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Pino Daniele, scudetto napoli

Napoli nel pallone tra canzoni di ieri e di oggi

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La febbre scudetto sta a Napoli come Napoli alle canzoni. La musica popolare accompagna da sempre la squadra partenopea e ci sono diversi brani che vanno ricantati da soli o in buona compagnia. Torniamo ad essere canterini sul balcone come nei mesi grigi del lockdown? Ho scelto quattro canzoni di ieri e di oggi per accompagnare il sogno azzurro.

OJE VITA, OJE VITA MIA

Oje vita, oje vita mia oje core ‘e chistu core
si’ stata ‘o primmo ammore e ‘o primmo e ll’urdemo sarraje pe’ me!

è il ritornello della famosa canzone napoletana ‘O surdato ‘nnamurato. Quante volte l’avete sentita cantare in coro senza aspettare la febbre scudetto del Napoli?
Scritta nel 1915 da Aniello Califano sulle musiche di Enrico Cannio, è un testo triste di cui il ritornello, cantato a squarciagola sugli spalti dell’ex San Paolo di Napoli, ne stravolge il significato. In realtà questa poesia musicata, che ha avuto interpreti d’eccezione come Anna Magnani e Massimo Ranieri, racconta della sofferenza di un soldato al fronte, durante la Prima Guerra Mondiale, per la lontananza dalla sua donna.

FORZA NAPOLI

Nino D’Angelo ha dedicato alla squadra azzurra la canzone Napoli, colonna sonora del film Quel ragazzo della curva B, uscito al cinema nel 1987 e ambientato nell’annata del primo scudetto. Versi come

Viecchie e giovani cercano rint’a nu pallone Nu poco ‘e pace nu juorno nuovo Ca se chiamma libertà

esprimono bene come i trofei siano un grande riscatto per tutta la comunità partenopea. Il brano è inserito nella discografia ufficiale di D’Angelo, comparendo all’interno dell’album Fotografando l’amore del 1986.

DA PINO A DIEGO

Tango della Buena Suerte di Pino Daniele, uscito nel 2004 all’interno del disco Passi d’autore, è un omaggio sottovoce all’ex capitano del Napoli Diego Maradona. Sotto le vesti di un tango e con venature malinconiche la canzone di Daniele fotografa bene la persona nascosta dietro al personaggio. In un certo senso è anche profetica rispetto alla morte prematura del campione argentino:

E a luci spente suona il tango
per magia resterà qui per sempre come un fermo immagine.

IL DIO DEL PALLONE IN UN RAP

Maradona è il titolo di una canzone di Geolier, contenuta nell’ultimo album Il coraggio dei bambini e pubblicata lo scorso gennaio. Il rapper di Secondigliano ha dedicato al Pibe de Oro un brano intenso in cui si sente forte la voglia di rinascita e di riscatto. Il dio del pallone in terra diventa così per Emanuele Palumbo l’interlocutore privilegiato nel nostro tempo complicato e pieno di contraddizioni:

Vogl duij rilog Dieg Armand Maradona
Tie vir bro vir che or song
Fat nu mlion rop lag mis aggir
E bast cu sti sold so volgare e so imbattibil
.

Murales, Napoli calcio

Napoli, dove fare i selfie a “regola d’arte”

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A Napoli sale la febbre scudetto e un bel selfie ci sta bene per onorare la squadra di calcio partenopea. In alternativa all’ambita foto con il calciatore del cuore, si può optare per un murale, un graffito, un’opera d’arte a cielo aperto.
Ecco cosa la street art napoletana vi mette a disposizione per il prossimo selfie.

JORIT TRA SAN GENNARO E MARADONA

Cominciamo con la benedizione scudetto del Santo Patrono di Napoli. Nel quartiere Forcella splende il San Gennaro di Jorit e, dai suoi 15 metri d’altezza su piazza Piazza Crocelle ai Mannesi, rivolge lo sguardo su Spaccanapoli. L’arte del partenopeo Jorit Agoch, di madre olandese, ha conquistato il cuore di tutti i napoletani che hanno reso il suo San Gennaro uno dei murales parteopei più diffusi in Rete.
Jorit ha fatto colpo ancora con il maxi murale dedicato a Diego Armando Maradona nel quartiere periferico di San Giovanni a Teduccio. Apprezzato dallo stesso Pibe de Oro, l’opera gigantesca di Jorit è stata realizzata nel 2017 su una facciata delle vecchie case popolari in via Taverna del Ferro.

