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Archives 2015

Benedetto, angelo nella mia vita caduto in volo

Rosario PipoloLe penne dei miei colleghi colano inchiostro avido di notiziabilità tra ritagli di giornale, bagnati di lacrime dopo la tragedia consumata. Del fatto di cronaca con il tempo resterà solo lo spettro agghiacciante della lanterna volante, luminosa come il cuore di un giovane di periferia, il piccolo guerriero che aveva fatto della generosità l’arma per affrontare la vita.

La mia penna ha trattenuto l’inchiostro nelle ultime ventiquattro ore, affinché le lacrime non offuscassero la memoria in questa Milano, che ha visto piegarmi in due alla fermata del tram: è lì che si sono spaccati a metà i miei  40 anni.

Nella prima parte ho cercato di capire come questo angelo fosse capitato nella mia vita. Era scritto nel destino della terra sotto i piedi: i nostri nonni erano legati da un’antica amicizia, capace di trasformare una masseria in un cantiere di sogni futuri dal sapore contadino. E poi fu il tempo di vederlo crescere nel pancione della mamma; e poi arrivò la volta che lo reclutai per fare il pastorello in un presepe vivente inscenato da me e abitato da soli bambini.
Rosa, la sorella più grandicella, gli bisbigliava all’orecchio: “Mi raccomando, questa è una cosa seria. Siamo in un presepe”. Benedetto, faccia d’angelo, le diede retta. Rimase composto per tutta la rappresentazione.

Nella seconda parte dei miei 40 anni mi sono ritrovato un angelo cresciuto, assiduo mio lettore, che aveva fatto di tutto per regalare al papà il mio romanzo. Colse tante sfumature in quella lettura tanto che, alcuni mesi fa, in piena notte, gli mandai una vecchia foto scovata nel mio archivio.
Lo scatto ritraeva la sorellina Amalia tenuta per mano dalla cugina più grande, che fu l’amore della mia vita. Fu proprio il volto di Amalia la piccola – chiamata così in famiglia per distinguerla dalle omonime e dall’affettuosa capostipite nonna Amalia – ad ispirarmi la sagoma e le movenze di Giulia, il personaggio piccino del mio racconto.

Nel legame ritrovato con questo angelo abbiamo condiviso la passione per la vita e per il viaggio, opportunità di crescita e di cambiamento; le confidenze di un tempo che ormai sembrava lontano; le scorribande sulla mia vespa rossa messe a confronto con la sua moto da sogno; il sentimentalismo che ci accomunava, indicatore della traiettoria per cui l’amore davvero può fare cose grandi.

Oggi il mio angelo caduto in volo mi riporta a prendere per mano la mia piccola donna di allora, a tenerla stretta a me per condividere questo dolore comune, proiettandolo nella reciprocità del nostro amore riflesso in quello che continueremo a provare per lui p>

Ora posso dichiararlo pubblicamente, perché a 40 anni non si può essere vigliacchi con i sentimenti. L’angelo caduto in volo è mio cugino. Buon viaggio, Benedetto.

Trenord, la sicurezza in treno è un diritto di chi lavora e chi viaggia

Rosario PipoloPercorrendo in treno più di 30.000 chilometri all’anno attraverso la regione Lombardia, per giunta in qualsiasi fascia oraria, mi calza a pennello l’appellativo con cui mi incoronò un capotreno qualche anno fa: “L’instancabile viaggiatore su rotaie”.

L’aggressione ad un capotreno e un macchinista, avvenuta la settimana scorsa su un treno locale nella stazione di Milano Villa Pizzone, merita solidarietà e supporto non solo dei pendolari, i quali giorno puntano il dito contro la mala gestione locale di Trenord e i costi eccessivi dei titoli di viaggio.

Richiede un piano di intervento immediato dell’azienda, che ha il sacrosanto compito di garantire sicurezza ai propri dipendenti, mettendoli in condizione di svolgere al meglio il proprio lavoro, anche durante i turni serali e notturni. Richiede la voce grossa della Regione Lombardia, perché le istituzioni siano convinte che ora ci vuole il pugno di ferro, accartocciando la strumentalizzazione politica che vorrebbe la tolleranza sulla lancetta a Sinistra e l’intolleranza sulla lancetta a Destra.

