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Archives 2022

Reina Elisabetta, opera d'arte

10 opere d’arte per ricordare la Regina Elisabetta, la nostra cara Lillibet

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La Regina Elisabetta attraverso 10 opere d’arte che hanno trasformato la sovrana più famosa del pianeta in un’icona pop che resterà nel cuore di tanti di noi. A un mese esatto dalla scomparsa. ricordiamoci che Elisabetta II del Regno Unito, nei 70 anni del suo regno, ha lasciato un forte segno anche nell’immaginario collettivo. Dalla Gran Bretagna ha cavalcato il mondo e il suo Novecento.

L’incoronazione di Cecil Beaton (1953)

Ritratto di Dorothy Wilding (1952)

La Regina Elisabetta di Andy Warhol (1985)

The Queen di Justin Mortimer (1997)

The Royal Family di John Wonnacott (2000)

Lucian Freud, HM Queen Elizabeth II (2001)

Queen Elizabeth II di Chinwe Chukwuogo-Roy (2002)

 Lightness of Being di Chris Levine (2004)

Dreams and Nightmares of the Queen di George Condo (2006)

Queen Elizabeth II di Dan Llywelyn Hall (2013).

10 foto di Mikhail Gorbaciov da conservare

Quelli della mia generazione sono cresciuti sentendo in lontananza il ruggito di Mikhail Gorbaciov, il visionario della Perestrojka a cui i russi non diedero ascolto in tempi non sospetti. Ho scelto 10 foto dall’album della sua vita e voglio ricordarlo così.Prima o poi troverò qualcuno di buona volontà che vorrà musicare le parole sagge di un antico proverbio arabo: “Sui cadaveri dei leoni festeggiano i cani credendo di aver vinto. Ma i leoni rimangono leoni e i cani rimangono cani”.

Le radici, i nonni, la Russia contadina.
Misha e il suo grande amore Raissa, sposi per 46 anni
Misha e Fidel
I sorrisi di Misha e Reagan, la distensione URSS-USA
L’appassionato bacio tra Misha e Heckner della Germania dell’Est
Misha e Sua Maestà Lillibet
Misha e il Papa polacco Wojtyla
Misha fotogenico nello spot pubblicitario di Pizza Hut
Misha, la musica, Bono e il sassofono macato di Clinton
L’amore oltre la morte. L’ultimo saluto straziante alla sua Raissa.
Vulcano Fagradalsfjall, Islanda

Viaggio in Islanda: trekking sul nuovo vulcano di Fagradalsfjall

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Fare trekking sul vulcano di Fagradalsfjall, la cui eruzione del 2021 ha fatto il giro del mondo, è stato uno dei momenti più emozionanti del mio viaggio in Islanda. In realtà questo vulcano distante soltanto poco più di cinquanta chilometri da Reykjavik si è fatto una bella dormita di quasi nove secoli.
Come mi ha ricordato Albert, la mia guida, l’isola è in continua trasformazione e i terremoti, che l’anno scorso hanno fatto ballare gli islandesi per diversi mesi, hanno segnato il risveglio del dormiente con la fuoriuscita di un nuovo cratere.


MONTAGNA DELLA BELLA VALLE DEI CASTRATI

Il trekking verso il cratere è di quasi quattro chilometri. A fine maggio il luogo è di una suggestione unica, c’è pochissima gente e la desolazione dell’ambiente procura al viaggiatore sbalzi emotivi. Non so quante volte ho dovuto trascrivere Fragradalsfjall sul taccuino prima di imparare questo nome che letteralmente significa Montagna della bella valle dei castrati.
Mi incammino a passo sostenuto e non smetto neanche per un secondo di godermi il tragitto. C’è una spianata immensa, mi riporta all’on the road negli USA in New Mexico, nei pressi del fiume Rio Grande, dove avevo ritrovato gli scenari dei film Western di John Ford e Howard Hawks.

