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Archives Luglio 2017

Diario di viaggio: 130 persone ritrovano “l’Italia bella” nella notte magica sul fiume Chiese

Bisogna spingersi oltre i selfie biodegrabili per ritrovare i sogni e le utopie in una notte di mezza estate. E non sono di certo le cartoline da catalogo che palleggiano da una bacheca all’altra di Facebook; non sono di certo i noiosi splash che illudono tanti di avere la stazza da viaggiatore.

Ci sono luoghi segreti che vanno riscoperti nell’ottica del vagabondaggio che fa dei nostri territori il pozzo dell’anima di ciò che eravamo, come l’Italia in bianco e nero di matrice contadina che impugnava la socialità.
Possiamo fare a meno dei gruppi Facebook si sono detti ad Acquafredda, il paesino sulla striscia di frontiera tra le province di Brescia e di Mantova, affinché una serata in compagnia di pochi amici diventasse nel raggio di un decennio una notte magica di mezza estate sul fiume Chiese con 130 persone: la parola d’ordine è rispetto per l’Ambiente, perché ognuno può fare del suo senza arzigogolare.

Piatti e stoviglie portate da casa, niente plastica; prodotti culinari a chilometro zero; un trattore trasformato in un palco per un chitarrista ed un armonicista; tutto il resto ce lo mette il plenilunio, quello cercato dai barcaioli mantovani nelle notti sul Mincio, e un gruppo di testardi volontari capace di creare un set dal sapore felliniano attraverso il passaparola, che per l’ennesima volta ha smosso tanti a condividere questo banchetto.

Mi sembra di essere tornato in Patagonia, quando osservavo gli argentini sul lago di Neuquén alle prese con la voglia di stare assieme e non di certo assuefatti dalla grande abbuffata di una serata di mezza estate. Possibile che piazzare una tenda accanto ad un fiume, lasciare musica fino a notte fonda, conoscere belle persone, sorseggiare un bicchiere di vino, riesca ancora a materializzare sogni e utopie?
Sì, perché come ci ricorda Giorgio Gaber “senza utopia c’è la morte”.

Ovunque continueranno a riunirsi uomini e donne nel comune segno denominatore del non arrendersi ai ricatti dell’omologazione che vorrebbero stemperare le nostre radici, ci saranno sempre zolle di terra dove qualcosa cambierà in meglio.

Provate ad andare di notte lungo la sponda del fiume Chiese e ascolterete l’evaporazione di questi versi di Giovanni Caproni.

 

L’amore finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra.

Diario di Viaggio: Tutte le strade dell’Umbria portano a Francesco

Giri e rigiri per ritornare in Umbria, la cui bellezza non è stata screpolata dal furore del terremoto guardingo. Mi giunge voce da Norcia che laggiù si sentono dispersi, dimenticati e questo sgomento è amplificato dal quel che resta della cattedrale di San Benedetto.

Adoro tornare a Perugia prima dei rintocchi della mezzanotte, per strada il brusio degli studenti, nel silenzio di metà settimana, non siamo ancora entrati nel tunnel dei bagordi degli universitari parcheggiati nel capoluogo umbro.
Scappiamo dall’Italia abbagliati dalla frenesia esterofila senza captare l’anima del nostro Paese. L’Umbria è l’anima dell’Italia che si rintana tra arte, cultura, spiritualità per mollare la nostra quotidianità che saccheggia l’essere autentici.

Tutte le strade portano a Francesco, il fraticello d’Assisi che ci ha lasciato in eredità un grande patrimonio che va oltre l’essere stato il giullare di Dio. Questo patrimonio si snocciola nella severità dei francescani, che in un certo senso si sbarazza del cliché che li vorrebbe come quelli disegnati e raccontati sui calendari di Frate Indovino.

Padre Giovanni, sull’ottantina, si affaccia dal suo studiolo all’interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli. Ti guarda di sbieco dagli occhiali di metallo come per dire che un frate non è l’interlocutore pronto a dirti ciò che vorresti sentirti dire. Un frate è altro, ti guida, ti ascolta, ti legge dentro, ti scuote e non è scontato il lieto fine. Anzi, meglio prepararsi al peggio – al meglio secondo il punto di vista – perché ci vuole coraggio e fatica per ritrovare la strada di Francesco.

Assisi lascia al pellegrino innumerevoli suggestioni, ma non sono quelle che maturano il cambiamento, l’evoluzione, la crescita. Nel silenzio della Porziuncola, la chiesetta all’interno di Santa Maria degli Angeli in cui San Francesco sostava in preghiera, risuona il monito verso cui ciascun uomo non può mostrare sordità: “Fallire nell’amore è fallire nella vita”.

Quando termina il viaggio tanti si accontentano di tornare a casa con un selfie, un tau, un souvenir. I più testardi, coloro che sono caduti e provano a rialzarsi, ripartono con il desiderio di ritornarci per vederci chiaro una volta e per tutte.
La morte non può farti paura quando ammetti con te stesso di essere circondato da zombie, che frullano la routine sottomessi dai ricatti dei legami consumistici.

Il viaggiatore si guarda allo specchio dell’anima e non vuole più rimanere paralizzato. Tutte le strade dell’Umbria portano a Francesco perché “un raggio di sole è sufficiente per spazzare via molte ombre”.