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Archives Luglio 2023

Casa Azul, Frida Kahlo

Frida Kahlo è viva nella sua Casa Azul a Città del Messico

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Alla casa museo di Frida Kahlo ci sono arrivato a prima mattina. Ero in viaggio a Città del Messico. Casa Azul si trova a Coyoacán, una delle mie colonie preferite nella capitale numero 58 del mio giro del mondo. Dov’è nato desiderio di un incontro spiriturale con la pittrice messicana?

DAL FESTIVAL DEL CINEMA DI VENEZIA A CASA AZUL

Nel settembre 2002 ero al Festival del Cinema di Venezia per la prima di Frida, il film diretto da Julie Taymor. Della mia intervista all’attrice protagonista Salma Hayek mi colpì il racconto del suo lavoro di preparazione all’interpretazione di Frida Kahlo, personaggio femminile molto complesso.
Mi disgustano le infatuazioni nazional popolari, allora in tanti a stento conoscevano l’arte di Frida. Il film di Taymor ha avuto il merito di aver illuminato la mia generazione. Qui è germogliato il seme del desiderio di visitare la casa-museo a Città del Messico che custodisce la memoria di Frida e del marito Diego Rivera.

INCONTRO SPIRITUALE CON FRIDA E DIEGO

Ho sempre nutrito dubbi sulle case-museo e spesso hanno deluso le mie aspettative. Casa Azul, dove Frida nacque nel 1907 e si trasferì con il grande pittore e muralista messicano nel ’40, ha un nonsoché di magico.
Entrandovi scatta un’immersione totale tra il visitatore e chi è riuscito a mischiare arte e vita, facendo della propria evoluzione il motore artistico di ua riflessione esistenzialista e ideologica. Casa Azul non è un luogo di antiche memorie o spettri soggiogati dal turista avido di selfie, è piuttosto la corsia preferenziale per un incontro spiriturale con Frida Kahlo e Diego Rivera, di cui si avverte la presenza.

FRIDA KAHLO E DIEGO RIVERA SONO VIVI

Frida Kahlo e Diego Rivera sono vivi attraverso gli oggetti e le opere d’arte che abitano le stanze della casa, le suppellettili, lo scrittoio, il tavolo e gli arnesi di lavoro, la sedia a rotelle di Frida sulle cui ruote è in sosta ancora il dolore e la sofferenza di una vita.
Mentre ci cammino ho tra le mani una pubblicazione rara stampata in pochi esempleari. Me lo ha procurato un vecchio libraio del centro storico di Città del Messico. Si tratta del catalogo della prima mostra nella capitale di Diego Rivera realizzata nel 1958, ad un anno dalla sua scomparsa.
Esco e mi fermo nel giardino, mi siedo, mi guardo intorno. Apro il taccuino, prendo la biro, mi sembra di averli di fronte a me. Comincia l’intervista desiderata, immaginata.

Marcello Colasurdo

Marcello Colasurdo, buddha del folk, ritornerà sul suo Monte Somma

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cover foto di Jeanbruno Maccotta

In Messico mi arriva la notizia in piena notte: Marcello Colasurdo non c’è più. Faccio finta di niente fino al giorno in cui rientro in Italia. All’aereoporto di Milano Malpensa mi fermo sulla scaletta dell’aereo, il sole mi acceca e nell’abbaglio rivedo mio padre, all’alba degli anni ’80, che mi porta un vinile da una riunione sindacale alla periferia di Napoli.

TAMMURRIATA DELL’ALFA SUD TRA POMIGLIANO E LIVERPOOL

Allora andavo alle elementari, non avevo il giradischi per ascoltare “Tammurriata dell’Alfa Sud” del gruppo operaio di E’ Zezi e lo conservai con la promessa che da grande lo avrei fatto. Nel 1990 fu il primo vinile solcato dalla puntina del mio giradischi nuovo di zecca insieme a un vecchio disco dei Beatles trafugato in un mercatino londinese: Marcello, ‘E Zezi, il Vesuvio operaio di papà da una parte; John (Lennon), i Beatles, la Liverpool delle fabbriche buie della Gran Bretagna dall’altra.
Anni dopo questo passaggio all’Università, all’esame di Storia della Tradizioni Popolari, mi valse la richiesta di una tesi su Colasurdo e gli Zezi. La declinai, con rammarico, avevo già un progetto di Letturatura e Cinema nel cassetto.