Ho visto uomini e donne, tra i trenta e i cinquant’anni, nelle vesti di capotreno gestire criticità davanti ai miei occhi, da soli, persino sulle linee ferroviarie che, appena fa buio, si trasformano in un set dell’orrore: provate a viaggiare dopo le 8 di sera su un convoglio locale che da Pavia si spinge verso Genova o tra Lodi e Piacenza dove, a ridosso delle stazioni di Casalpusterlengo o Codogno, sembra di essere finiti nel vecchio West in attesa del momento migliore per l’assalto alla diligenza.

Dei soldi che ci spillano dall’abbonamento mensile o dal biglietto di una corsa semplice quanto viene investito da Trenord e Regione Lombardia per la salvaguardia della sicurezza del viaggio sui treni locali?
L’efficienza nel trasporto locale non si misura solo in manutenzione delle vetture ma nel far sentire chi lavora o chi viaggia al sicuro a qualsiasi ora, anche quando a fine ottobre si spegneranno le luci del luna park di Expo 2015.

Carlo Di Napoli ha rischiato di perdere un braccio e il suo compagno di sventura di morire. Chi sarà il prossimo? Lo slogan di Trenord “Your Way To Expo” con 380 treni al giorno si sbiadisce se viaggiare sui binari ci fa correre chissà quali rischi. Qui non si tratta di sgominare semplicemente una gang di criminali, ma di attivare un piano di intervento per la sicurezza che ci faccia tornare ad essere “instancabili viaggiatori su rotaie”.

Giancarlo Berardi, Genova per noi

Rosario PipoloIn pochi sanno che sei prima di tutto uomo di teatro. Giancarlo Berardi, il legno del palcoscenico ci toglie di dosso quella svogliatezza che vorrebbe farci vivere con ossessione la vita come attaccamento agli oggetti, senza pensare che sono gli uomini e le loro storie il motore della vita.

Genova per noi, Giancarlo Berardi, perché le tue storie sono state scialuppe di salvataggio per la mia generazione, condannata al naufragio sull’isola del riflusso. Oltre la linea dell’orizzonte che separa il mare dal cielo di Genova non c’è solo il viaggio dei naviganti Faber & Pagani tra le onde di Creuza de ma. Ci sono le praterie che sconfinano nella frontiera del Western, ci sei tu nascosto sotto i panni di Ken Parker.

Genova per noi, Giancarlo Berardi, perché il compianto Sergio Bonelli ebbe ragione a dirmi che dentro “ogni storia a fumetti c’è la vera anima dello sceneggiatore”, appiccicandomi addosso la medaglia perché per lui un bravo giornalista giovane si riconosceva dalle domande intelligenti.

Genova per noi, Giancarlo Berardi, perché c’era un’altra prospettiva attraverso cui guardare il gioco della vita, scendendo dalla diligenza di Ombre Rosse di John Ford. Era sul viale del tramonto che fece di Soldato blu e del cinema western crepuscolare l’ultima scorciatoia per vivere con realismo l’amara finzione del giocare a soldatini e indiani.

Genova per noi, Giancarlo Berardi, a te che sei stato lo sceneggiatore di fumetti che sparò a Liberty Valance, liberandoci dalle asfissianti catene che volevano il western a fumetti recintato nel mondo di Tex Willer. Oggi sei tra i pochi in Italia a godere il privilegio di essere penna del presente che guarda al futuro senza il piagnisteo nostalgico dei tempi andati. Si scrive anche per difendere la coscienza civile.

Genova per noi, Giancarlo Berardi, mentre attraverso Via Del Campo come se fossi Ken Parker che incrocia Julia e ne riconosce la sua Audrey. L’amore ci rende liberi ad ogni svolta della vita. Questa non è lucida follia.

Ho percorso chilometri di sogni per imparare ad amare ed essere migliore. La strada me l’hai spianata tu.

Diario di viaggio: naufrago sull’Elba di casa mia

Rosario PipoloL’Elba è l’isola che non ti aspetti, soprattutto se ci capiti per un viaggio fuori programma. È Caprese negli spicchi che cantano a squarciagola la salsedine del mare cristallino di Cavoli; è Corsa nell’entroterra che fa delle alture e della vegetazione la plancia contadina dell’isola che non c’è.

L’isola c’è ma non solo nella costa frastagliate che agguantano la baia di Sant’Andrea o le spiagge selvagge avvistate oltre Porto Azzurro. L’isola esiste sulle alture dei borghi sospesi come Marciana Alta, dove le vecchie case scoperchiano la consistenza della memoria o nell’acqua della fonte napoleonica che rumoreggia sulla piazzetta di Poggio.

