitarie. Quante ce ne sono che, anzichè saccheggiare le passarelle balneari, restano ad investire fino all’ultimo filo di energia, per portare avanti la loro mission di ambassador di organizzazioni a scopo umanitario.

Come fa una donna a difendere un’altra donna? Quando sa urlare a denti stretti che la povertà è sessista perchè le bambine e le donne devono essere al centro della lotta contro la povertà. Queste campagne di sensibilizzazione ci mettono la pulce nell’orecchio: nei Paesi in via di sviluppo la condizione delle donne è davvero disumana.

Così accede che firmare una petizione può corrispondere ad osservare la tenacia di donne testarde fino al midollo. Un’opportunità per riconoscere che il gentil sesso non guadagna consistenza sotto l’ombrellone tra le veline da spiaggia.
Quando la donna non va in vacanza e difende altre donne offre incosciamente un’altra traiettoria alla nostra mascolinità: ricercare la bellezza femminile nell’altrove custode di impegno sociale è l’immagine più radiosa da appiccicare su una cartolina d’estate. 

Disco difettoso nel cofanetto in vinile di John Lennon. Universal Music, cosa si fa?

Rosario PipoloTanto rumore per nulla. L’atteso cofanetto in vinile di John Lennon, messo in vendita poco più di un mese fa, ha una pecca imperdonabile. Nonostante la Universal Music si fosse affidata alla tedesca Optimal Media, tanto decantata per le riproduzioni in LP, il misfatto c’è stato.

Appena ricevuta la mia copia di LENNON, mi sono messo all’opera per la verifica: il difetto non riguarda solo i primissimi pezzi ma tutta la tiratura. Ascoltando la facciata A del disco Rock ‘N’ Roll, ho ritrovato ripetuta due volte la celebre cover di Berry Sweet Little Sixteen. Insomma, gli osannati ingegneri del suono, che hanno lavorato al progetto, hanno lasciato fuori You Can’t Catch Me.

Per non parlare dele riproduzioni delle copertine degli LP, alcune davvero inguardabili: scolorita quella di John Lennon Plastic Ono Band o alterata la cromatura di Milk & Honey. Inoltre, quelli della Optimal Media hanno usato un tipo di carta per gli inserti – vedi Imagine –  che fa perdere l’effetto degli originali.

Non tutti i remake musicali riescono “con il buco” e sicuramente questo omaggio “commerciale” a Lennon non ha niente a che vedere con il lavoro certosino fatto per il Mono box in vinile dei Beatles, uscito nel settembre 2014. John Lennon meritava unicità anche nel packaging, ahimé identico al cofanetto in vinile degli ABBA.

Ci sono cascati anche i miei colleghi delle riviste specializzate nella presentazione del prodotto: le hanno mai viste le ristampe EMI/Capitol degli anni ’80? E’ tempo di rimpiangerle. Scoperto il form dedicato da Universal Music (claim.lennonvinylbox.com) per richiedere la sostituzione del “disco avvelenato”, già una rarità, mi consolo con un ricordo estivo da liceale.

Nel 1988 riuscii a farmi finanziare da mamma l’acquisto dell’audiocassetta di Rock ‘n’ Roll di Lennon. Una mattina non entrammo a scuola e il mio compagno di classe Alessandro mi invitò a casa sua. Prendemmo due panini con affettati in salumeria e poi ci sparammo ad alto volume Let It Be dei Beatles, nella versione in audiocassetta importata da sua madre dalla Francia.
Io ricambiai tirando dallo zaino l’album in questione di Lennon e chiudemmo con queste meravigliose cover rock. La buona musica sa come farti stare bene, oggi come allora, meglio se con la compagnia giusta.

Deludente il Prime Day per i 20 anni di Amazon. Applausi al Customer Care!


Rosario PipoloAmazon
ha cambiato la vita di noi consumatori negli ultimi vent’anni e ha scritto il trattato dello shopping on line. Da una parte ci ha privato dell’atmosfera retrò e sentimentale di entrare in un negozio, guardando in faccia il venditore; dall’altra ha permesso a tutti noi di acquistare h24 qualsiasi “oggetto del desiderio”, spesso anche a prezzi stracciati, al di là delle polemiche sul fisco.