COLASURDO L’ANTIDIVO

Nel ’95, prima dell’uscita di Marcello dagli Zezi, la redazione mi spedì ad un loro concerto memorabile. Ero alle prime armi. Al termine mi barcamenai tra la folla in delirio, conobbi Marcello, scese dal palco, mi abbracciò e mi disse: “Guagliò io non sono un maestro. Quando vuoi ci vediamo e facciamo una chiacchierata, ma senza quell’arnese (si riferiva al mio registratore a cassette)”. Non se ne fece mai niente. In quella notte all’ombra del Monte Somma, tra musica folk e tammorre, capii che quelle erano le radici di tutti noi messi assieme, giovani e meno giovani. Marcello Colasurdo è stato un punto di riferimento per tanti artisti del territorio e ciascuno gli deve qualcosa: da Enzo Avitabile a Daniele Sepe, da Eugenio Bennato ai 99 Posse.

IL FOLK DI MARCELLO DALLA FABBRICA ALLE LOTTE OPERAIE NEGLI ANNI DI PIOMBO

Le tammurriate di Marcello Colasurdo sono nate nei sotterranei di una fabbrica e chissà quanti benpensanti provinciali di allora erano convinti che il percorso musicale di ‘E Zezi sarebbe finito da lì a poco, inciampando in un gogliardico “dopolavoro operaio”.
Non è stato così e dal 1975, attraversando gli anni di piombo dei Paesi Vesuviani, la musica folk di Marcello ha accompagnato l’infanzia, l’adolescenza e la gioventù di quelli della mia generazione, che hanno visto la sanguinaria ascesa criminale di Raffaele Cutolo e della Nuova Camorra Organizzata fiancheggiata dalla mala politica dei papponi della vecchia e gradassa “Balena bianca”.

DEVOZIONE ANTICLERICALE TRA MUSICA E RELIGIOSITA’

Il folk di Marcello Colasurdo è stato un urlo contro il malaffare e la corruzione, una ricerca continua della libertà artistica e di pensiero, la musica che ha imbarazzato il clero bigotto dell’arretrata diocesi del territorio nolano, dilaniata da tanti rimorsi, inclusa l’orrenda fine dell’anticlericale Giordano Bruno, bruciato vivo come le streghe.
Marcello Colasurdo è stato un antieroe come se fosse, in quella fiseonomia baffuta, un discendente diretto dei Maya e degli Incas, valorosi combattenti ad oltranza contro il fanatismo dell’assassina Spagna cattolica. La sua devozione tra musica e religiosità a Mamma Schiavona, la Madonna di Motervegine, fu colta raramente dai prelati. Eccezione è stato don Peppino Gambardella, il prete scomodo e ribelle della diocesi all’ombra del Vesuvio, che di Colasurdo non ha mai smesso di elogiare sincerità, passione, autenticità.

MARCELLO, MARCELLO, MARCELLO

Scendo dalla scaletta dell’aereo. Piango. Tra un singhiozzo e un altro sento una voce chiamare: “Marcello, Marcello, Marcello.” Non è la voce felliniana della Ekberg che chiama Mastroianni ma quella soave della Madonna di Montevergine che accoglie tra le braccia il suo Marcello.
Oscar Wilde amava ripetere: “Siamo tutti in una fogna, ma alcuni di noi guardano le stelle.”
Marcello Colasurdo non ha mai smesso di guardarle e da “buddha del folk” ritornerà, prima o poi, sul suo Monte Somma.

Chiapas

Messico e nuvole in 5.400 chilometri da Sud a Nord

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Messico e nuvole in viaggio, nei 5.400 chilometri in bus in 26 giorni emozionanti e difficili da organizzare tra Sud, Ovest, Centro fino al Nord. Il mio Messico, lontano dal turismo di massa di Cancun e Playa del Carmen delle coppie di sposini confinate dai tour operator nello Yucatan dei gatti e delle volpi.

