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Archives Settembre 2023

Viaggi al cioccolato: i 20 anni di Le Caméléon Chocolate

Cioccolato e viaggi, due passioni intense, che filano il mio incontro con le Maître Chocolatier Sophie Vanderbecken. Quale modo migliore per festeggiare i vent’anni Le Caméléon Chocolates a Città del Messico?
Farsi offrire un bel posto letto per dormirci sopra e scoprire i piccoli segreti del famoso laboratorio artigianale della capitale messicana al numero 87 di Manuel Payno.

CIOCCOLATO E RICERCA

Sophie, belga d’origine e messicana d’adozione, mi ha confessato durante il nostro primo incontro a Oaxaca de Juárez qualche mese fa: “La passione per il cioccolato appartiene agli anni dell’infanzia. Dopo il trasferimento in Messico ho capito che potevo farne un mestiere ad un patto. Mettere la ricerca al centro della mia nuova attività.” Sophie non era stata la classica bimba golosona che svuotava la dispensa della nonna. Era cresciuta incuriosendosi piuttosto su cosa ci fosse dietro quei sapori e i vari equilibri.

CIOCCOLATO E VIAGGI

La Vanderbecken, attraverso il successo di Le Caméléon Chocolate, ha contribuito a frantumare nel suo piccolo l’odioso maschilismo di cui è infestata l’industria del cioccolato. Le sue ricerche la portano in giro tra le migliori piantagioni, dal Venezuela alla Colombia.
Competenza e conoscenza in anni di lavoro sodo fanno delle fiere di mezzo mondo la seconda casa di Sophie così come le competition. Penso a quelle bandite dall’Università di Londra sulle sculture di cioccolato o agli International Chocolate Awards in Perù.
La partecipazione a conferenze in prestigiose cornici di settore, dal Salone del Cioccolato e Cacao di Città del Messico al Festival del Cioccolato di Tabasco, hanno spinto Sophie Vanderbecken a salire “in cattedra”.

LE CAMELEON CHOCOLATE

Il valore aggiunto della conoscenza sta anche nella condivisione e così il laboratorio Le Caméléon Chocolate si trasforma spesso in aula per interessentanti workshop e aggiornamenti su questo affascinante mondo.
Nei giorni messicani delle mie incursioni dietro le quinte della bottega artigianale del quartiere di Obrera, ho avuto modo di apprezzare e capire da più vicino determinate scelte. Produrre del cioccolato di alta qualità con i grassi vegetali non rispetta soltanto la salute alimentare ma anche la natura stessa.
E poi sia cioccolato al peperoncino a Nogada o deliziose praline al gianduia l’assaggio contiene storia e radici, memorie culinarie che fanno del cacao e della sua lavorazione un patrimonio dell’umanità da salvaguardare.


Palestina Terrasonora

Viaggi e musica: Dalla Palestina di Faisal Taher alla periferia di Napoli dei Terrasonora

La musica può fare ancora tanto per unirci. La Palestina di Faisal Taher, classe 1959 ed emigrato in Italia nel 1986, si scioglie nelle sonorità di una delle band più affermate del “Niù Folk” del Sud Italia: i Terrasonora. Gennaro, Raffaele e Antonio Esposito, Antonello Gajulli, Gaia Fusco, Vincenzo e Davide Maria Laudiero ritornano sulla cresta dell’onda con Malevera, un brano convincente sui disagi della contemporaneità attraverso la metafora dell’erbaccia che può crescere dentro e fuori di noi.
Scritto a sei mani da Gennaro Esposito, Saverio Carpine e Davide Maria Laudiero, il testo e la musica di Malevera si nutrono del cartone animato del bravo Andrea Sirignano e della voce palestinese di Faisal Taher.

LA PALESTINA DI FAISAL

Il timbro vocale pacifico di Faisal mi riporta al viaggio in Palestina dell’anno scorso. Mi trovavo ad una sessantina di chilometri da Yabad, la sua città natale costretto a lasciare a 27 anni nel pieno del conflitto israelo-palestinese. Faisal assomiglia a Malik, uno dei protagonisti del video musicale di Malevera, immigrato in Italia alla ricerca di un futuro diverso. Quanti suoi coetanei rimasti lì non ce l’hanno fatta?
Non fu il capriccio di un giornalista l’ostinata discesa in Israele. Un autobus mi portò da Ascalona sulla Striscia di Gaza, pochi mesi prima che ricominciasse il palleggio delle bombe.
Era piuttosto la voglia di guardare all’orizzonte i territori visti nella tv dell’infanzia. Non ho mai smesso di contare i miei coetanei diventati angeli prematuramente mentre giocavano sotto quei bombardamenti tremendi.