Sarà pure che questi pacchi vaganti, rispetto a ieri, arriveranno dai magazzini di Amazon a noi nel giro di un giorno, ma questo Prime Day del 15 luglio è veramente fuffa. I discepoli del Marketing di Bezos avevano promesso una giornata di sconti  pazzi a tempo, da far impallidire il Black Friday.
Ahimé, niente di tutto questo, almeno per quanto riguarda Amazon Italia. Gli “amazoniani” incalliti, svegli ad aspettare la mezzanotte, si sono dovuti ricredere, forse perchè questa è la classica operazione commerciale svuota-magazzino di mezza estate.

Durante il corso di questa notte, a parte qualche timida occasione, mancavano all’appello gli affari colossali in stile reale  “sottocosto” da farci fare i nottambuli: in lista troppi prodotti inutili e per i pochi interessanti il prezzo di partenza era quello di listino che, anche per i casi del 50% di sconto, non avevano l’appetibile convenienza.

Chi si aspettava algoritmi impazziti e prezzi folli ha mollato già il tiro. Se entro le ore 24 di questo 15 luglio Amazon ci facesse una sopresa folgorante?  In compenso però questa mezza festa del Prime Day va condivisa con il Customer Care di Amazon, in Italia sempre più efficiente. Ne è passata di acqua sotto i ponti ed oggi gli operatori sono davvero impeccabili.

Festeggiamo allora tutti gli operatori del Customer Care, da Vincenzo a Giuseppina, da Daniela a Michele – la maggior parte delle voci rispondono dalla Sardegna –  perchè ci ricordano che anche il successo di una macchina bionica, quasi invincibile alla Amazon, è fatto dalle risorse umane. Medaglia al valore a Laura P., operatrice modello nella gestione delle criticità. Oggi, nel Prime Day, restituiamo ad Amazon un pacco “con un fiore”. E’ per tutti loro.

Zivago non torna: Omar Sharif e la bellezza del musulmano d’Occidente

Rosario PipoloOmar Sharif fu Zivago, dalla prima all’ultima sequenza di uno stralcio di letteratura firmato dal russo Pasternak che l’inglese David Lean aveva impresso sulla pellicola. Sharif fu il medico innamorato per la generazione di mia madre, che avrebbe rinunciato alla più yeah-yeah delle festicciole danzanti fatte in casa pur di bucare il grande schermo, facendosi stringere forte dal dottor Zivago.

Omar Sharif, il cui cuore si è fermato nel pomeriggio estivo di ieri alla veneranda età di 83 anni, è stato il ritratto del divo atipico, colui che nessuna industria cinematografica è riuscita a possedere.
Il grande attore egiziano, che con il passare degli anni aveva preferito il tappeto verde dei tavoli da gioco a quello rosso dei festival di cinema, era sfuggito ai fasti di Hollywood così come al Rinascimento del cinema britannico, ricompattato dalla macchina da presa oleografica di David Lean, a un tiro di schioppo da Il Dottor Zivago e Lawrence D’Arabia.

Se Omar Sharif aveva quasi rinnegato il Dottor Zivago per i troppi chiaroscuri romantici e sentimentali, alla maggior parte di chi lo ricorda oggi sfugge quanto Sharif sia insostituibile. E’ un prodigio raro che un personaggio letterario traslochi dalle pagine di un romanzo alle sequenze di un film facendo coincidere l’immaginazione da lettore alla visione da spettatore.

Lo ha avvertito anche la mia generazione che non ha visto il film di Lean sul grande schermo, recuperando strada facendo. La sequenza finale del melodramma d’amore con gli occhi e i baffi di Zivago che rincorrono Lara mi è apparsa attraverso un televisore in bianco e nero alla fine degli anni ’70; si è ingrandita su uno schermo a colori degli anni ’80; è ringiovanita su un recente LCD  e mi ha folgorato nella copia restaurata dell’Anniversary Edition in Blu-Ray.

La faccia di Zivago ce l’ha data in prestito un musulmano d’occidente. Omar Sharif aveva tatuato sulla pelle la bellezza di due culture che, quando non si osteggiano, sanno donarsi luce e arricchimento reciproco.