LAVA E LAPILLI TRA RICORDI D’INFANZIA

Prima di arrivare al cratere, finisco in un’immensa colata di lava che ha creato un solco. Mi sembra tutto così surreale. Prendo un pezzo di roccia di lava in mano e lascio dondolare i ricordi dell’infanzia. Se nella lista del mio giro del mondo c’è l’Islanda è anche merito di un’eruzione dell’Hekla del 1981. Ricordo la lava fuoriuscire da un piccolo televisore in bianco e nero in cucina e io che temevo arrivasse fino da noi a Napoli. Papà mi rassicurava dicendomi che la distanza era tanta e intanto mi raccontava delle ceneri dell’eruzione del nostro Vesuvio del 1944.
Ora sotto i miei piedi c’è tutta l’attività del vulcano islandese. Se Fragradalsfjall facesse un brutto scherzo con una nuova sboccata di lava, da una parte potrei godere di uno spettacolo suggestivo e dall’altra quanto rischi di restare sepolto qui?

SPETTACOLO DELLA NATURA

Ecco un bellissimo video girato dalla mia guida Albert nel giugno 2021, esattamente nello stesso punto dove sarei arrivato io un anno dopo.

Tra i vulcani e la vita c’è di mezzo la saggia riflessione di uno scrittore giapponese della portata di Yukio Mishima:

La vita è un danza nel cratere di un vulcano:
erutterà ma non sappiamo quando.

Cascata Gullfoss, Islanda

Incanto d’Islanda: La cascata di Gullfoss, batticuore da viaggio

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In tarda mattinana sono su un van che scorazza nel raggio di un centinaio di chilometri da Reykjavik in direzione del Golden Circle, la prima scoperta paesaggistica dell’Islanda occidentale. In realtà il Circolo d’Oro è un misto di parco nazionale, area geotermica e cascate. Sorseggio acqua sgorgata dai ghiacciai, sgranocchio noccioline come se fossi al cinema e dal finestrino mi godo la lunga catena montuosa.

TUTTO SI TRASFORMA

L’area geotermica di Geysir mi ricorda i trascorsi attraverso la Nuova Zelanda quando avvertivo le correnti calde sotto i piedi. La fumarola del gayser sputa contro il cielo come se fosse un rigetto della Madre Terra per tutti gli scempi compiuti e che pagheremo a caro prezzo ogni giorno. In realtà è tutta area vulcanica che risale a 10.000 anni fa, tempo infinito da conteggiare ma non per capire che tutto si trasforma in questa isola incredibile. Domani l’Islanda non sarà la stessa che sto vivendo.
A confermarmelo è una sosta indimenticabile nel parco nazionale di Thingvellir in cui gli andamenti vulcanici hanno portato sopra il livello dell’oceano la dorsale medio atlantica, la cui fossa è nel mezzo delle placche tettoniche che separano l’Europa dal Nord America. Una chicca unica apprezzata anche da chi mastica gli elementi basilari di geologia.

LE ACQUE DI GULLFOSS, SANTUARIO NATURALISTICO

L’incanto del primo pellegrinaggio naturalistico on the road resta la cascata di Gullfoss, che mi ricorda da lontano le cascate di Iguazù spartite tra Argentina e Brasile. Patti chiari e amicizia lunga. Le cascate sudamericane sono inarrivabili e restano al primo posto nella classifica del mio giro del mondo. Gullfoss le richiama nel percorso, nelle serpentine che ci permettono di osservarle da più prospettive, godendo di uno spettacolo unico e irripetibile.
Quando ci avviciniamo, i getti d’acqua sono così possenti da travolgere l’anima del viaggiatore. Insomma, piuttosto che farvi tanti chilometri per le cascate canadesi del Niagara (la parte americana non la considero, è una diga!), ormai prepotentemente commerciali e turistiche, venite in Islanda e vedrete come, dopo aver visto Gullfoss, non vi pentirete.

Risalgo sul van con Gullfoss nel cuore, sulla strada del ritorno.

