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Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Cartolina da Recanati: Leopardi non abita più qui?

Si finisce a Recanati per un motivo solo: intrufolarsi nella casa natale di Giacomo Leopardi e farsi una sana scorpacciata di vecchie memorie scolastiche. Sulla piazza del Sabato del Villaggio c’è un caldo micidiale e all’orizzonte neanche l’ombra della “donzelletta che vien dalla campagna”. Le finestre del palazzo Leopardi sono chiuse e degli eredi che lo abitano neanche l’ombra. Non vedremo mai nessuna delle stanze, peccato. La scelta è obbligata: una mostra multimediale e la sterminata biblioteca dello “studio matto e disperatissimo”. Della prima ne possiamo fare a meno. La seconda è l’unica via di uscita per annusare qualcosa del grande poeta.

E’ tutto lì tra quei tomi, mentre la memoria si sbriciola tra i racconti della guida, che spesso si lascia andare a spasimi emotivi, quasi fosse un erede. Non basta lo scrittoio, non bastano quelle finestre per riportarci all’autenticità d Leopardi. Del resto proprio i recanatesi, da cui Giacomo se la diede a gambe, oggi farebbero di tutto per riaverlo lì. Le spoglie sono lontane, all’ombra del Vesuvio, sulle cui falde sbocciò la ginestra, il fiore che di Giacomo fece intravedere altro.
Lasciamo da parte i gossip letterari – tra i desideri repressi per Silvia (alias Teresa Fattorini) e il dispotismo del papà Monaldo – l’ingordigia di alcuni studiosi affossati tra il pessimismo storico e quello cosmico o l’apparente strafottenza attribuita alla maggior parte degli studenti italiani, vittime spesso di docenti indecenti, che sul poeta recanatese sapevano sputare fuori soltanto pappardella in saldi.

Giacomo Leopardi è molto più vicino ai giovani di quanto pensiamo e non sono le mura di quel palazzo a Recanati a testimoniarlo. Sono piuttosto alcuni versi, da “Il Sabato del Villaggio” a “Alla luna”, sbandieratori dell’anima popolare di una bella canzone di musica leggera. Eretico io? Ebbene sì.
Il tenore Luciano Pavarotti ha svestito la lirica dallo snobismo nei confronti della musica pop, perché non avrebbe potuto farlo il poeta recanatese più di un secolo prima? Alcune sue poesie anticipano i testi di una canzone intensa che sarebbe finita tra le mani di un cantautore italiano nei primi anni ’70 del secolo scorso.

L’essenza di Giacomo Leopardi è solo lì, su quel colle, che gli ispirò uno dei componimenti più belli di tutti i tempi, l’Infinito, appunto, che sarebbe potuto essere nel nostro tempo la ciliegina sulla torta di un lirismo musicale alla Mogol-Battisti. Nell’Infinito persiste la voglia di evadere, anche da quel provincialismo di cui era annacquata la comunità recanatese.
Da quel momento Giacomo Leopardi non è stato più né prigioniero di quel palazzo né cittadino recanatese, ma viaggiatore dell’universo. E il visitatore incontra il poeta-viaggiatore proprio su quel colle, mentre all’orizzonte le nuvole rivendicano, nel nostro tempo volgare, il “naufragar m’è dolce in questo mare”.

  Casa Leopardi

Diario d’estate: In spiaggia con “I Promessi Sposi”, ma non ditelo a Umberto Bossi!

Mi ha fatto un effetto strano cogliere in flagrante un ragazzino in spiaggia in compagnia della sua lettura estiva: I Promessi Sposi. Certo che Renzo e Lucia non sono proprio da mare e per questo mi è venuto il dubbio: Chi ha messo in castigo il giovane lettore sulla battigia dell’Adriatico? Certamente non Umberto Bossi, che di recente se l’è presa con Alessandro Manzoni per aver scritto il suo capolavoro “in italiano” e per essersi “venduto al Re d’Italia”.

Si sa che nella Lega non vanno mai d’amore e d’accordo. Mentre il Senatùr sbraita contro i Promessi Sposi, c’è da dire che c’erano pure tanti leghisti tra gli oltre 20 mila accorsi allo stadio di Lecco alla fine dello scorso giugno, per applaudire la versione teatrale di Michele Guardì.
Sarà che il Senatùr non ha colto la tagliente ironia manzoniana – l’ha tirata fuori il trio Marchesini-Solenghi-Lopez nell’irripetibile parodia televisiva – sarà che basta un pizzico di goffaggine e sfrontatezza in Padania per dimenticare che i veri “venduti” sono proprio le vecchie guardie che si infuriavano contro Roma ladrona.

Tornando ai Promessi Sposi, bisognerebbe capire se i leghisti stanno dalla parte di Alessandro Manzoni o Umberto Bossi. Nelle lande verdeggianti tra Como e Lecco, un dì possedimenti feudatari degli acerrimi leghisti, pian piano tira tutt’altro vento. E forse gli stessi contadini comaschi e lecchesi – loro che bestemmiavano contro i terrùn – hanno recuperato il loro rapporto con il lago attraverso lo stralcio poetico dell’Addio ai monti manzoniano. Del resto la cialtroneria al megafono ha contribuito alla fine dei tempi d’oro della Lega. Le prossime generazioni ricorderanno la penna leale di Alessandro Manzoni e dimenticheranno in fretta i cortigiani cafoni della vecchia Padania.

Il Fu Mattia Pascal tutto social: Non lasciamolo marcire in rete!