STREET ART E MOVIMENTO

Il murale dedicato a Maradona nei Quartieri Spagnoli è meta di pellegrinaggio da sempre. Su un vecchio palazzo di sei piani, in via Emanuele De Deo, Diego corre per segnare un goal, nel cuore della città che ha amato tanto. Street art e movimento evocano l’infinito sentimento partenopeo per il grande campione argentino scomparso prematuramente. L’opera è stata relaizzata nel 1990 da Mario Filardi in occasione del secondo scudetto vinto dal Napoli.
Meno noti, sempre in zona, sono i murales dell’artista argentino Juan Pablo Gimenez in via Trinità degli Spagnoli. I protagonisti sono Kim, Anguissa, Di Lorenzo e Kvaratskhelia e l’mpronta artistica movimenterà il vostro selfie.

DALLA STAZIONE DELLA CUMANA AI BAMBINI CON LA MAGLIA DEL NAPOLI

La fermata Mostra-Stadio Maradona della ferrovia Cumana di Napoli è un altro posticino da tenere in considerazione per un selfie a regola d’arte. Un’antologia di murales racconta la storia centenaria del Napoli Calcio fino ai giorni nostri. Qui avrete soltanto l’imbarazzo della scelta tra vecchie e nuove glorie che hanno indossato la maglia azzurra, da Cavani a Higuain.
Infine, si segnala l’omaggio artistico di Rosk & Loste al mondo dell’infanzia e alla passione per il pallone nell’opera gigantesca che campeggia in periferia, nel Parco dei Murales a Ponticelli. Le maglie della squadra del Napoli indossate dai due bambini, protagonisti del murale dei due artisti siciliani prima della febbre scudetto, trasmettono un forte segno di appartenenza, l’importanza della propria identità e delle radici comuni.

Napoli, Stadio Maradona, Ex San Paolo

4 luoghi storici nel cuore di un tifoso del Napoli

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Scattata da un bel pezzo la febbre per il terzo scudetto, ci sono almeno 4 luoghi storici da vedere se sei un tifoso della squadra del Napoli. La società sportiva Calcio Napoli si prepara a festeggiare nel 2026 i cent’anni e in giro ci sono alcuni posti che appartengono alla storia di una squadra di calcio che ha segnato la storia del pallone in Italia. Sei o non sei un tifoso degli azzurri?

IL VESUVIO, IL PRIMO STADIO NON SI SCORDA MAI

Il rione Luttazzi, conosciuto al grande pubblico per la serie televisiva di L’amica geniale, ha ospitato il Vesuvio, primo e storico stadio della squadra del Napoli Calcio. Inaugurato nel 1930 a pochi chilometri dalla Stazione Centrale, fu completamente distrutto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale dodici anni dopo.
Vita corta per il campo, intitolato successivamente ad Ascarelli, il fondatore della società calcistica partenopea scomparso prematuramente. Oggi a ricordare lo stadio e le sue gesta calcistiche c’è una targa ubicata nella via Vesuvio.

LO STADIO COLLANA

Al Vomero, quartiere collinare della città Napoli, c’è lo stadio Collana che ha contribuito a scrivere la storia degli Azzurri parteonpei negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso. Pochi sanno che l’ex stadio del Littorio con i suoi 8.000 posti ha ospitato la squadra del Napoli dopo la distruzione dell’Ascarelli sotto le bombe della guerra.
Doveva essere una location provvisoria. In realtà il Napoli ha giocato qui per 17 lunghi anni. Nel 1959 avvenne il trasferimento nel nuovo e grande stadio del Sole, battezzato poi San Paolo.