Si può essere elbani quando Angelo di Poggio trasforma l’ospitalità di un Bed & Breakfast in un canto di storie e di aneddoti che ti fanno mescolare con quella gente per un giorno, per due, per tre, per sempre.
Si può essere elbani quanto le pappardelle fatte a mano da Antonella di Porto Azzurro fanno inghiottire al gusto dell’entroterra i sapori della costa così che i funghi porcini aggrediscano cozze e vongole.
Si può essere elbani quando scopri che la donna affacciata alla finestra è Emilia Pignatelli, scenografa di Fabrizio De Andrè e occhio poetico che rese infrangibile la bambina sulla copertina di Anime salve, album testamento di Faber.

Mentre il turismo di massa se ne sta in spiaggia tra il chiasso di pisani e livornesi litiganti furiosi per accaparrarsi un posto auto, sbucano le cafoncelle vestite di goffaggine provinciale e preoccupate di collezionare tintarella e tuffi, perché illuse di essere chic.
L’isola dell’Elba le fa tornare a casa con un palmo di mosche in mano, le lascia senza abbronzatura, e per giunta con fastidiosi starnuti allergici, sculacciandole e mortificandole per la vuotezza da fradicia turista.

L’Elba premia invece il viaggiatore che sa ascoltare il richiamo della memoria, salendo le scale di Porto Ferraio e riconoscendo il rigurgito della storia rinchiuso tra le mura domestiche di Villa dei Mulini: l’epopea di Napoleone Bonaparte colta sul viale del tramonto dell’esiliato, tra le pagine dei libri ingialliti e il rumore dei passi dello spettro che l’ode manzoniana custodì integra nella sua totale umanità, come il faro che si intravede dalla finestra.

Vorresti non ripartire più, ma ormai la nave è salpata e ti obbliga a guardare in direzione della terra ferma, verso gli scheletri dell’Italsider di Piombino che invece nascondono tutt’altro. In treno incroci Stefania, psicologa e insegnante,  che ti svela l’altra faccia di Piombino e allora forse è già quello punto di partenza del viaggio che verrà.

A Pisa, in piazza dei Miracoli, attraverso gli occhi chiari di Simona, ritrovo riflesso il mare cristallino dell’isola dell’Elba. Danzano i ricordi e le nostre anime di viaggiatori che si tengono per mano. Il futuro è negli zaini che la vita ci ha messo addosso perché, attraverso questa instancabile voglia di viaggiare, riconosceremo nell’altro lo specchio per guardarci nell’anima da vagabondi e capire quale sarà la prossima meta. Il viaggio non finisce, mai e poi mai.

La “fifa” del Padrino del pallone gonfiato

Rosario Pipolo“Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare”. Il Padrino era troppo sicuro di sé, avrebbe agito da “pallone gonfiato”, perché la ragnatela che aveva tessuto occultava il sistema. Era un mondo quasi perfetto.

E quando gli affari venivano conclusi e il profumo della mazzetta apriva le narici, allora il don Vito Corleone del pallone ghignava: “Un giorno, e non arrivi mai quel giorno, ti chiederò di ricambiarmi il servizio, fino ad allora consideralo un regalo”.

Quando mai il pallone ha fatto goal nella rete dell’America? Gli americani mangiucchiavano e sputavano noccioline ad un partita di football, ad un match di rugby e si ricordavano del calcio solo quando c’erano i Mondiali.

“Mai dire a una persona estranea alla famiglia quello che c’hai nella testa”. Don Vito ebbe l’illuminazione di portare il pallone d’oro tra le lobby americane. Tanto a riempirlo di passione ed entusiasmo ci avrebbero pensato i sudamericani di frontiera, figli della generazione che aveva consegnato il pallone tra i piedi degli dei delle favelas, rendendolo un dio pallone nel mondo.

Don Vito annuì: “Perché un uomo che sta troppo poco con la famiglia non è mai un vero uomo.” Quaranta anni fa due bravi giornalisti sgominarono il clan insediato a Washington, facendo dimettere il peggiore Presidente degli Stati Uniti d’America. Cosa riuscirà a fare oggi l’FBI contro la lobby del “pallone gonfiato”?

Altro che mani nella marmellata. Questa è davvero merda essiccata al sole. E’ giunta l’ora della “fifa” anche per il padrino del pallone gonfiato?

