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Archives Gennaio 2019

“Amore, non piangere perchè la mamma va a lavoro…”

I viaggi mattutini in metropolitana mi infastidiscono per la frenesia delle persone, prigioniere della routine tra spintoni e rincorse di quel tempo di cui non siamo padroni.
Stamattina, seduta accanto a me sulla linea rossa di Milano, c’era una donna che parlava a telefono. Ho capito dopo qualche battuta che il suo interlocutore era la figlioletta.

“Amore, non piangere perchè la mamma va a lavoro…”

Queste sono state le ultime parole di una conversazione andata avanti parecchi minuti senza una risoluzione.  Di sbieco mi sono soffermato sul viso sgomento di questa mamma che, dopo aver concluso la telefonata, è scoppiata in lacrime affondando nello sciarpone intorno al collo.
La gente distratta continuava a salire e scendere con indifferenza, mentre io mi sentivo impotente di fronte a questo urlo sibillino di immenso dolore.

Ho ripensato a quelli della mia generazione che avevano soltanto il papà da spartire con il lavoro. Mia mamma di professione ha fatto la casalinga e mi sono risparmiato la paura e l’angoscia infantile del distacco quotidiano, se non nelle ore dei tempi della scuola materna, in cui non si andava mai oltre l’ora di pranzo.

Non bisogna essere un sociologo per cucire i cambiamenti nella nostra società degli ultimi quarant’anni così come non occorre un pediatra o uno psicologo per rendersi conto del dolore e della frustrazione che scatta da entrambi le parte, figli e mamma.

Un lettore ha commentato così il mio tweet del buongiorno:

A proposito del giudizio mi è tornato in mente Platone:

“Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile. Sempre.”

Il viaggio in metropolitana di questa mattina è dedicato a tutte le mamme che ogni mattina combattono questa battaglia dentro e fuori il cuore.

L’anno che verrà: l’uomo sul Po che nutriva i gabbiani

Il caravanserraglio social ha provato a schiacciare la strada dell’anno che verrà con l’abbuffata di selfie familiari che facevano un baffo alle foto istituzionali di un tempo della Royal Family, di brindisi con sorrisi taroccati per sgomitare quello del piano di sotto della  “bacheca” e urlare “stiamo tutti bene”, di video discorsi casarecci dei vicini di quartiere, che ostentavano frasette surgelate per convincerci di essere diventati i nuovi profeti  dell’era del cinghiale bianco. Quanto marcio buonismo è scivolato già sulla buccia di banana dei buoni proposti per questo 2019?

I miei vagabondaggi mi rendono impermeabile e indifferente a questo tam tam e, in particolare il primo del 2019, mi ha regalato una suggestione nella prima mattinata dell’Epifania, a Torino, sulla sponda del Po.

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L’uomo che condivide le briciole della sua parca colazione con i gabbiani, ascoltando il sussurro intimo del fiume, è uno schiaffo alla miserabile intolleranza che annebbia i giorni nostri: le coperte di un senzatetto gettate nell’immondizia dal vicesindaco di Trieste o il tifo razzista degli ultrà sugli spalti dello stadio San Siro di Milano.
L’uomo che nutre i gabbiani in riva al Po torinese non è un set costruito come le tavole imbandite dall’esercito di chef provetti parcheggiatti nelle nostre case per l’arrivo dell’anno nuovo, ma è uno sciame di altruismo che vigila sull’essenziaità della vita e sulla tolleranza.

Essenzialità e tolleranza restano il valore aggiunto e l’unico lusso che dovremmo concederci in questo 2019, togliendoci le bende della routine che ci fanno perdere la bussola della quotidianità. Un viaggiatore della vita non dovrebbe mai restare affacciato alla finestra, perché rinuncerebbe alla cura dei dettagli. Bisogna tornare in strada, girarsi intorno, guardare gli altri negli occhi.

Non smetterò mai di ringraziare la strada per avermi fatto vagabondo e concesso l’ultima chance di afferrare l’anno che verrà.