Bjork casa

Cartolina da Reykjavik: sulle orme di Björk

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La quarantanovesima capitale del mio giro del mondo è Reykjavik, la più a Nord d’Europa, da associare alla mitica Björk. Culla dell’Islanda dove volevo arrivare fin da bambino, la capitale – quanto tempo ho impiegato per impararlo a scrivere – racchiude nel suo nome il significato di baia fumosa, visto che i suoi dintorni sono zeppi di aree geotermiche.
Qui il tempo cambia alla velocità della luce e, nonostante le previsioni meteo fossero pessime, Reykjavik ha premiato il mio ottimismo da viaggiatore con tanto sole, più di quello che si vede in questo periodo in Islanda.


REYKJAVIK, ANIMA PUNK

Tanti turisti dicono che non sia un granché, ma il viaggiatore che gira a piedi fino alla sfinimento replica che sia un affascinante misto di modernità, atmosfere nordiche e, perché no, di quei retaggi storici con l’occhio lungo fino alle saghe dei vichinghi. L’anima di Reykjavik? Per me è punk e non te lo aspetteresti mai, proprio come quell’ondata di subcultura giovanile che contagiò il Regno Unito cinquanta anni fa. E poi i legami tra Islanda e Inghilterra sono stretti, anche a livello musicale, penso alle etichette discografiche indipendenti che hanno avvistato i musicisti talentuosi islandesi. Ce ne sono, eccome.

ARCHITETTURE MODERNE, SAGHE NORDICHE E PROVOCAZIONI

Mi piace iniziare a girarmela a prima mattina, al porto sorseggiando un caffè o finendo in un supermercato per trovare un panino e una coca a prezzi ragionevoli, visto che il cambio e il costo della vita per noi italiani sono una batosta infernale. Fatevene una ragione, prima di partire.
L’architettura moderna dei palazzi residenziali, le casette tipiche islandesi con le facciate dalle tinte forti, i murales sparsi qui e lì, la lunga passeggiata sull’Oceano, i piccoli angoli segreti, il parco cittadino con il suo laghetto, la scultura provocatoria dedicata alla Burocrazia (grande male dell’isola!) me la rendono tremendamente piacevole.
L’arte figurativa di Errò, il mio artista islandese preferito celebrato dal Museo d’Arte Moderna, è un ottimo modo per cominciare tanto poi, per rotolare come una pietra del tempo, c’è il Museo Nazionale d’Islanda tra un’imbarcazione vichinga e un amuleto del dio Thòr, il cui culto millenario è antecedente a quello cristiano.

NELLA VESTURBAER DI BJORK

Mi sento islandese appena mi allontano dal centro, trotto parecchio fino al quartiere di Vesturbaer. Ho avuto una soffiata, in queso periodo Björk è ritornata qui dalla casa newyorchese. Del resto se sono atterato in islanda è anche merito della sua arte musicale visionaria. Ricordo quando, tra un corso e un altro del primo anno di università nel ’93, mi registrarono su una TDK60 il primo album. Nelle prime ore pomeridiane mi affaccio al Kaffihús Vesturbæjar, una coffee house al numero 20-22 di Melhagi. Mi guardo intorno, nessuno spiffera niente, tranne una ragazza al banco da cui so per certo che Björk è andata via qualche ora prima. Viene a rilassarsi prima di andare in una piscina pubblica a pochi passi da qui. Mica come le nostre celebrità che frequentano soltanto posti esclusivi?
Giro e rigiro finisco sotto casa di Björk. Non ho di certo l’aria di uno spasimante, ma gli islandesi sono persone riservate e per loro è impensabile che io possa andare a citofonarla. Se fossimo stati nella mia Napoli, questa storia avrebbe avuto un altro finale: sarebbe sbucata la vicina che mi avrebbe “raccomandato” per bere un caffè insieme.

