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Archives Luglio 2016

Benvenuta Eleonora Maria, che mi fai zio alla vigilia del compleanno

zio_nipotinaRosario PipoloQuando 40 anni fa mi svegliarono all’alba di una domenica d’autunno per portarmi alla clinica dov’era nata tua mamma, ero convinto di selezionarla attraverso la vetrata del nido. Chi mi aveva messo in testa che le sorelle si sceglievano come al supermercato?

In questi nove mesi, cara Eleonora Maria, ti ho aspettata in un trepidante silenzio, perché la volgarità e il chiasso di questo tempo mi hanno fatto rivalutare l’eloquenza della riservatezza. Si tratta di preservare fasi importanti della vita dalla dilagante estraneità appartenente ai tanti invasori del nido di intimità, che per fortuna culla, a nostra insaputa, la voglia legittima e continua di cambiamento.

Quarant’anni dopo lo sbarco dalla luna di tua mamma, che cambiò la rotta della mia crescita per scipparmi alla tristezza di restare figlio unico, arrivi tu dalla medesima luna, restituendo alla mia esistenza un ponte tra passato e futuro. Ad una manciata di ore dal mio compleanno, ci legano come un filo di spago teso lo stesso segno zodiacale e i rimandi dei nostri nomi alla ragazza madre di un grande profeta dell’umanità.

C’è chi fa lo zio per passatempo, chi per legame di sangue, chi per un ruolo sociale, chi per dovere morale. Io non riuscirò ad esserlo per nessuno di questi motivi. Da viaggiatore della vita, infilato nei panni del Corto Maltese della matita di Hugo Pratt, sono scappato dalla tribù e dai regimi sociali della famiglia, schivando l’altalena del vivere per apparire, per dare un senso ai legami costruiti strada facendo.
Io e te, Eleonora Maria, saremo fatti dello stesso impasto dei sogni della vita che condivideremo. Non sarò un compagno di viaggio noioso che vuole dare insegnamenti. Le lezioni della vita le ho cercate e ricercate, ho disobbedito alla scolastica dell’eredità, ho difeso a denti stretti la libertà individuale, perchè senza di essa non ci può essere libertà collettiva.

Eleonora Maria, difendila la tua libertà di esistere, a modo tuo, anche se un cantautore non riuscirà a scriverti una canzone, un regista a dedicarti un film, uno scrittore a farti giocare a nascondino in un romanzo, un pittore a farti specchiare su una tela.
Sii te stessa quando ti accorgerai di avere un paio d’ali per attraversare in volo la vita, senza perdere di vista i piccoli dettagli, perché sono proprio quelli a far della felicità il sottile equilibrio tra crescita e mutamento dell’anima. 

La tua bellezza abbaglia di luce questo nuovo giorno e tu sei il regalo di compleanno più bello della mia vita. Grazie per aver aspettato che mi staccassi dal PC  e dalla scrivania per vederti, alle 19.05 in punto, venire alla luce. Che sbadato, non mi sono presentato. Mi chiamo Rosario, sono tuo zio.

Buon viaggio nella vita, Eleonora Maria.

eleonora_ribbon

Musica nigeriana a palla contro il razzismo che ha ucciso Emmanuel Chidi Namdi

william_onyeabor

Rosario PipoloOggi dall’archivio posso tirar fuori con orgoglio tutti i vinili del nigeriano William Onyeabor. Mi importerà poco della vicina di casa, che si lamenterà della musica a palla per il bimbo che fa la nanna. Sveglieremo il piccolo con questo funky graffiante che viene dall’Africa, per raccontargli dell’Italia razzista, dopo la morte senza scrupoli del giovane Emmanuel Chidi Namdi.

Un ritaglio di cronaca da film dell’orrore che ha indignato la comunità di Fermo, nelle Marche, dove Emmanuel era arrivato insieme alla sua ragazza per fuggire dal terrorismo di Boko Haram. Il trentenne nigeriano è stato ucciso dopo aver difeso la fidanzata da  atti di razzismo. E adesso cosa si fa? Affonderemo la rabbia nella vendetta e nel linciaggio dell’ultrà marchigiano che si è macchiato di sangue?

La giustizia avrà da fare il suo dovere, ma noi dovremmo cominciare ad interrogarci seriamente su quanto le insidie del razzismo si siano infiltrate nei piccoli centri dell’Italietta di provincia. Sono come esplosivi che possono fare danni da un momento all’altro, rompendo gli equilibri di qualsiasi comunità che difende con gli artigli i propri diritti, senza però rinnegare i propri doveri.
Torniamo ad essere razzisti tutti, senza distinzione, ogni qual volta per strada abbassiamo gli occhi di fronte a gesti che minano la sicurezza di chi è arrivato nel nostro Paese, senza più niente alle spalle, solo dolore, ma con il diritto sacrosanto di stringere forte un sogno futuro.

Sembra di essere tornati negli USA degli anni ’60, culla primogenita della segregazione razziale. Quando sono ripartito da Memphis l’anno scorso, mi sono riportato l’urlo I have a dream di Martin Luther King, che l’episodio delle Marche seppellisce sotto il letame.
Oggi torna a suonare William Onyeabor, graffia con il tuo funky ribelle e nigeriano i solchi del mio vinile. L’indignazione passa, l’indifferenza resta.