LO STADIO SAN PAOLO

Batticuore allo Stadio San Paolo, inaugurato nel lontano 1959 e intitolato dal 2020 all’ex capitano del Napoli Diego Armando Maradona. Ristrutturato in occasione dei Mondiali di Italia 90, lo stadio partenopeo è ubicato nel quartiere di Fuorigrotta, il più popolato del capoluogo campano. Nel corso dei decenni è riuscito ad ospitare per una partita anche 90.000 spettatori: si trattava del match tra la Nazionale italiana e la Germania Est del ’70.
Su questo campo si sono disputate partite degli Azzurri entrate nella mitologia del calcio di tutti i tempi. Chi non ricorda la mitica punizione del 1985 che portò alla vittoria gli Azzurri di Maradona contro la Juventus di Platini o il 4-1 del Napoli di Bianchi e Maradona contro il Milan di Sacchi e Van Basten del 1988?

IL CENTRO SPORTIVO PARADISO

A Soccavo c’è una pagina di storia del Napoli Calcio dei tempi di Maradona. Il Centro sportivo Paradiso, costruito nel 1977, è ormai abbandonato e lasciato morire a sé stesso da vent’anni.
Questo luogo potrebbe raccontare annali di allenamenti.
Siete tra coloro che ai tempi frequentavate il quartiere alle pendici della collina dei Camaldoli? Allora avete rubato i palleggi di Diego o portate ancora nel cuore il ricordo dei bambini gioiosi assiepati lì per strappare un abbraccio al loro dio calcistico.

federico salvatore

Azz, non voglio dire addio a Federico Salvatore!

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La notizia della scomparsa prematura di Federico Salvatore, apprezzato cabarettista e chansonnier partenopeo, addolora ogni napoletano che si rispetti. Le luci della ribalta si accesero per Federico una trentina d’anni fa sul palco del Maurizio Costanzo Show. La partecipazione nel 1996 al Festival di Sanremo con il brano Sulla porta fece il resto. Io trascorsi un pomeriggio insieme a lui dentro e fuori gli studi di Radio Club 91, tempo dopo il rientro sanremese. I funerali sono previsti il 20 aprile alle ore 12.30 nella Basilica di San Ciro a Portici. I fan e le persone che gli hanno voluto bene gli daranno l’ultimo saluto.

L’ARTE DI FEDERICO SALVATORE SULLE BANCARELLE

In realtà per noi napoletani Federico Salvatore, 63 anni, è entrato nel cuore nel decennio precedente a quello della popolarità nazionale accompagnata dallo slogan “Azz”. A metà degli anni ’80 sulle bancarelle alla Ferrovia di Napoli, infatti, circolavano le audiocassette con gag e canzoni ironiche insuperabili. Ero alle scuole medie, stavo mangiando una sfogliatella con nonno Pasquale nel vico della ferrovia quando la sua voce uscì da una cassa di un ambulante. Nonno Pasquale rideva “sotto i baffi” e io corsi il rischio di affogare per le risate.
Chiamatele pure arte da bancarella ma gli esordi di Federico Salvatore avevano già chiaro il destino artistico. Diventare un arguto cantastorie e cronista della quotidianità napoletana, quella che se non sei nato all’ombra del Vesuvio non puoi capire.

APPICCICATA O VOMMERO

L’emblematica canzone-macchietta “Appiccicata o Vommero”, un litigio nel quartiere vomerese tra un “chiattillo” della Napoli benestante e un popolano, nascondeva l’amaro campanilismo tra la città bassa e la città alta, che da Posillipo serpeggiava fino in via Santa Teresa degli Scalzi del quartiere Stella, dove Federico Salvatore era nato il 17 settembre 1959. Rispetto a Tony Tammaro e alla sue parodie musicate, Federico Salvatore è stato più capace di affacciarsi in ogni quartiere di Napoli e raccontarne pregi e difetti senza perdere di vista le sfumature della diversità.