OCEANO-MADRE

Mi sposto e guardo incantato l’oceano, attraverso la stessa angolatura della finestra di casa. C’è vento, il sole si nasconde dietro le rincorse delle nuvole. Penso a quanto la cantautrice e compositrice di Reykjavik, fin dalla gioventù, mi abbia fatto sognare l’Islanda, un mondo sospeso finalmente vissuto in un viaggio incredibile, pieno di emozioni impreviste.
Le mie parole volano al vento e le lascio inghiottire dal suo Oceano-madre in questa gelida serata. E lì, dove si dissolve la linea dell’orizzonte, che ho incontrato davvero Bjork, a modo mio, prima che il sole di mezzanotte schiacciasse le tenebre nottambule oltre l’impavida coltre del viaggiatore.

5 consigli dal mio viaggio low cost in Islanda

All‘Islanda è toccato essere il Paese n.52 del mio giro del mondo. Ecco 5 consigli dopo il viaggio mozzafiato nell’isola europea magica e piena di sorprese


IN VIAGGIO IN ISLANDA CON REYKJAVIK EXCURSIONS

Da 50 anni hanno scritto la storia del trasporto e del turismo di Reykjavik e dintorni. Reykjavik Excursions è un marchio turistico a cui potete affidarvi appena atterate nella capitale islandese. Grazie al loro servizio Flybus (a partire da 24€ a corsa) potete raggiungere in 45 minuti Reykjavik dall’aeroporto internazionale e, con un supplemento aggiuntivo, avrete uno shuttle che vi porterà poi direttamente all’alloggio indicato.
Noleggiare l’auto in Islanda può arrivare a costare tre volte rispetto all’Italia. Partire da Reykjavik con tour organizzati in mini van con guide specializzate può essere un’alternativa intelligente e avere un buon rapporto qualità prezzo. Reykjavik Excursions vi propone 128 tour in Islanda per tutte le tasche che vi consentiranno di costruire itinerari personalizzati. Monitorate le offerte dal sito e prenotate in largo anticipo, soprattutto ora che si va verso il periodo di alta stagione.


L’AVVISTAMENTO DELLE BALENE CON ELDING WHALE WATCHING

Chi non ha mai sognato di vedere una balena? Io fin da bambino, dai tempi dell’infanzia in cui papà la sera mi raccontava a puntate la favola di Pinocchio. Affidatevi per vivere questa incredibile esperienza all’equipaggio di Elding Whale Watching. Dal porto di Reykjavik tutti i giorni partono le loro imbarcazioni per l’avvistamento delle balene. In caso il whale watching non dia i risultati sperati, Elding Whale Watching vi offre una seconda opportunità. Prenotate con anticipo sul sito. A bordo salvagente e binocolo per tutti!
Inoltre, vi consiglio anche l’avvistamento dei Puffin, buffi pennuti simbolo dell’Islanda e del Nord Europa conosciuti in Italia con il nome di Pulcinella di mare.

IN BARCA NELLA LAGUNA GLACIALE DI JOKULSARLON


Jökulsárlon, uno dei ghiacciai simbolo del Nord Europa, resta la perla del Sud dell’Islanda. Una volta arrivati in questo paradiso naturalistico, non potete fare altro che salire sull’imbarcazione di Glacier Lagoon.
Con un’esperienza di 25 anni, l’equipaggio vi porterà alla scoperta di una laguna glaciale che vi toglierà il fiato. Salvagente per tutti e se siete fortunati come me avvisterete anche delle simpatiche foche.
Vi consiglio l’Amphibian Boat Tour della durata di 35 minuti. Anche in questo caso, per non rischiare di fare un lungo viaggio a vuoto, vi suggerisco di prenotare in anticipo.

MANGIARE ISLANDESE AL REYKJAVIK ROST

Un posto delizioso e pieno di atmosfera è il Reykjavík Röst, coffee house sul porto della capitale che serve anche piatti tipici islandesi con un buon rapporto qualità-prezzo. Fatevi consigliare da Agnes, che gestisce con passione e dedizione questo localino aperto tutti i giorni dalle 8 alle 18.
Il mio tragitto nella cucina islandese è stato fatto da un assaggino di carne di squalo, un tagliere di formaggi locali accompagnato da pane abbrustolito, dell’ottimo salmone affumicato su un tappeto di pane e insalata e una birra locale accanto al camino.
Ci sono tornato anche una mattina a colazione, seduto alla finestra con vista sull’oceano. Agnes mi ha preparato un buon caffè americano e una crepe con della crema tipica islandese. A pranzo è sempe pieno, perciò meglio prenotare. Se siete in gruppo, fatelo presente!

