Al ritorno dalle vacanze, mi sono soffermato ad osservare migliaia di auguri in formato social che rimbalzavano da una bacheca all’altra e mi sono detto: quanto tempo è che non sento più a telefono le persone a cui tengo davvero per gli auguri? Mi sono ricordato addirittura che, negli anni dell’adolescenza, scarabocchiavo auguri personalizzati su biglietti preparati da me, saltavo sulla mia vespa rossa e li andavo ad imbucare personalmente.
Insomma, il calendario di Facebook mi ha fatto da promemoria per evitare figuracce con la community a cui appartengo, ma allo stesso tempo ha svuotato un gesto significativo della mia quotidianità. I guru dei social network sostengono che augurare buon compleanno su Facebook migliori la propria reputazione social nella centrifuga infernale del virtuale. Aggiungerei però che deteriora anche l’essenziale e mischia in un unico calderone alcuni legami che ci circondano.
Me lo ha confermato una telefonata recente del mio amico di infanzia Antonio. Ci siamo sentiti per gli auguri, ma poi parlottando a telefono siamo finiti a condividere memoria e quotidianità, l’essenziale agli occhi di un augurio speciale. Torno a riprendermeli, spalancando la finestra e alzando la cornetta del telefono: “Pronto, sono Rosario. Buon compleanno…”
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