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Archives Ottobre 2018

Cartolina dall’Amazzonia: il soliloquio del Rio delle Amazzoni

Il Rio delle Amazzoni è stato il fiume più distante da me che da bambino desideravo navigare.  Quando la maestra Iole mi accompagnò alle elementari, attraverso un atlante geografico, lungo quel corso fluviale ebbi la percezione infantile di quanto le distanze fossero incolmabili tra i luoghi e gli uomini.
Per me il corso d’acqua più lungo del mondo, che attraversa Perù, Colombia e Brasile, era secondo la mia immaginazione il luogo in cui Dio andava a lavarsi senza la scocciatura di portarsi dietro lo spazzolino da denti.

Navigarlo a “nel mezzo del cammin di nostra vita” non solo ha esaudito uno dei più grandi desideri di viaggiatore, ma mi ha preparato all’entrata nel polmone verde della Terra: la foresta dell’Amazzonia. In nessuna navigazione ho mai provato questo prepotente senso di libertà che ti sgancia dell’ottusità della quotidianità, i cui ricatti vorrebbero fagocitarti in mondi che non ti apparterranno mai.

Poi il lungo e strabiliante abbraccio tra il Rio delle Amazzoni e il Rio Negro, dove le acque azzurre del primo e quelle scure del secondo si incrociano in uno spettacolo della natura che conferma un comandamento del Creato: siamo meticci come queste acque e il colore della pelle così come quello delle culture dei popoli è destinato a fondersi, e neanche lo sbianchetto dell’intolleranza potrà fermare tutto questo.

Non avrei voluto mai staccarmi da quelle onde. Sapevo che una parte dell’anima mia avrebbe continuato a navigare il Rio delle Amazzoni ripetendo a memoria i meravigliosi versi di Wilson Harris, parte preziosa del mio bagaglio letterario:

Lo spirito profondo dell’innocenza
è maturità senza fiato senza sogni:
le mani nere degli alberi si allungano
con pazienza. Le ali d’un uccello
fanno vento all’aria che brucia.
Le forze esterne, le forze interne
sono illusioni distinte che vanno
oltre il buio e le luci con un coltello a tagliare via tempi di dentro e di fuori, gli uni dagli altri,
nel corpo di un animale o di un dio
il cui passo furtivo è un’immateriale successione
di movimenti, così vasti e precisi, che non ha gesti la sua azione.

Cartolina da San Paolo del Brasile: la domenica specialmente sulla Paulista

L’incontro con il cantautore brasiliano Carlinhos Vergueiro e il suo concerto sull’avenida Paulista,  ha contribuito a farmi vivere una domenica speciale in una delle arterie principali di San Paolo del Brasile. Nello stato di San Paolo ci sono arrivato per una promessa fatta ad Elvira, la moglie del fratello di zio mimmo, in una sera d’estate abruzzese di una vita fa: lei era originaria di qui e ci raccontò della sua città che, nonostante godesse della pessima nomea di “città frenetica per essere capitale economica”, era l’ombelico del Sudamerica.

Le grandi città brasiliane si svuotano la domenica, ma il brio che invade  l’avenida Paulista nel “dì di festa” ti travolge all’insegna del calore sudamericano: mamme e papà che portano a passeggio i bimbi, artisti da strada assiepati ovunque, podisti che vanno su e giù, c’è chi pedala o chi entra negli spazi culturali dove cultura e arte sono a disposizione di tutti e ad ingresso gratuito.
Gli artigiani e le bancarelle con i loro manufatti fanno da perimetro ad un mercatino che fronteggia il MASP, il Museo d’Arte di San Paolo nel quale sarei rimasto volentieri in ostaggio non solo per le preziose collezioni, ma per l’allestimento e per il modo in cui chi ci lavora ti coinvolge nella scelta dei percorsi.

Nel primo pomeriggio osservare la Paulista da un grattacielo vuol dire incrociare lo sguardo con una fiumana di giovani, il cui “struscio domenicale” mi ricorda quello praticato nei paesotti del mio Sud per fare “acchiappanza”.
Tornando a Carlinhos e al suo canzoniere, la sua musica dal vivo su un palco piazzato tra le fermate della metropolitana Consolaçao e Trianon è una molla che fa scattare un feeling tra ritagli di vita e ritmi brasiliani e la brama del viaggiatore in solitaria di far parte di questa comunità: ripenso alla chiacchierata con un musicista alla Livraria Cultura fino a tarda sera.