NOSTALGIA DELLA CUCINA ITALIANA A GRAZIE TRATTORIA

Nostalgia, nostalgia canaglia della cucina italiana, che ti prende proprio quando non vuoi? Ho scoperto con il mio fiuto da reporter e viaggiatore Grazie Trattoria, un bel ristorante a Reykjavik in Hverfisgata 96, inaugurato qualche mese fa.
La passione dell’islandese Kristján Nói per il cibo italiano ha dato vita a questo ristorante dal design d’interni che esalta la nostra arte italiana e i piatti cucinati con prodotti tipici nostrani. In Islanda nella nostra amata pasta alla carbonara ci mettono pancetta e crema di formaggio. In quella da me assaggiata c’era del vero guanciale e pecorino romano proveniente dalla nostra bella Italia. Vi consiglio anche l’ossobuco con una delicata crema di polenta e, come dessert, avete l’imbarazzo della scelta tra tiramisù e panna cotta.
Infine Kristján, l’islandese innamorato della cucina italiana, mi ha fatto assaggiare il suo limoncello di cui è tanto fiero. Preparato con i limoni della Sicilia, Islenskt Limoncello è distribuito in venti ristoranti della capitale.

Palermo senza Falcone: io prigioniero nel Palazzo dei Normanni

Trent’anni dopo la strage di Capaci, resto prigioniero nel Palazzo dei Normanni di Palermo. Mentre il capoluogo siciliano si accinge alle commemorazioni per l’uccisione del giudice Giovanni Falcone e della sua scorta, io salgo e scendo lo scalone del palazzo in cui aleggia ancora la presenza di Federico II.
Mi defilo, mi nascondo tra i colonnati, mi siedo sulla scala e penso a dove mi trovassi il 23 maggio 1992, quando al telegiornale diedero la tragica notizia: ero immerso nella preparazione dell’esame di maturità.

IO VI PERDONO, PERO’ VI DOVETE METTERE IN GINOCCHIO

E pensare che la mia ultima volta a Palermo la residenza reale più antica d’Europa era una bellezza da contemplare tutta all’esterno. Ora ci sono dentro, ne attraverso le stanze non da turista ficannaso ma da viaggiatore alla ricerca di glorie remote in oltre duemila anni di storia.
Dalla finestra spingo lo sguardo fino al centro storico di Palermo, in lontananza le facce degli studenti del Vittorio Emanuele, in cui insegnò don Pino Puglisi, un altro martire di Cosa nostra. Non riesco a leggere gli striscioni dedicati a Falcone degli studenti palermitani, che trent’anni fa non erano nati ancora.

L’ARTE CI SALVERA’ DALLE BRUTTURE DI QUESTO MONDO?

Ho in testa il rumore delle bombe di Capaci – ricordo quando mi accompagnarono nella zona dell’attentato nell’estate 2007 – e le parole di rabbia e dolore di Rosaria Schifani, vedova della scorta, “Io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio.”
Trovo rifugio nella Cappella Palatina, magnifico dono del monarca Ruggero II di Sicilia, una bellezza indescrivibile da procurarmi un lungo batticuore. Di fronte a tanta bellezza, affogo improvvisamente nell’amletico dubbio: l’arte continuerà a salvarci dalle brutture di questo mondo?