LA PERIFERIA DI NAPOLI DEI TERRASONORA

Carmine, l’altro protagonista del video musicale di Malevera, rappresenta bene chi cerca di fuggire dalle tentazioni della malavita e dai ricatti della criminalità organizzata:

So’ lloro… so’ padrune ca se venneno ‘o sudore… Spaccianno ‘na speranza ca s’avota e so’ dulure. Malevera che cresce, Malevera dint’a ll’osse… Malevera è ccà… Malevera è ccà…

Le canzoni sanno essere dolorosamente profetiche senza guardare nella sfera di cristallo. I fatti di cronaca di questi giorni al Parco Verde di Caivano hanno riportato la periferia di Napoli nel ciclone mediatico.
Le parole e le musiche dei Terrasonora schiaffeggiano l’infamia e le mostruosità insidiate nel quotidiano. Malevera ci lascia una legittima speranza, la stessa che brilla nella Palestina di Faisal o nello sguardo luminoso del prete napoletano di frontiera don Maurizio Patriciello:

Ah! Fa’ ‘na grazia a sta gente, ca’nun tene cchiù niente: sulo ‘o mare ‘a guardà! Ah! Puorte dinto ll’addore, viento tocca stu’ ciore, ca’ me fa’ respirà!

La musica può fare ancora tanto, anche per smuovere dal torpore le nostre coscienze in qualsiasi parte del mondo, in una trincea di guerra così come in una zolla di terra di frontiera.

C’era una volta in America e Giamaica il viaggio con mia moglie

C’era una volta in America in 32 giorni di viaggio senza tralasciare una storia che pochi conoscono. Lo scorso dicembre stavo per realizzare il sogno di Luisa, mia moglie, di trascorrere Natale a New York. Era tutto pronto, un mese prima mi sono accorto che l’ESTA non era valido. Cuba, da cui ero appena rientrato, era stata inserita dagli USA nella lista dei Paesi “sponsor del terrorismo”. Ho smosso mari e monti ma non c’è stato modo di anticipare il colloquio in Consolato a Milano. A grande sorpresa, dopo lamentele e disappunti, hanno esteso il mio Visto da uno a dieci anni.
Una medaglia al valore che, nei giorni in cui New York è stata stordita da una tempesta glaciale, mi ha spinto a riorganizzare il viaggio da Sud a Nord lungo la East Cost americana. Mentre gli altri brindavano al Nuovo Anno e i nostri bagagli erano in un angolo, il sottoscritto azionava i superpoteri da re del lowcost. “Donna di poca fede – le dissi a suo tempo – ho preso con una delle compagnie aeree top in altissima stagione andata su Miami e ritorno da Chicago a meno di 600 euro. E ci sono anche i tuoi amati bagagli da 23 chili. L’America non sarà più di due settimane in una città ma di 32 giorni da girovaga.”
Sette mesi dopo, nel giorno del mio 50 compleanno, come in un racconto di Henry James, Luisa ha cambiato le carte in tavole con i suoi risparmi: “Doveva essere la mia prima volta in America ma è anche la tua. Ci torni per la quinta volta e il biglietto aereo del tuo primo viaggio dei 50 voglio sia il mio regalo.”

C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA

Trentadue giorni incredibili lontani dai viaggi confezionati o da catalogo. C’era una volta in America di decenni e decenni di ritorni vissuti, che volevo presentare a mia moglie, lontano dal cliché di Paese guerrafondaia o landa del cibo spazzatura. I miei Stati Uniti, attraversati in oltre 30 anni di viaggi, restano quelli dei versi di Dylan Thomas, le pagine di Kerouac, Bukowski e Hemingway tradotti sulle orme di Nanda Pivano intervistata su un divanetto milanese. E poi ancora il cinema di Chaplin, Scorsese e Allen, l’arte di Warhol, le provocazioni di John & Yoko, il rock di Springsteen, le poesie musicate di Bob Dylan e Lou Reed, il blues di B.B. King. E cosa dire dell’incontro a Chelsea con Susan Sarandon, l’altra metà delle nostre “Thelma & Louise”, o delle saette musicali e antifricchettone di Zappa? Queste ultime le dedico ai radical chic che volevano farmi andare di traverso l’hot dog in cambio di una scodella di riso delle vecchie e moderne dittature asiatiche. Sono come San Tommaso, viaggio per vedere con gli occhi, altrimenti resto a casa e sto zitto.

