Lorenzo Rocci, grecista e lessicografo, noto a tutti come il papà del più completo e famoso dizionario Greco-Italiano, era nato nello stesso fazzoletto di terra di Lucio Battisti. Tra la Fara in Sabina dell’erudito e la Poggio Bustone del cantautore ci sono una cinquantina di chilometri in auto.
Entrambi i paesi della provincia di Rieti si sono sforzati di omaggiare i loro concittadini illustri e, in fin dei conti, a Battisti è andata meglio di Rocci perché a pochi anni dalla scomparsa ha ricevuto il monumento in paese.
Il povero Rocci ha dovuto penare un po’, a settant’anni dalla scomparsa con l’aggiunta di uno slittamento per la pandemia, ha finalmente avuto una scultura in bronzo che guarda al suo liceo a Fara in Sabina.
L’Italia è un Paese di smemorati e così uno dei più grandi grecisti d’Europa deve mendicare memoria collettiva? Per i liceali della mia generazione, il Rocci era il dizionario voluminoso che i nostri genitori ci avevano comprato con sacrificio. Ricordo la sera d’autunno del 1987 in cui papà, ancora con la tuta da lavoro, tornò da una libreria con il tomo gigante. Un salasso, aveva tirato fuori più di 100.000 delle vecchie lire.
Si sa che le mie frequentazioni ai tempi erano già anglofone e restavo attaccato alla gonnella di Shakespeare, ma ogni volta che predevo 5 ad una versione di greco mi sentivo in colpa. Eppure il dizionario Rocci è rimasto un monumento immacolato nel mio archivio e, anche quado è sbucata la moda di vendere i vecchi vocabolari di greco e latino, io ho detto no. Non è stato un atto di sentimentalismo verso i giorni spensierati del liceo, quanto la lucida consapevolezza del valore dell’opera omnia del gesuita di Fara in Sabina.
Dopotutto neanche la generazione dei miei professori è stata all’altezza di onorare la memoria di Lorenzo Rocci, magari dedicandogli una giornata di lezione monotematica per trasmettere a noi studenti di allora il valore della sua opera. Indaffarati a riempire registri, portare avanti programmi ministeriali, inciampare nello sterile nozionismo, ci hanno fato credere che IL Rocci fosse esclusivamente uno strumento di traduzione.
Perché Lorenzo Rocci avrebbe meritato di più in questi settant’anni dalla sua scomparsa? Perché quel dizionario è un compendio di storia, patrimonio dell’umanità compilato da un gesuita con certosina maestria.
Il dizionario Greco-Italiano, edito dalla Società Dante Alighieri, non è stato l’effimera compilazione di schedine, ma un’opera all’avanguardia che ha registrato con puntuale meticolosità l’evoluzione del greco antico, sgattaiolando tra le evoluzioni linguistiche sotto le varie dominazioni, inclusa quella bizantina.
Altro che eBook, ogni pagina del buon vecchio Rocci profuma di storia e ci mette, ahimé, di fronte a una dolorosa presa di coscienza: l’involuzione e l’imbarbarimento linguistico che serpeggia nel ping pong quotidiano di Whatsapp. Chiedere scusa a Padre Rocci per non averlo riconosciuto abbastanza? Perché no, canterebbe il suo conterraneo Battisti.
Al di là degli allori istituzionali – quelli lasciano il tempo che trovano – basterebbe che ogni studente di oggi, di ieri o dell’altroieri mettesse aperto sul davanzale della finestra il suo dizionario e lasciasse che il fruscio del vento sfogliasse le pagine come fossero un memento.
Sarebbe un modo “romantico” per ribadire: “Scusaci, Lorenzo Rocci. Meritavi di più!”
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