GLI UOMINI PASSANO, LE IDEE RESTANO

Nel giardino del Palazzo dei Normanni, sosto sotto un albero. E’ enorme rispetto a quello in via Notarbartolo 23, sotto casa di Giovanni Falcone. Se ci penso, con le sue radici enormi, assomiglia all’eredità di questo martire della Mafia: così radicata da spingere i più giovani a calpestare uno dei peggiori morbi di una società civile, l’omertà.
Gli anniversari servono anche risollevare la salivazione amara che ti fa guardare il bicchiere mezzo vuoto: cosa non abbiamo fatto allora per salvare i giudici Falcone e Borsellino? Cosa non hanno fatto lo Stato, le istituzioni, la classe politica di allora?
La loro morte feroce per mano della Mafia rimane una delle sconfitte più lapidari dell’Italia della Prima Repubblica.
Da dietro l’albero nel giardino del Palazzo dei Normanni sbuca un bimbo dal sorriso vispo, sgambetta verso la madre che gli va incontro, risento queste parole:

“Gli uomini passano, le idee restano, restano le loro tensioni morali, continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.”

GIOVANNI FALCONE

Il mio 23 maggio, lontano dai simboli, dai cortei, dai cerimoniali, prigioniero della bellezza del Palazzo dei Normanni.

Eurovision 2022: Mammoni nell’Ucraina in guerra dei Kalush

I venti di guerra hanno cavalcato l’onda emotiva dell’Eurovision 2022 e hanno dato il podio alla Kalusha Orchestra, che ha consegnato all’Ucraina di Zelensky il palco della prossima edizione.
Chi fantastica già sulla ricostruzione postbellica e sogna di mettere le mani nella marmellata degli affari edili d’oltreconfine, ha ascoltato Stefania dei Kalush pensando fosse l’ennesimo inno anti-Putin. Abbindolati dallo stile folk, che per certi versi somministra slanci musicali che la mia generazione associava a Bregović e alle bombe del conflitto serbo-bosniaco, in tanti non si sono accorti che la Stefania vincitrice dell’Eurovision Song Contest è un omaggio alle mamme ucraine.

TUTTI MAMMONI

Così torniamo ad essere “tutti mammoni” senza riserva ma con uno sguardo che non cede sentimentalismi alle nostre madri emancipate, occidentalizzate e supersoniche, manager dietro la scrivania con l’agenda impegnata, con il tempo tiranno che le perseguita in affanno.
La musica in stile hip hop e il folk dei Kalush sputa parole che raccontano madri ucraine, soldatesse o no, somiglianti più a quelle della generazione delle nostre nonne, dove anche quando tornavano massacrate dai lavori dei campi erano padrone del tempo che disegnava le stagioni della vita.

Stefania mamma mamma Stefania
Il campo fiorisce, ma lei sta diventando grigia
Cantami una ninna nanna mamma
Voglio sentire la tua parola nativa


MANIFESTO MUSICALE TRA PACIFISMO E MATERNITA’

Se anche dietro Stefania si nascondesse la madre Ucraina e un velato orgoglio nazionalista rinvigorito, ai Kalush resta il merito di aver stampato un manifesto musicale tra pacifismo e maternità.
I rintocchi di queste maledette bombe ci hanno fatto venire improvvisamente una gran voglia di ringraziare le nostre mamme, che ci hanno dato la vita senza richiesta di ricompensa, così come il Paese in cui siamo nati e cresciuti. Speriamo che questo inno dei Kalush ci apra col tempo a ulteriori riflessioni, anche sulle contraddizioni di questa guerra da entrambe le parti. Se non fosse così di Stefania resterebbe il ricordo di un’ondata emotiva collettiva e di una vittoria a tavolino.

Diario di viaggio: A casa di D’Annunzio tra letteratura, teatro e pubblicità

Cover by Lacciosciolto da Foto Fondazione Il Vittoriale

Ci sono due luoghi in cui ho avvertito la presenza dei “padroni di casa”. La Reggia di Francesco Giuseppe, Schönbrunn a Vienna, e il Vittoriale degli Italiani di Gabriele D’Annunzio a Gardone Riviera, sulla sponda lombarda del Lago di Garda. Il complesso voluto fortemente da uno scrittore avanguardista del XX secolo – il D’Annunzio che la generazione dei miei professori liquidò con qualche paginetta sgualcita per rincorrere i programmi ministeriali di allora – resta una tappa da viaggiatore che va oltre l’odioso dovere “scolastico” che prima o poi ti porta in certi luoghi sotto lo sglogan meglio tardi che mai.