I quattro moschettieri di TBNet e la rivincita dei Travel Blogger in Italia

Quando alla BIT di Milano del 2013 Francesca Di Pietro, Cristiano Guidetti, Marco Allegri e Federica Piersimoni presentarono il progetto di TBNet, qualcuno pensò ad un’incauta bravata che avrebbe avuto vita breve.

Chissà in quanti, seduti in redazione, storsero il naso nei giorni caldi in cui i blogger erano percepiti come insidia per il giornalismo da viaggio tradizionale. @chediporto, @viaggiovero, @nonsoloturisti e @federchicca – questi i nickname che li hanno resi piccole celebrità della Rete – avevano avuto l’intuizione di mettere insieme il meglio dei blogger e influencer del travel italiano, trascinando nella retata anche la sobria Francesca Barbieri (@fraintesa), tra le prime blogger a bucare lo schermo tv di Alle falde del Kilimangiaro, o la toscana naif Michela Simoncini (@comunicami).

L’unione fa la forza? Ebbene sì. Questa volta l’intuizione non è giunta dalla “social media centrica” Milano ma da una cordata periferica, che dalla Napoli della Di Pietro è passata per l’Emilia-Romagna di Guidetti e Piersimoni, spingendosi fino alla bergamasca di Allegri. In poco più di due anni dal battesimo 2.0 anche i più scettici si sono dovuti ricredere.

TBNet ha supportato il mondo del travel e della promozione turistica, guidando riflessioni e discussioni nella rubrica chat su Twitter  #TbNetalks e, infine, scommettendo su un momento di formazione rivolto a giornalisti, blogger e operatori del settore, conquistando Milano dal 22 al 24 maggio.
Il #TBNetalks Travel Media Forum più che l’atmosfera ingessata e noiosa di un “forum” ci ha fatto ritrovare quella informale di un “camp”, senza perdere l’autorevolezza di speaker come lo strategist Andrea Fontana, la giornalista Rosa Maria Di Natale, il videomaker Emiliano Bechi Gabrielli o l’instagramer Orazio Spoto.

Sette anni fa urlai sottovoce, nel bel mezzo di una riunione di redazione, che il reportage di viaggio “da catalogo” sarebbe stato ghigliottinato dalla community con l’affermazione dei social media. Il tempo mi ha dato ragione e il ciclone ha scoperchiato pure i patinati online.
I travel blogger hanno restituito al lettore la sua prospettiva di viaggio, calata nella quotidianità del viaggiatore. Il lettore si immedesima quando Federchicca racconta della preparazione della valigia; Chetiporto snocciola tips dall’ennesimo viaggio in solitaria o Fraintesa incrocia i canguri nella sua spedizione australiana.

Da oggi TbNetalks non è più un hashtag ma una nuova frontiera per vivere e raccontare il viaggio. I quattro moschettieri di TBnet hanno stravinto la scommessa, imponendosi tra gli over 30 che sanno essere punto di riferimento del travel blogging in Italia, anche verso aspiranti blogger come chi mi ha confessato: “Di notte faccio la custode in un museo. Di giorno faccio la spola tra Torino e Milano per formarmi quando ci sono occasioni preziose come quelle di TBNetalks. Per dormire c’è tempo”.

David Letterman e l’America oltre la TV

Rosario PipoloL’America, conficcata tra la presidenza di Truman e quella di Nixon, si stropicciò gli occhi guardando l’Ed Sullivan Show, lo storico programma televisivo che allevò più generazioni, inclusa quella che, nella puntata del 9 febbraio del ’64, annusò che la musica degli sbarbatelli Beatles avrebbe potuto fare le scarpe ad Elvis.

David Letterman, icona dell’intrattenimento televisivo d’oltreoceano degli ultimi quarant’anni, si è fatto erede di Ed Sullivan e ha traghettato gli USA del piccolo schermo televisivo attraverso i decenni ondulanti tra la politica pirotecnica reganiana e quella pseudo-sociale di Obama.

Non state leggendo un necrologio, perchè Mister Letterman non è morto. Va a godersi semplicemente la meritata pensione e spegne un pezzo di storia della televisione americana. Anzi no, diciamocela tutta: mette per sempre il sigillo alla scatola stregata che ha fatto il bello e il cattivo tempo di un Paese.

In Italia ci siamo dovuti accontentare facendo zapping tra i siparietti nazional-popolari del Maurizio Costanzo Show. Agli americani è andata meglio di noi con il Late Show. Letterman ha scremato i ruoli del conduttore, del comico e del “giornalista” mancato, mischiandoli in un gioco sottile tra ironia, satira, denuncia.