I Brasiliani sono espressione di generosità, proprio come Vergueiro che dona la sua storia cantautoriale ai passanti: ripenso al cassiere di Starbucks che mi offre il dolcetto e il cappuccino perché la mia carta non va; l’agente di viaggio Mauro che, dopo avermi procurato autista e auto per tornare in aeroporto, mi saluta con quel “Dio ti benedica”, una manna dal cielo per chi vagabonda in giro per il mondo; chi si prodiga per darmi una mano a ritrovare la strada persa alla faccia di chi pensa che Google Maps sia l’unica bussola se perdi la rotta.

Daniel è il simpatico autista che mi riporta in aeroporto. Mi racconta della storia d’amore con la moglie nata sui banchi di scuola, dei figli, del suo lavoro che gli porta a conoscere tante persone. Tra una chiacchiera e l’altra mette come colonna sonora del nostro tragitto Agua Viva, la famosa telenovela che io dall’Italia e lui dal Brasile guardavamo in tv con le nostre mamme.
Io e Daniel ci sentiamo due minuscoli puntini attraversando San Paolo, la città più popolosa del Paese e del Sudamerica, tenendo stretta alle nostre vita una sola speranza, quella che ogni uomo dovrebbe imparare a ritrovare alla fine di ogni viaggio.

Cartolina dalle cascate dell’Iguazù con un piede in Argentina e uno in Brasile

Quale migliore scusa per rimettere piede nell’adorata Argentina se non godendo di una delle sette bellezze naturali del mondo?
Entrando nel Parco delle Cascate dell’Iguazù a Misiones ho la sensazione che da lì a poco avrei vissuto un’esperienza naturalistica al di sopra di ogni previsione. Nonostante il tempo non fosse  dalla mia parte, accetto la sfida di salire su una barca e farmi inebriare sotto litri e litri d’acqua, sotto il tetto  delle cascate più famose del pianeta, spartite da Brasile e Argentina.

Sono letteralmente inzuppato, mi sembra di essere tornato all’estate in cui pensai di affogare a mare ed essere risucchiato dalle onde. Il peso dell’acqua delle cascate più belle  – secondo un americano al mio fianco sono mezzo punto anche sopra le Victoria Falls in Africa – nasconde un messaggio sopra ad ogni altro: la Natura si esprime attraverso un coro di voci e noi uomini, accecati dall’avidità del progresso, ci ostiniamo a non riconoscerne il valore e salvaguardarlo.

Dopo qualche ora di cammino arrivo alla Gola del Diavolo che, con il suo gettito d’acqua giù per 150 metri, è la regina della cascate dell’Iguazù. E’ qui che si manifesta la forza della Natura, il rigurgito del nostro pianeta Terra nella fluidità dell’esistenza umana e nel racconto naturalistico che fa della vita stessa la più grande avventura di cui dovremmo essere orgogliosi protagonisti.

Dopo un’intera giornata in Argentina, eccomi di nuovo in Brasile per ammirare questo spettacolo dall’altra prospettiva, senza sconfinare  nell’odiosa smania sondaggista di chi ti mette spalle al muro con il quesito: “Preferisci il lato argentino o quello brasiliano?”.

Lo show naturalistico è sicuramente in Argentina, ma un’altra giornata nel parco brasiliano è indispensabile per avere una visione super partes. Poi arriva la pioggia – qui bisogna metterlo sempre in conto – ed ecco che mi rintano nel lussuoso Hotel Belmond das Cataratas, scoperta incantevole accanto alle cascate brasiliane dell’Iguazù. E’ possibile visitarlo a qualsiasi ora del giorno, aggirarsi tra gli ambienti pubblici e godersi le atmosfere raffinate e altempo stesso familiari.

All’uscita finisco per sbaglio alle porte dell’antico accesso del Parco. Quattro chiacchiere con uno dei custodi, un caffè e la condivisione di quest’altra grande avventura fatta da una miscela di suggestioni tra la natura e la bellezza del creato, spartite tra Brasile e Argentina.  A malincuore mi tocca dire “Ciao, Iguazù”.