IL MIO POMERIGGIO CON FEDERICO SALVATORE A RADIO CLUB 91

Nella primavera del 1996, dopo il trionfale rientro dal palco del teatro Ariston, trascorsi un bellissimo pomeriggio con Federico Salvatore a Radio Club 91, in via Broggia a Napoli, a pochi passi dal teatro Bellini. Io ero agli esordi con la macchina da scrivere. Dopo l’intervista negli studi radiofonici, io e Federico continuammo con una lunga chiacchierata davanti a un caffè: mi donò tanti aneddoti della sua gavetta, i sacrifici spesso incompresi, mi raccontò della nuova casa sul litorale Domitio, del mancinismo che ci accomunava e rise a crepapelle quando gli dissi che all’asilo avevano tentato di curarmi come se avessi una malattia.
E naturalmente ci soffermammo ancora sul testo di Sulla porta, che lo aveva sdoganato dal cliché di chi vuole strapparti la risata facile. Il monologo musicato intenso, che raccontava il delicato momento di un coming out, porta anche la firma di Giancarlo Bigazzi.
Federico Salvatore, che ho rincontrato spesso a teatro – sosteneva che un bravo cabarettista “non deve digiunare del palcoscenico neanche da spettatore” – era schietto, sensibile, empatico. La sua “battuta” nascondeva l’amarezza del cabarettista appartenente a una razza davvero in estinzione, anche quando mi salutò così da fratello maggiore: “Ragazzo, ricorda che uno dei mali del nostro Paese è lo squallido tentativo di distinguere gli artisti in serie A e B.”


FARE IL NAPOLETANO STANCA…

Fare il napoletano stanca…. di Federico Salvatore è una riflessione intensa del 2009 che oggi potrebbe essere il testamento dell’artista. L’avete mai ascoltata? Ci sono due motivi per cui varrebbe la pena tornare a Napoli nei prossimi mesi: festeggiare lo scudetto e urlare sotto la finestra della sua casa a Portici: “Federì, affaccete a sta fenesta e cantece ‘na canzone.”

“Non ho titoli di Dottore
ne divisa di ferroviere
non sono ladro né carabiniere
sono un lavoro umano
che ha ingegno da ingegnere
faccio il napoletano di mestiere
E’ la napoletanità chiusa nel mio DNA
è un passpartù di opportunità.”

Copertina, The Dark side of the Moon, pink floyd

The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd in 50 anni di batticuore

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Il 1 marzo 1973 The Dark Side of the Moon, uno dei dischi capolavoro dei Pink Floyd veniva alla luce mentre io sgomitavo ancora nel pancione di mamma per entrare in questa vita. Possibile che quest’album, che sembra arrivato da chissà quale galassia, abbia già 50 anni? Sì, perché il tempo ci passa sotto il naso ma l’arte può ricompensarci, cristallizzando il divenire e farci sentire immortali anche per il minuscolo tempo di una canzone.

DAL COSMO VERSO IL FUTURO

The Dark Side of The Moon, ovvero il Lato Oscuro della Luna, ha raccontato in musica attraverso il formulario del concept album il lato oscuro che si nasconde dentro di noi. La copertina geometrica di Thorgherson e Hardie, la rifrazione della luce attraverso un prisma, a cui si aggiungono le composizioni musicali in cui le tenebre scazzottano con la luce che è in noi. Resta uno dei pochi dischi dei Pink Floyd composti a otto mani da David Gilmour, Rogers Waters, Nick Mason e Richard Wright, è quasi un percorso metafisico grazie anche al tocco del “fisico del suono” Alan Parsons. La voce spettacolare di Clare Torry, ninfa del quartetto londinese, ha trasformato il brano The Great Gig in the Sky in un vero e proprio manifesto vocale.

CELEBRATION E PULSAZIONI DAL VIVO

Ero in prima fila a Venezia, accreditato stampa, nella notte magica del concerto del 12 agosto 2006 con una parte dei Pink Floyd. David Gilmour tirò fuori dal cilindro alcuni gioielli di The Dark Side insieme al compianto Wright, John Carin e al sax storico Dick Parry. Tremavo quando appuntavo sul taccuino il pezzo da pubblicare l’indomani.
Approfitatte delle celebrazioni per portavi a casa un bootleg ufficiale in vinile, pubblicato in occasione del cinquantesimo: The Dark side of the Moon – Live at Wembley registrato a Londra nel 1974. Non aspetterai tanto fossi in voi. A causa delle scazzottate continue tra Gilmour e Waters, i dischi del catalogo dei Pink Floyd sono ristampati a singhiozzo.