Per chi non se ne fosse accorto, David Letterman è stato anche la rivincita di un tipo di televisione, che in Italia abbiamo scimmiotato male nella belle epoque del berlusconismo catodico.
Letterman, armato di nonchalance sofisticata e per certi versi “con la puzza sotto il naso”, è stato così abile ad abbattere la corazza e i tabù della star monumentale che la poltrona dell’ospite ha fatto anche da confessionile gonfiabile.

Tra la scrivania di Letterman e lo scottante sofà su cui si sono seduti gli ospiti c’è stata la distanza di sicurezza sufficiente per accorgersi del carisma del padrone di casa, in tante occasioni più ospitale e arguto degli inquilini potenti che si sono succeduti a Washington.
Nel 1981 Hollywood spedì un attore in pensione alla Casa Bianca. Chissà che domani non ci riesca la tv del Late Show.

Storie di casa mia: Antonio, il guerriero su due ruote

Rosario PipoloQuando alla fine degli anni ’80 i miei genitori cambiarono condominio e quartiere, entrarono nella mia vita nuove persone. Sono i volti che nascondono storie e solo in apparenza sembrano comparse della nostra vita. In realtà alcuni di loro ne diventano incosapevolmente coprotagonisti, dando consistenza alla “nostra esistenza da mendicanti”.

Sì, perchè siamo luridi mendicanti tutte le volte che viviamo sotto il ricatto della distrazione. Durante gli anni del liceo scoprii che dietro il sorriso di Antonio si insidiava la sclerosi multipla: minacciosa, lenta, improvvisamente aggressiva. Furono la strada e il nuovo quartiere a farmi affacciare nella sua vita.
Nei giorni a ridosso della maturità era Antonio che mi incoraggiava, lì sulla sua carrozzella. Con Antonio non si facevano discorsi banali da macchinetta del caffè: si parlava di progetti, di sogni, di politica, di Dio, di filosofia spicciola infusa di quotidianità. Antonio era più grande di me ma aveva tanti bei sogni sul comò.

Mi piacevano di lui la sana ironia e il sarcasmo, perchè fanno di un giovane intelligente anche un uomo di buona fede. In un pomeriggio di maggio, a pochi mesi dalla mia laurea, mi chiese di spingerlo in carrozzella fino al supermercato. Tappai limbarazzo, io avevo l’uso delle gambe e lui no. Antonio lo capì e mi spiazzò, dandomi una bella lezione: “Prestami le gambe, spingi, spingi, non avere paura”.
In quell’istante presi coscienza del fatto che Antonio fosse un guerriero impavido e coraggioso, che con la sua passione per la vita metteva a tappeto giorno dopo giorno la sclerosi multipla. Antonio aveva da dare tanto a tutti noi “mendicanti distratti dalla routine”.

Dopo il trasferimento a Milano, io e Antonio ci siamo persi di vita. Ci siamo ritrovati la scorsa notte quando, fuori da un supermercato, è sbucato un carrello vuoto e abbandonato. L’ho afferrato, ho iniziato a spingerlo furiosamente tra rabbia e dolore, nel buio della notte tra i semafori lampeggianti, come se fosse la carrozzella di Antonio. Sapevo che il guerriero su due ruote non poteva rispondermi più.

Vent’anni fa prestai le gambe ad Antonio. La scorsa notte ha ricambiato il prestito altrove, a pochi passi da dove vivo oggi: il ricordo del sorriso del guerriero su due ruote ha schiaffeggiato mie lacrime da quarantenne bagnate dalla pioggia, ricordandomi che la bellezza di Dio sedeva accanto ad Antonio, amico di quartiere, su quella carrozzella.

Benvenuti al Luna Park di Expo Milano 2015

Una settimana a Expo Milano 2015 per tenere sotto osservazione e raccontare, attraverso i miei canali social, i primi giorni della tanto criticata Esposizione Universale. Nonostante le polemiche e gli scheletri nell’armadio, è meglio farsene una ragione: Milano sarà nell’occhio del ciclone da qui ai prossimi sei mesi.