DA MIAMI A NEW YORK


Il nostro viaggio dalla Florida condivisa con i cubani immigrati fuggiti dalle schifezze dei regimi di Fidel e Raul Castro, all’affacciata sul balcone di Hemingway a Key West, punta estrema degli USA con lo sguardo rivolto al mare dei Caraibi. Dalla Miami speciale nel giorno dell’onomastico di Mimmo, un nostro caro amico, al terzo rientro a New York (mio padre sacrificò due stipendi da operaio per mandarmi la prima volta nel ’92). Senza l’effimera sapienza dei gruppi facebookiani, il faretto per mia moglie è stato il mio vissuto nella Grande Mela, della Statua della Libertà, di Ellis Island e del museo degli immigrati, della nuova amicizia con Vincenzo, emigrato con la famiglia a Brooklyn negli anni ‘60 da Pomigliano d’Arco, orgoglio di essere un italiano in America attraverso una vita fatta di sacrifici, onestà, lavoro e amore per la famiglia.
E quando a sorpresa ce lo siamo trovati all’aeroporto di JFK è come se mio padre da lassù lo avesse telefonato: “Vince’ mi nasconderò dietro di te, sarò la tua ombra, così gli sembrerà che sono tornato a prenderlo in aeroporto.”

GLI USA TRA VITA QUOTIDIANA E AMARCORD


Luisa, distante dalla goliardia degli odiosi “viaggi instagrammati”, si è ritrovata a cominciare le giornate newyorchesi in una stanza di Queens, a sorridere al nuovo vicinato multietnico, a passeggiare nella Brooklyn periferica di Bay Ridge assieme a Tony Manero di “La Febbre del Sabato sera”. E poi a girare tra le giostre poetiche di Coney Island e non nelle disneyane costose e affollate di Orlando, ammutolita nel silenzio di Ground Zero dopo averle anticipato che la mia New York del ‘92 non sarebbe più tornata indietro.
L’emozione di vedere Luisa, la ragazza di periferia di cui mi sono innamorato tredici anni fa, nel Village a New York nello stesso punto dello scatto della copertina di un disco di Bob Dylan, al tramonto sull’Interstate 41 del Wisconsin o con il gps a cercare i luoghi del film Rocky in un sobborgo malfamato di Philadelphia. Era lei a tifare per i Cubs ad una partita di baseball a Chicago, a passeggiare nel lungo flashback della Milwaukee di Happy Days e Laverne & Shirley, improvvisata criminologa tra le ombre dei gangster e di Al Capone nella Chicago del Proibizionismo, ad un passo dal gigante Buddy Guy in un club di blues dell’Illinois.

L’ALTRA GIAMAICA TRA PERICOLI E DISUGUAGLIANZE

E poi la virata della settimana in Giamaica, ispirata dalle canzoni di Bob Marley e Peter Tosh. Giamaica non è il mare caraibico o il confort dei resort spuntati come funghi negli ultimi decenni, oppio del turismo di massa e dei crocieristi. È la povertà vista nel nostro pellegrinaggio, un’isola stremata, pericolosa e piena di disuguaglianze, che si porta dietro ancora lo sfruttamento e gli scheletri nell’armadio del colonialismo inglese. Indimenticabili emozioni sugli spalti dello stadio di Kingston a condividere con i giamaicani la Festa dell’Indipendenza. Questa parentesi di sette giorni è racchiuso in un palmo di mano, nel gesto di generosità da parte di una famiglia di Ocho Rios: “Signora, non abbia paura. Vi riportiamo a casa. Salga in auto al posto mio, tanto nostro figlio si infila nel cofano, c’è spazio per tutti.”

VIAGGI E RINASCITE


Dopo questi episodi di generosità gratuita, in ogni rinascita e nuova vita che ciascun viaggio mi dona, torna con prepotenza la mia strafottenza verso i legami imposti perché la famiglia e le amicizie si allargano on the road, “sulla strada”.
I viaggi indimenticabili non li fanno un biglietto aereo o l’ansia di prenotare alberghi nel posto giusto ma i viaggiatori che sanno farsi passeggeri del mondo e dell’esistenza.