“La fiaba racconto di vita” in una sera d’estate

Rosario PipoloIl debutto del mese di luglio mi riporta alle sere d’estate in villeggiatura con la mia famiglia. L’infanzia ha un timbro per ciascuno di noi. La mia porta quello delle fiabe che nonna Lucia filava per me.
Erano custodite nel tempo della tradizione orale, tramandate da genitori a figli. Ce n’era una che proveniva da Lo cunto de li conti di Basile, meraviglioso scrigno di fiabe in napoletano del XVII secolo, che nonna Lucia aveva scoperchiato per me.

Le fiabe non sono abitate soltanto da lupi cattivi, bambine incappucciate, principesse scalze o streghe imbruttite dall’avidità. Nell’eBook La fiaba racconto di vita di Anna Riva ed Eugenia Russo (InKnot Edizioni) le nostre storie quotidiane legano i granelli di questa collana fiabesca, quasi a voler dire che, nonostante le brutture e i tiri mancini della vita, il vivere in comunione con chi ci sta davvero a cuore può ispirare una fiaba.

Mentre l’ingordigia e il narcisismo affondati nei social network riducono il racconto della vita privata a pattumiera di volgarità, questo eBook ci indica una scorciatoia per isolarci dal chiasso furibondo del nostro tempo: Torniamo a leggere in queste sere d’estate fiabe ispirate alla vita di tutti i giorni, quelle che, pur non avendo sempre il lieto fine, posseggono le virtù autenticate dalla nostra esistenza.

Vivere non è né noia né routine. Vivere non è né abitudine né ripiego.  Vivere è consistenza e la consistenza è fatta del tentativo di impegnarsi a sfidare il destino, facendo sì che la fiaba racconti la vita.
Perciò mi piace pensare che Anna Riva ed Eugenia Russo abbiano trasformato anche me in uno dei personaggi di questi racconti delicati: Il delfino affronta il mare della verità e della libertà illuminato da una stella in cielo.

Mare e cielo non si incontreranno mai così come il delfino e la stella. Resta la linea dell’orizzonte come unico punto di contatto e testimonianza del tentativo di sfidare il destino.
Il debutto del mese di luglio mi riporta alle sere d’estate in villeggiatura con la mia famiglia. L’infanzia ha un timbro per ciascuno di noi. La mia porta quello delle fiabe dondolanti tra quelle di nonna Lucia e quelle di oggi in cui il vivere si mescola a La fiaba racconto di vita.

Diario di viaggio: La foiba di Basovizza e la ferita aperta di Trieste

Rosario PipoloTrieste mi appartiene. C’è il riverbero di Joyce degli anni del mio “studio matto e disperatissimo” dell’Ulisse; è crocevia di culture; è culla di storia che fa di ogni impronta etnica il cumulo del sogno futuro di ciascuna comunità. Trieste custodisce la memoria con riservatezza, senza troppo rumore, senza civetterie.

La mia estate comincia sul carso triestino, alla foiba di Basovizza. Qui il tempo sembra essersi fermato. E’ più di un presagio questo stadio di sospensione. E’ come se la storia ci volesse sculacciare per aver fatto finta di niente; per essercene disinterassati sui banchi di scuola; per non aver provato sdegno quando ci siamo accorti che in tanti in Italia non sapevano che una foiba fosse la fossa aratra di un campo di concentramento.

Dopo le mie tappe ad Auschwitz e Redipuglia, eccomi a Basovizza: il silenzio urla a voce alta disperazione. Disperazione per aver coperto i partigiani jugoslavi – complici furono gli stessi anglo-americani quando era necessario avere come alleato “il compagno Tito” – che trucidarono in questo inghiottitoio migliaia e migliaia di italiani.

La storia non si studia solo sui manuali tra i banchi di scuola. La storia si affronta di petto, perchè gli eccidi appartengono a nazisti, fascisti e comunisti. Complice e criminale è stata quella classe politica italiana che sapeva ed ha mentito alla propria coscienza.
Il riconoscimento della foiba di Basovizza come monumento nazionale da parte del nostro Presidente della Repubblica – accadde nell’anno della mia maturità classica – non smuove il fango della vergogna con cui è fatto il mantello della nostra Prima Repubblica.

C’è un’odiosa classe politica italiana frequentatrice di salotti e figlia  di quella generazione che strizzò l’occhio al compagno Tito. Questa è una disfatta morale, prima che politica. La mia estate comincia qui alla foiba di Basovizza, mentre si squarcia la commiserazione della memoria collettiva.