Reina Elisabetta, opera d'arte

10 opere d’arte per ricordare la Regina Elisabetta, la nostra cara Lillibet

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La Regina Elisabetta attraverso 10 opere d’arte che hanno trasformato la sovrana più famosa del pianeta in un’icona pop che resterà nel cuore di tanti di noi. A un mese esatto dalla scomparsa. ricordiamoci che Elisabetta II del Regno Unito, nei 70 anni del suo regno, ha lasciato un forte segno anche nell’immaginario collettivo. Dalla Gran Bretagna ha cavalcato il mondo e il suo Novecento.

L’incoronazione di Cecil Beaton (1953)

Ritratto di Dorothy Wilding (1952)

La Regina Elisabetta di Andy Warhol (1985)

The Queen di Justin Mortimer (1997)

The Royal Family di John Wonnacott (2000)

Lucian Freud, HM Queen Elizabeth II (2001)

Queen Elizabeth II di Chinwe Chukwuogo-Roy (2002)

 Lightness of Being di Chris Levine (2004)

Dreams and Nightmares of the Queen di George Condo (2006)

Queen Elizabeth II di Dan Llywelyn Hall (2013).

10 foto di Mikhail Gorbaciov da conservare

Quelli della mia generazione sono cresciuti sentendo in lontananza il ruggito di Mikhail Gorbaciov, il visionario della Perestrojka a cui i russi non diedero ascolto in tempi non sospetti. Ho scelto 10 foto dall’album della sua vita e voglio ricordarlo così.Prima o poi troverò qualcuno di buona volontà che vorrà musicare le parole sagge di un antico proverbio arabo: “Sui cadaveri dei leoni festeggiano i cani credendo di aver vinto. Ma i leoni rimangono leoni e i cani rimangono cani”.

Le radici, i nonni, la Russia contadina.
Misha e il suo grande amore Raissa, sposi per 46 anni
Misha e Fidel
I sorrisi di Misha e Reagan, la distensione URSS-USA
L’appassionato bacio tra Misha e Heckner della Germania dell’Est
Misha e Sua Maestà Lillibet
Misha e il Papa polacco Wojtyla
Misha fotogenico nello spot pubblicitario di Pizza Hut
Misha, la musica, Bono e il sassofono macato di Clinton
L’amore oltre la morte. L’ultimo saluto straziante alla sua Raissa.
Vulcano Fagradalsfjall, Islanda

Viaggio in Islanda: trekking sul nuovo vulcano di Fagradalsfjall

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Fare trekking sul vulcano di Fagradalsfjall, la cui eruzione del 2021 ha fatto il giro del mondo, è stato uno dei momenti più emozionanti del mio viaggio in Islanda. In realtà questo vulcano distante soltanto poco più di cinquanta chilometri da Reykjavik si è fatto una bella dormita di quasi nove secoli.
Come mi ha ricordato Albert, la mia guida, l’isola è in continua trasformazione e i terremoti, che l’anno scorso hanno fatto ballare gli islandesi per diversi mesi, hanno segnato il risveglio del dormiente con la fuoriuscita di un nuovo cratere.


MONTAGNA DELLA BELLA VALLE DEI CASTRATI

Il trekking verso il cratere è di quasi quattro chilometri. A fine maggio il luogo è di una suggestione unica, c’è pochissima gente e la desolazione dell’ambiente procura al viaggiatore sbalzi emotivi. Non so quante volte ho dovuto trascrivere Fragradalsfjall sul taccuino prima di imparare questo nome che letteralmente significa Montagna della bella valle dei castrati.
Mi incammino a passo sostenuto e non smetto neanche per un secondo di godermi il tragitto. C’è una spianata immensa, mi riporta all’on the road negli USA in New Mexico, nei pressi del fiume Rio Grande, dove avevo ritrovato gli scenari dei film Western di John Ford e Howard Hawks.

