I turisti e gli ospiti li sloggiano nei quartieri residenziali per dare loro la solita minestra riscaldata condita dallo “stiamo tutti bene”. I viaggiatori come me, fuori dal gregge, restano in centro perché è qui che si concentrano le ferite da leccare dell’Apartheid.
Le gang attaccabrighe, che si aggirano sulla De Kort street dopo il tramonto, trovano qualsiasi scusa per coinvolgerti in una rissa. C’è ancora tanta rabbia verso chi ha la pelle bianca, anche se alcuni dei residenti di Johannesburg mettono il dito sul fuoco perché ai criminali non interessa il colore della pelle, ti pisciano proiettili in faccia comunque anche per una manciata di grana addosso.
Il mio viaggio a Joburg inizia all’alba su Constitution Hill, il luogo simbolo degli orrori dell’Apartheid chiusi con il lucchetto nella prigione in cui fu detenuto Nelson Mandela. Roy che lavora in questo complesso mi racconta di quando da piccolo sentiva parlare dell’attivista dei diritti dei neri, destinato a diventare il primo Presidente del Sudafrica “libero”.
La censura governativa non faceva circolare alcuna foto. Il viaggio nell’ex prigione è emozionante, la mano di ferro dell’Apartheid discriminava i detenuti per il colore della pelle, rendendo a Mandela e compagni la vita un inferno.
Poi si vagabonda a Joburg tra le strade del centro per ricostruire le tappe del colonialismo olandese e inglese che sfregiò il volto di questo Paese del continente nero. Il Museo dell’Apartheid raccoglie memorie e ce le sputa in faccia, lasciando l’ennesimo rimorso di non aver fatto abbastanza e non averlo compiuto nel tempo giusto.
Il tramonto si scioglie come la sera su Joburg. Io ho paura degli orrori dell’Apartheid e dei governi criminali che ne sono stati complici.
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