Me la ricordo nel piccolo televisore in bianco e nero che avevamo in cucina al tramonto degli anni ’70: sorriso raggiante, voce suadente, bucava lo schermo. E nonostante quelli della mia età fossero condannati ad ascoltare canzoncine per bambini, a me Donna Summer piaceva da matti.
Quando scoprii il significato della parola “razzismo”, mi sembrava tutto così assurdo perché per me gli uomini e le donne di colore avevano le voci più belle del mondo.
Donna Summer ha accompagnato casualmente un recente viaggio on the road. Mentre solcavo in auto la pianura padana con l’andamento di un lumacone, chiesi a bruciapelo alla mia compagna di viaggio: “Sei felice?”. E lei replicò: “Sì”. Prendemmo la rincorsa su una canzone della Summer che usciva dall’autoradio e fuggimmo via verso casa.
Adesso che la regina della Disco se n’è andata, forse si è portata via anche il sorriso della ragazza occhialuta. Le canzoni di Donna Summer continueranno a svolazzare dal mio autoradio così come quello sguardo disciolto in un paio di occhiali costeggerà la mia vita per sempre.
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