LAVA E LAPILLI TRA RICORDI D’INFANZIA

Prima di arrivare al cratere, finisco in un’immensa colata di lava che ha creato un solco. Mi sembra tutto così surreale. Prendo un pezzo di roccia di lava in mano e lascio dondolare i ricordi dell’infanzia. Se nella lista del mio giro del mondo c’è l’Islanda è anche merito di un’eruzione dell’Hekla del 1981. Ricordo la lava fuoriuscire da un piccolo televisore in bianco e nero in cucina e io che temevo arrivasse fino da noi a Napoli. Papà mi rassicurava dicendomi che la distanza era tanta e intanto mi raccontava delle ceneri dell’eruzione del nostro Vesuvio del 1944.
Ora sotto i miei piedi c’è tutta l’attività del vulcano islandese. Se Fragradalsfjall facesse un brutto scherzo con una nuova sboccata di lava, da una parte potrei godere di uno spettacolo suggestivo e dall’altra quanto rischi di restare sepolto qui?

SPETTACOLO DELLA NATURA

Ecco un bellissimo video girato dalla mia guida Albert nel giugno 2021, esattamente nello stesso punto dove sarei arrivato io un anno dopo.

Tra i vulcani e la vita c’è di mezzo la saggia riflessione di uno scrittore giapponese della portata di Yukio Mishima:

La vita è un danza nel cratere di un vulcano:
erutterà ma non sappiamo quando.

Cascata Gullfoss, Islanda

Incanto d’Islanda: La cascata di Gullfoss, batticuore da viaggio

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In tarda mattinana sono su un van che scorazza nel raggio di un centinaio di chilometri da Reykjavik in direzione del Golden Circle, la prima scoperta paesaggistica dell’Islanda occidentale. In realtà il Circolo d’Oro è un misto di parco nazionale, area geotermica e cascate. Sorseggio acqua sgorgata dai ghiacciai, sgranocchio noccioline come se fossi al cinema e dal finestrino mi godo la lunga catena montuosa.

TUTTO SI TRASFORMA

L’area geotermica di Geysir mi ricorda i trascorsi attraverso la Nuova Zelanda quando avvertivo le correnti calde sotto i piedi. La fumarola del gayser sputa contro il cielo come se fosse un rigetto della Madre Terra per tutti gli scempi compiuti e che pagheremo a caro prezzo ogni giorno. In realtà è tutta area vulcanica che risale a 10.000 anni fa, tempo infinito da conteggiare ma non per capire che tutto si trasforma in questa isola incredibile. Domani l’Islanda non sarà la stessa che sto vivendo.
A confermarmelo è una sosta indimenticabile nel parco nazionale di Thingvellir in cui gli andamenti vulcanici hanno portato sopra il livello dell’oceano la dorsale medio atlantica, la cui fossa è nel mezzo delle placche tettoniche che separano l’Europa dal Nord America. Una chicca unica apprezzata anche da chi mastica gli elementi basilari di geologia.

LE ACQUE DI GULLFOSS, SANTUARIO NATURALISTICO

L’incanto del primo pellegrinaggio naturalistico on the road resta la cascata di Gullfoss, che mi ricorda da lontano le cascate di Iguazù spartite tra Argentina e Brasile. Patti chiari e amicizia lunga. Le cascate sudamericane sono inarrivabili e restano al primo posto nella classifica del mio giro del mondo. Gullfoss le richiama nel percorso, nelle serpentine che ci permettono di osservarle da più prospettive, godendo di uno spettacolo unico e irripetibile.
Quando ci avviciniamo, i getti d’acqua sono così possenti da travolgere l’anima del viaggiatore. Insomma, piuttosto che farvi tanti chilometri per le cascate canadesi del Niagara (la parte americana non la considero, è una diga!), ormai prepotentemente commerciali e turistiche, venite in Islanda e vedrete come, dopo aver visto Gullfoss, non vi pentirete.

Risalgo sul van con Gullfoss nel cuore, sulla strada del ritorno.

Bjork casa

Cartolina da Reykjavik: sulle orme di Björk

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La quarantanovesima capitale del mio giro del mondo è Reykjavik, la più a Nord d’Europa, da associare alla mitica Björk. Culla dell’Islanda dove volevo arrivare fin da bambino, la capitale – quanto tempo ho impiegato per impararlo a scrivere – racchiude nel suo nome il significato di baia fumosa, visto che i suoi dintorni sono zeppi di aree geotermiche.
Qui il tempo cambia alla velocità della luce e, nonostante le previsioni meteo fossero pessime, Reykjavik ha premiato il mio ottimismo da viaggiatore con tanto sole, più di quello che si vede in questo periodo in Islanda.


