Il traffico infernale l’ho mandato giù, ma non di certo quella povertà che fa spettacolo lungo le strade di Delhi. L’India suddivisa in caste continua a produrre povertà, mi sembra di vivere un lungo flashback tra le grinfie del colonialismo britannico.
Invece no, a Delhi le tracce dei colonialisti sono evaporate – l’inglese lo hanno dimenticato in tanti – ma il battesimo di questo mio lungo on the road deve per forza avvenire sulla tomba di Gandhi.
Il Mahatma è il dono più bello che Dio ci ha inviato nel XX secolo. Ci hai insegnato che le battaglie si vincono senza armi o eserciti. Questo vale anche per sconfiggere lo sfruttamento colonialista.
La non-violenza è la scorciatoia che permetterebbe all’umanità di godersi la luminosità del volto di Dio.
Le vecchie glorie del Forte Rosso scemano nel chiassoso mercato di Chandni Chowk, nel cuore della vecchia Delhi, nel contrasto di un tempio induista e una moschea islamica, tra i bazar dove si può trattare su qualsiasi articolo e il mercato delle spezie.
La porta dell’India si erge a simbolo come l’Arco di Trionfo parigino, ma Delhi corre ed è troppo indaffarata per accorgersi che il fantasma di Indira Gandhi, il primo ministro assassinato il 31 ottobre 1984, aleggia sulla capitale.
Il sogno dell’altra Gandhi – nessun legame di paretela con il Mahatma – è depositato nella sosta emozionante dell’Indira Gandhi Memorial ed infranto come accadde per il clan dei Kennedy negli USA.
Meglio perdersi tra le orme della storia anziché far finta di niente, tapparsi il naso come fanno i turisti preoccupati a seguire per il filo e per segno il vangelo della guida turistica di turno.
Le guide cartacee non servono a niente in India. Comincia con questa consapevolezza uno dei viaggi di svolta della mia vita da viaggiatore.
La semplicità è l’essenza dell’universalità. (Gandhi)
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