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Archives Luglio 2021

L’Inghilterra della Brexit battuta ai rigori dall’Italia europeista

Questa di Italia-Inghilterra, finale degli Europei 2020, resterà la partita di calcio “più politica” degli ultimi 39 anni. Non è sicuramente l’11 luglio del 1982 della Nazionale di Bearzot campione del mondo in Spagna, ma è l’11 luglio del visionario Mancini e dei suoi ragazzi che hanno castigato gli inglesi nel tempio di Wembley.

L’Inghilterra, dopo aver alzato la cortina di ferro della Brexit, è stata beffeggiata dall’Europa di Ursula von der Leyens sul campo di calcio dove Freddie Mercury cantò The Show Must Go On.
Per noi anglofoni che tradimmo Dante per convertirci a Shakespeare fino alla morte e, dalla fine degli anni ’80, facemmo dell’Inghilterra la nostra seconda patria per viaggio, studio e non solo, ora è il momento di fare un passo indietro: chi osa riconoscersi più nella terra cafona di Boris Johnson tra rampolli di Tory ammuffiti, visioni antiquate delle economie dei dazi, obblighi di visti e passaporti anche per noi italiani dal sudore emigrante?

Non sarà di certo una partita di calcio a cambiare le regole del gioco, ma glorifichiamo la compostezza “democristiana” del nostro Presidente Mattarella – che non è l’esuberanza del partigiano socialista Pertini alla finale di Italia-Germania dell’11 luglio dell’82 – e spazziamo via la muffa dei nuovi influencer Reali di Buckingham Palace William e Kate, le puzzette di baby George, le racchettate di merda d’oltreoceano del debole Harry e dell’arrivista Meghan.

L’11 luglio ci porta bene e, grazie alla promozione degli Azzurri di Mancini a Campioni d’Europa, ci togliamo il sassolino dalla scarpa mentre torna a suonare un vecchio disco di Bennato e della Nannini tra “il vento che accarezza le bandiere e sciogli in un abbraccio la follia”.
Winston Churchill, sbuffando l’inseparabile sigaro da Primo Ministro del Regno Unito, amava ripetere:

Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio.

Dopo quasi un secolo smentirlo su un campo di calcio equivale a dare una paccata sulla spalla alla storia, canticchiando con orgoglio nazionalista, spesso sbiadito dalla nostra antipatica esterofilia:

Notti magiche
inseguendo un goal
sotto il cielo
di un’estate italiana

e negli occhi tuoi
voglia di vincere
un’estate
un’avventura in più.

Notturno per Raffaella

Nella primavera del 1978 a casa mia arrivò il primo televisore a colori, un Voxon di 30 pollici a 8 canali. Lo inaugurammo con la Raffaella Carrà del sabato sera. In quel periodo erano venuti a stare da noi i nonni Pasquale e Lucia e condividevamo la nostra stanza con loro, ricompensati da tante coccole.
Stavo per chiudere il ciclo dell’asilo e a un bambino, che contava l’età sulle dita di una mano, non era concesso stare sveglio fino a tardi. La Carrà di Ma che sera sul primo canale Rai era un’eccezione per me, anche perché impazzivo per la sigla iniziale.

Com’è bello far l’amore da Trieste in giù

Com’è bello far l’amore io son pronta e tu

Tanti auguri

A chi tanti amanti ha

Mentre l’Italia bigotta storceva il naso per il testo provocatorio della celebre Tanti Auguri, un bimbo in pigiama alla periferia di Napoli saltellava sul letto mentre Raffaella faceva la contorsionista intorno alla torre di Pisa, cantando l’emancipazione scambiata dai rampolli democristiani per tabù.

Ballo, ballo, ballo da capogiro

Ballo, ballo, ballo senza respiro

Ballo, ballo, ballo m’invento un passo

Notturno per Raffaella è inchiostro dipanato nella memoria che, prima ancora di essere collettiva, è spudoratamente individuale. Poi la conta dei fagioli dal salotto televisivo di Pronto Raffaella ci aveva spinti fuori dal tunnel degli anni ’80 come quando ci sputano fuori dall’utero materno: il disincanto arrivò appena la nostra Raffaella nazionale sparì dalla tv per essere ceduta all’estero.

Viene fuori una biondina (che dolor, che dolor)
Che era nell’armadio (che dolor, che dolor)
Viene fuori una biondina (che dolor, che dolor)
Che era nell’armadio (che dolor, che dolor)

Notturno per Raffaella è un tuca tuca in mezzo alle stelle comete tra i giganti che sono adati via e il presente orfano di eredi, sul galleggiante della volgarità e del voler apparire a qualsiasi costo. La pena arriva quando da una finestra di TikTok sbuca l’ennesimo ammiccamento. Raccontate allo zimbello dei social che la sua goffa torsione non sarà mai ballo come quello inventato e reinventato dalla Carrà.

Chissa’ se va’
se va’
ma si che va’
ma si che va’
ma si che va’
che va’
e se va’ se va’ se va’
tutto cambiera’
forza ragazzi spazzola
e chi mi fermera’…

Notturno per Raffaella non è un fuori onda di Carramba che sorpresa, ma un elogio silente a ridosso di mezzanotte per una donna di carattere e talento che, fuori dalle mareggiate ideologiche e di potere politico, è stata sorella, mamma, nonna sincera di tutti noi negli ultimi sessant’anni di storia italiana.
La femminilità di Raffaella Carrà ha schiaffeggiato il becero maschilismo, incluso quello dei piani alti di via Teulada, di viale Mazzini, della RAI tra le quinte della lottizzazione.

Lo so che nell’amore
C’è chi vince e c’è chi perde
E stasera ho perso te.

Oggi si è spenta la televisione, per sempre.