REYKJAVIK, ANIMA PUNK

Tanti turisti dicono che non sia un granché, ma il viaggiatore che gira a piedi fino alla sfinimento replica che sia un affascinante misto di modernità, atmosfere nordiche e, perché no, di quei retaggi storici con l’occhio lungo fino alle saghe dei vichinghi. L’anima di Reykjavik? Per me è punk e non te lo aspetteresti mai, proprio come quell’ondata di subcultura giovanile che contagiò il Regno Unito cinquanta anni fa. E poi i legami tra Islanda e Inghilterra sono stretti, anche a livello musicale, penso alle etichette discografiche indipendenti che hanno avvistato i musicisti talentuosi islandesi. Ce ne sono, eccome.

ARCHITETTURE MODERNE, SAGHE NORDICHE E PROVOCAZIONI

Mi piace iniziare a girarmela a prima mattina, al porto sorseggiando un caffè o finendo in un supermercato per trovare un panino e una coca a prezzi ragionevoli, visto che il cambio e il costo della vita per noi italiani sono una batosta infernale. Fatevene una ragione, prima di partire.
L’architettura moderna dei palazzi residenziali, le casette tipiche islandesi con le facciate dalle tinte forti, i murales sparsi qui e lì, la lunga passeggiata sull’Oceano, i piccoli angoli segreti, il parco cittadino con il suo laghetto, la scultura provocatoria dedicata alla Burocrazia (grande male dell’isola!) me la rendono tremendamente piacevole.
L’arte figurativa di Errò, il mio artista islandese preferito celebrato dal Museo d’Arte Moderna, è un ottimo modo per cominciare tanto poi, per rotolare come una pietra del tempo, c’è il Museo Nazionale d’Islanda tra un’imbarcazione vichinga e un amuleto del dio Thòr, il cui culto millenario è antecedente a quello cristiano.

NELLA VESTURBAER DI BJORK

Mi sento islandese appena mi allontano dal centro, trotto parecchio fino al quartiere di Vesturbaer. Ho avuto una soffiata, in queso periodo Björk è ritornata qui dalla casa newyorchese. Del resto se sono atterato in islanda è anche merito della sua arte musicale visionaria. Ricordo quando, tra un corso e un altro del primo anno di università nel ’93, mi registrarono su una TDK60 il primo album. Nelle prime ore pomeridiane mi affaccio al Kaffihús Vesturbæjar, una coffee house al numero 20-22 di Melhagi. Mi guardo intorno, nessuno spiffera niente, tranne una ragazza al banco da cui so per certo che Björk è andata via qualche ora prima. Viene a rilassarsi prima di andare in una piscina pubblica a pochi passi da qui. Mica come le nostre celebrità che frequentano soltanto posti esclusivi?
Giro e rigiro finisco sotto casa di Björk. Non ho di certo l’aria di uno spasimante, ma gli islandesi sono persone riservate e per loro è impensabile che io possa andare a citofonarla. Se fossimo stati nella mia Napoli, questa storia avrebbe avuto un altro finale: sarebbe sbucata la vicina che mi avrebbe “raccomandato” per bere un caffè insieme.

OCEANO-MADRE

Mi sposto e guardo incantato l’oceano, attraverso la stessa angolatura della finestra di casa. C’è vento, il sole si nasconde dietro le rincorse delle nuvole. Penso a quanto la cantautrice e compositrice di Reykjavik, fin dalla gioventù, mi abbia fatto sognare l’Islanda, un mondo sospeso finalmente vissuto in un viaggio incredibile, pieno di emozioni impreviste.
Le mie parole volano al vento e le lascio inghiottire dal suo Oceano-madre in questa gelida serata. E lì, dove si dissolve la linea dell’orizzonte, che ho incontrato davvero Bjork, a modo mio, prima che il sole di mezzanotte schiacciasse le tenebre nottambule oltre l’impavida coltre del viaggiatore.