La “terra promessa” non ci è stata concessa: il viale principale, il cosiddetto Decumano, richiama l’avenue di Disneyland a Los Angeles con enormi padiglioni a destra e sinistra. E le aree verdi? I disfattisti urlano “sagra paesana”, gli ottimisti si limitano a dire semplicemente atmosfera da Luna Park, con la pecca dell’ invadenza di alcuni brand, soprattutto nella confusionaria zona italiana.
Lo show dell’Albero della Vita, che appena fa buio incanta grandi e piccini, varrebbe da solo l’entrata serale low cost da 5€, anche se in fin dei conti riproduce un’attrazione ben fatta di un grande parco giochi.

Scusate, qui non si doveva parlare di cibo e nutrizione? Il dubbio scatta perché alcuni Paesi sono andati fuori tema e pensano di essere finiti in una fiera dove si fa propaganda turistica. Nonostante tutto, ecco i Padiglioni da non perdere: Repubblica di Corea per le istallazioni sulla fame nel mondo e nutrizione; Giappone per poesia, magia e fantasia prima dello show interattivo sul cibo; Brasile per la giocosità della rete e le proposte per sfamare il mondo; Germania per interattività, intelligenza sostenibile e percorso a misura di studente;  Olanda per un futuro sostenibile nel gusto retrò di un luna park en plein air; Messico per la sovrapposizione della nutrizione sull’arte nel cerchio della rigenerazione della vita; Angola per l’armonia tra cibo, vita e terra; Svizzera per la lezione intelligente contro gli sprechi alimentari; Kazakistan per la spettacolarità della memoria e l’uso del cinema 3D; Emirati Arabi per la connessione tra ciò che eravamo e ciò che saremo; Thailandia per la memoria del Re dell’agricoltura; Colombia per l’equilibro tra natura e uomo.
Menzioni speciali al Padiglione 0, per la narrazione da set cinematografico, e alla sala degli specchi di Palazzo Italia.

Per quanto riguarda i ristoranti, in questo mio primo giro, passano il turno l’Angola con la  chef Elsa Viana; l’Uruguay con lo chef Rodrigo Fernandez;  l’Olanda e la cucina fusion con lo chef Sergio Oddovero e lo zampino dell’olandese Anne Pekelharing ;  il Giappone con lo chef Shinjii Wakasugi del ristorante Kakiyasu; il Kazakistan nel gusto del Lagman; lo street food della Colombia.

In fine dei conti, cosa fa brillare il logo Expo Milano 2015?  La disponibilità, la cortesia e il sorriso di tutti coloro che vi lavorano, dai volontari agli addetti alla sicurezza. Forse è proprio il caso di vivere questa Esposizione Universale con l’occhio lungo del backstage e smontare qualche pregiudizio di troppo.

La Festa della Mamma che verrà

Rosario PipoloOsservando diversi “pancioni” intorno a me, mi vien da pensare che questo 10 maggio annuncia la Festa della Mamma che verrà, quella dell’anno prossimo, quando il bimbo o la bimba saranno tra le braccia della neo mamma.

Tutto sommato si potrebbe condividere già un accenno visto che, nel grosso marsupio naturale, c’è il nascituro che scalpita per affacciarsi alla vita.
Prospettiva apparentemente diversa è quella del figlio, soprattutto quando accade che la mamma non c’è più e, ripensando alla Festa della Mamma dell’anno precedente, mai avremmo immaginato che sarebbe stata l’ultima condivisa insieme.

Da una parte scatta lo sgomento di non trovarla più al posto suo per farle gli auguri, darle un bacio, lasciarle sulla credenza del soggiorno il mazzo di fiori profumato che le piaceva tanto. Dall’altra fiorisce una rabbia istintiva,  perché non poter festeggiare la mamma è un’ingiustizia per noi figli.

Ecco che germoglia la festa della mamma che verrà. Non si tratta di un abusivismo nel giorno dedicato a tutte le mamme, piuttosto di un ampliamento di visuale ciclica che abbraccia passato e futuro.
Restiamo figli per sempre, anche quando abbiamo un nuovo nucleo familiare, anche quando ci ritroviamo randagi solitari dall’altra parte del mondo.

La Festa della Mamma che verrà non è recintata nella claustrofobia emotiva di una domenica, ma va al di là di ciò che è stato il nostro legame con lei nella quotidianità della vita. E’ ritrovare un rapporto unico e continuativo che galleggia nell’universo, un amore scritto all’alba della vita. Perciò la Festa della Mamma che verrà non è dedicata solo alle “mamme in dolce attesa”, ma anche a tutti i figli testardi e convinti che lei verrà.