MEMORIE REMOTE TRA TEATRO E GLI ANNI DEL VITTORIALE

Eppure a D’Annunzio non ci sono arrivate tra le solite paginette imposte di antologia ma attraverso una scorciatoia sottovalutata: il teatro, tra i copioni di Francesca da Rimini e La figlia di Iorio, lo studio matto e disperatissimo su Eleonora Duse sotto la guida dello storico napoletano di teatro Franco Carmelo Greco, un incontro che mutò il mio destino di ribelle adolescente.
Non avevo compiuto ancora quidicianni e mi trovai, in un camerino di periferia, attaccato alla giacca del gigante pirandelliano Salvo Randone, classe 1906, l’attore siracusano cresciuto sui palcoscenici di fine anni ’20 a metà strada tra i viventi Pirandello e D’Annuzio. Quella sera su Randone annusai lo stesso dopobarba di mio nonno e, allo stesso tempo, quel profumo del tempo che ti portava diritto agli anni dannunziani del Vittoriale. In visita li ho ritrovati guardando la sterminata bellezza dell’anfiteatro che abbraccia il lago di Garda.

D’ANNUNZIO, IL VITTORIALE E PROFEZIE MODERNE

Attraversare la casa dello scrittore a Gardone Riviera in questo tempo, dopo il buio di una pendemia e le bombe di una guerra che lacera l’Europa, non acceca il visitatore di estetismo e mito del superuomo raccolti tra le centinaia di oggetti raccolti.
Lascia una riflessione amara sui corsi e ricorsi storici, su come gli ultimi anni zeppi di lacerazioni e contraddizioni riabilitino per l’ennesima volta D’Annunzio dalla critica miope che sminuì la sua complessa opera per darla in pasto a visioni politiche estremiste e patriottismi guerrafondai.
Buttando l’cchio qui e lì mi è tornato in mente il D’Annunzio antesignano della pubblicità moderna – si deve a lui il nome dei famosi grandi magazzini la Rinascente – tra la femminilità attribuita al sostantivo automobile che fece la fortuna della Fiat degli Agnelli e la definizione di Liquore delle virtudi che divenne lo slogan dell’Amaro Montenegro.

D’ANNUNZIO E L’INFLUENCER MARKETING

Quanti influencer che affollanno le nostre bachece social sanno di dover qualcosa a Gabriele D’Annunzio? Senza le sue illuminazioni da influencer marketing, assiepate nella prima parte del secolo scorso oltre il nome dei biscotti Saiwa, chissà cosa ne sarebbe oggi dell’occhio stilizzato di Chiara Ferragni e di tanti loghi che risucchiano giri d’affari milionari. C’è ancora chi è convinto che una visita al Vittoriale sia soltanto un tuffo nel passato remoto?

In viaggio con Paola, da chef di Modena al suo “primo amore”: l’insegnamento

Adoro i treni locali, senza la fretta dell’alta velocità che cancella paesaggi e storie, perché mi permettono di sciorinare i colori del tragitto, con la giusta lentezza. Questi viaggi mi donano altri viaggiatori, altre storie che ispirano riflessioni e biglietti senza ritorno. Paola si siede di fronte a me, accanto a mia moglie, diventa il mio interlocutore mentre il treno si allontana dall’Emilia per guardare in fondo la Toscana: la sua Modena è gemellata con la mia Napoli che lei conosce bene: ne parla come un’innamorata cronica che predilige i pregi tra le scorribande con i figli in via dei Tribunali e lo stupore della bellezza del Cristo Velato, come se in un’altra vita fosse stata una napoletana del centro storico.