DALLO YUCATAN AL CHIAPAS

Messico e Nuvole da Valladolid fino alla poco taccheggiata Merida, superando il marketing turistico di Chichen Itza, grazie a cui completo le 7 meraviglie, per eleggere Uxmal a Meraviglia del Mondo. Messico e nuvole alla ricerca dei Maya e degli Aztechi, i battiti archeologici tra Palenque e Monte Alban, la traversata dello stato di Campeche, le ombre dei Narcos al confine con il Guatemala, giorni e notti burrascosi nel pericolosissimo Chiapas, noi su quel mini van con la polizia che ci ha instradato, la pittoresca San Cristobal de la Casas, spiritualità Maya-cristiana a Chamula, i fantasmi dell’Esercito Nazionale di Liberazione Zapatista e lo spettro della guerra civile del ‘94 che qualcuno qui vorrebbe ridurre a una bravata di quattro anarchici messicani.

OAXACA, FOLCLORE E IL PACIFICO DI ACAPULCO

Messico e nuvole nel centro del Paese, dove regna l’autenticità, nello stato di Oaxaca e il suo folclore, le tradizioni spalmate in riti meravigliosi, io che mi affaccio in un matrimonio locale, fino alla virata difficoltosa per strade e sicurezza verso il Pacifico.
La Puerto Escondido dell’omonimo film di Salvatores, l’Acapulco e la sua incantevole baia, nell’immaginario collettivo Messicano regina indiscussa del turismo balneare tra gli anni ‘50 e ‘70 che schiaccia Cancun e Tulum, sorellastre di una Cenerentola destinata a restare principessa per sempre.

CITTA’ DEL MESSICO TRA PROFUMI DI CIOCCOLATO E FRIDA KALHO

Messico e nuvole nella capitale n.58 del mio giro del mondo, sognata e desiderata fin dall’infanzia, tra le più pericolose del mondo. La mia Città del Messico, inespugnabile in bellezza e autorevolezza come la Madrid spagnola, diventa pagina di un indimenticabile diario di viaggio: l’incontro con la Maitre Chocolatier Sophie Vanderbecken che mi ospita sul laboratorio della famosa cioccolateria Le Caméléon Chocolates.
Giorni indimenticabili, condivisione di storie di cioccolato d’autore e vagabondaggi per il mondo, pellegrinaggio laico a Guadalupe, incontro spirituale con Frida Kalho e Diego Rivera a Casa Azul, l’archeologia che ti toglie il fiato al Museo Nazionale di Antropologia.

DAI SORSI DI TEQUILA IN JALISCO AL NORD TEXANO DI MONTERREY

Messico e nuvole nello stato del Jalisco – chi non arriva fino a qui non può capire cosa sia il Centro America – tra allegria e calore delle persone, i sorsi di storia della tequila, le danze, gli orizzonti perduti dell’America texana e le piazze sconfinate di Guadalajara che impongono bellezze, socialità, conoscenza come i due deliziosi studenti Miguel e Myriam.
Messico e Nuvole negli ultimi 800 chilometri pericolosi verso il Nord industriale che guarda il Texas di Houston e Dallas. La mia Monterrey, il mio traguardo, gli stivali messicani, le montagne cinematografiche del Cerro de la Silla, a meno di 200 chilometri dal confine con gli Usa, dove ho rivisto allo specchio il mio on the road Coast to Coast del 2005 e il ricordo dolce delle 36 ore trascorse con la prozia Olga Mautone Bakely, ammalata di Alzheimer.

LA GENEROSITA’ DEL POPOLO MESSICANO

Grazie alla generosità del popolo messicano, di tanti incontrati in questo mese indimenticabile che mi hanno aiutato a superare ogni difficoltà. Un abbraccio e un grazie speciale al generoso Walther, alla dolcissima Diana, al bellissimo Walther jr, che oggi voglio salutare come gli amici speciali del Jalisco.
Il Messico resterà una delle tappe del cuore tra i 61 Paesi del mio mappamondo. Sulla via del ritorno, scatta il conto alla rovescia che vorrei fermare, mancano pochi giorni ai miei 50 anni.
Grazie a Luisa, la mia First Lady, per aver capito, accompagnato un sogno che si allarga sempre di più, per il supporto con il fuso orario, per aver gestito ansie e preoccupazioni procurate da questo Ulisse giramondo. Adios, Mexico con un trofeo consegnatomi dagli stessi messicani: averti vissuto come volevo in questa immensa traversata.