DA MODENA COME SU UNA DILIGENZA

Di stazione in stazione, di storie in storie, mi sembra di conoscere Paola da sempre quando mi racconta di Modena e io ribatto tra i ricordi di gioventù nella sua città e il concerto di Pavarotti a Hyde Park del ’91: per un figlio d’operaio quale ero io fu come prendere la luna con un lazzo, a Londra.
Man mano che ci avviciniamo all’Appennino parmense, come se fossimo su una diligenza del vecchio West, Paola mi racconta dell’estati con la famiglia in Liguria: lei fa parte delle generazioni modenesi che andavano in direzione contraria al mare romagnolo. Si parla di musica, dei vinili che le passavano i cugini più grandi, dei gusti musicali e cinematografici tra Frank Zappa, il Banco del Mutuo Soccorso, Vasco e De André; il Va Pensiero di “VIVA VERDI” che fece tremare gli austriaci, il magistrale Mastroianni e la Loren in Una giornata particolare di Scola, che nell’adolescenza degli anni ’70 la fecero volare come una libellula sul maschilismo becero. E poi il primo concerto di Faber che non si scorda mai, le incursioni letterarie, i nostri dialoghi che brancolano tra il buio e l’omertà degli Anni di Piombo e lo sfascio della Prima Repubblica, tra l’impegno civile degli anni ’70 e l’appiattimento dei social network.

TRA LE ALPI APUANE E UNA SPERANZA DI PACE

Superato Pontremoli, Paola mi racconta la bellezza di questo piccolo borgo e poi mi lancia la domanda a bruciapelo: “Cosa ne pensi di Ezra Pound?”. Come se mi avesse letto negli occhi, perché tanti versi del poeta americano avevano dirottato le mie letture universitarie oltre la siepe dei pregiudizi e del legame di quest’ultimo con il Fascismo e il Nazismo.
Paola mescola ricordi di vita vissuta alle Alpi Apuane, ingoia l’incanto delle cave di marmo di Carrara dietro gli occhiali, l’amore per Alberto nel luccichio delle pupille, fin dai tempi dei banchi del liceo e la loro crescita tra contestazione e passioni politiche. I lampi accecanti di questo sole d’aprile, a ridosso di Sarzana, sembrano in lontananza le bombe in Ucraina, smorzati poi dagli appunti di un’insegnante modenese che trae dall’infanzia smisurata ricchezza: la bambina ucraina che prende per mano la piccola coetanea russa nel cortile di una scuola emiliana e il trattenersi insieme fino al tramonto disegnano i contorni dI una speranza di pace.

DA APPREZZATA CUOCA MODENESE A INSEGNANTE LUNGIMIRANTE

Dall’entroterra passiamo alla costa del mare toscano e i nostri discorsi sfumano, oltre la Versilia, fino all’arrivo nella stazione in cui Paola scende dal treno. E’ solo in quel momento che capisco chi fosse davvero il mio interlocutore: la chef Paola Corradi che, insieme al sommelier Alberto Vaccari, ha segnato la storia degli ultimi quarant’anni dell’arte culinaria a Modena, prima gestendo la famosa Osteria Francescana ceduta allo stellato Bottura e poi la Cucina del Museo, ristorante apprezzato e osannato dai colleghi della stampa. Dopo la scomparsa prematura di Alberto, Paola è tornata alla passione giovanile dell’insegnamento, rispolverando il diploma di maestra.
Questo diario di viaggio è dedicato a Paola e a tutte le donne come lei che, per intelligenza, sensibilità, spessore e professionalità, non hanno bisogno di ostentare come tanti provinciali al pascolo sui social network, che vorrebbero passare per ciò che non sono.


VIAGGI, VIAGGIATORI E RINASCITE

I viaggi sono fatti anche dai viaggiatori e non solo dalle destinazioni. E quando di rado accade di incrociare un compagno di viaggio speciale, senza accorgersene si allarga la famiglia sulla strada della vita. A quest’ora Paola avrà già preparato per suo figlio la Sacher torte mentre una stella cadente, Alberto, si sarà posata sull’isola dell’Elba.
Pasqua è rinascita e questa è una gran bella storia di rinascita, donata anche a chi come me ha deciso di non trascorrerla seduto alla solita tavola tra pastiera e uova di cioccolato. Volevo raccontarvela.