Negli ultimi anni è balenata a non pochi l’idea che i profili fake proliferanti su Facebook rappresentino l’anima social di Il fu Mattia Pascal. Il personaggio pirandelliano, che una gran parte dei professori della mia generazione ha fatto passare come un vigliacco del secolo scorso, è stato riabilitato dal popolo della rete. Il sospetto resta: chi non ha mai pensato almeno una volta di taggare il proprio divenire in un’altra identità?

Quando nomino ad alta voce Mattia Pascal, irrompe nella mia mente il volto scalfito di Marcello Mastroianni, che nel 1985 si insinuò, con una memorabile interpretazione, tra le pagine pirandelliane lette e rilette. Tuttavia, mi convinco sempre di più che non dovremmo lasciar marcire questo personaggio tra i falsi profili facebookiani, ma concedergli un’altra chance.Chi ci dice che i sogni e le inquietudine non abbiamo le medesime urgenze?

La vita ci offre opportunità di cambiamento, ma non le cogliamo, perché preferiamo sguazzare nell’accomodante fluire della routine, innaffiata con una memoria patinata che mai più ritornerà. E liberarci di certe relazioni sociali che in fin dei conti non sono un valore aggiunto alla nostra esistenza?
Potrebbe essere il primo passo per attivare una reincarnazione all’interno della nostra vita. Il branco crea apparentemente sicurezza ed è uno status direttamente proporzionale ad un monito di Charles Bukowski:”Attenti a quelli che cercano continuamente la folla. Da soli non sono nessuno.”

Chi viaggia tanto, è facilitato nel creare nuovi legami, anche se a volte fatti di pochi istanti. E’ una delle scorciatoie per stare dietro al passo di chi non vuole marciare a testa bassa. La metamorfosi produce gli enzimi che flirtano con la parte vera di noi.

E forse dopotutto Mattia Pascal non ha fatto un grossolano errore in quella scelta azzardata e coraggiosa allo stesso tempo. Trasformare “il fu” della sopravvivenza e della rassegnazione in “il sarà” dell’evoluzione ha un prezzo in contanti: lasciarci alle spalle coloro che c’erano fino ad un attimo fa, ammettendo che sono usciti dal recinto della nostra vita e non ci torneranno mai più.

Pulitzer all’Huffington Post: La resa dei conti del giornalismo digitale

Uno smacco? Il premio Pulitzer se lo sono pappati quelli di Huffington Post, il sito all-news che è l’ultima frontiera del giornalismo digitale. Una sorpresa che gira bene sui social e che legittima ancora i percorsi intrapresi da alcuni di noi. Mentre la carta stampata diventa più vintage – anche i free press stanno andando a farsi benedire – l’informazione tritata nei bit ha ormai il suo device di consultazione: è proprio il tablet che qualche tempo fa lo stregone Steve Jobs consegnò a noi smanettoni e che ora, con i prezzi a ribasso, è sempre più alla portata di tutti.

Stanno scemando i tempi delle caste e dei privilegi di chi aveva in mano la penna e l’inchiostro. Questo non basta più, così come illudersi che sia sufficiente saper scrivere per fare di un sogno di molti la professione di pochi. Mentre Facebook e Google cercano di rinchiuderci tra mura blindate – un ex Google man potrebbe essere al timone dell’avventura Huffington made in Italy – si tentano nuove strade perché qui il nocciolo della questione è quello: chi li tira fuori i soldi per pagare l’informazione del giornalismo digitale, visto che la pubblicità on line non fa fare tanti quattrini?
Mi riferisco a quella di coloro che lo fanno per mestiere. I social network sono diventati la piattaforma più efficace per distribuire contenuti. Tuttavia, chi produce contenti social è sotto l’occhio del ciclone: non è poi così banale buttar giù un update di Facebook o una Tweettata, così come per uno storyteller non vale sempre la regola che la leggerezza la faccia franca sulla coerenza del trattamento riservato a qualsiasi notizia.

I prossimi mesi saranno cruciali ed è inutile stare a piangersi addosso, tanto l’editoria continuerà a depennare tanti posti di lavoro. Tutti a casa? Assolutamente no. Non è l’inizio, ma paradossalmente la fine del tunnel. Affacciandosi in Europa e al di là dell’oceano, stiamo capendo che direzione prendere, affinché ognuno di noi dia un contributo attivo alla definizione del nuovo identikit del giornalista, tenendo conto del lettore 3.0. Quest’ultimo avrà una voce più partecipativa, adocchierà l’informazione se si sentirà parte di una community e sarà pure disposto a pagare la notizia, se troverà professionisti veloci e puntuali. Le penne lumache finiranno in soffitta, perché in questa fase di interegno il destino è segnato: la carta sarà la landa isolata dell’opinionista, il digitale la spugna delle news in tempo reale. Sarà la volta buona per sbattercene di ordini di settore, cattedre o tribù?

Il ricordo: Su e giù in ascensore con Tonino Guerra

Nel periodo dell’università chiesi il rimborso di un biglietto del cinema. Mi avevano tagliato i titoli di coda. Lo reputavo una mancanza di rispetto per tutti coloro che avevano contributo alla realizzazione del film. Il nome di Tonino Guerra non è un uno spasimo emotivo temporaneo da piazzista social, ma un’anagrafica dei titoli di testa delle pellicole, che hanno decisamente segnato la mia vita.
Più di venti anni fa, ero in ascensore all’Excelsior del lido di Venezia. Ero di corsa per una conferenza stampa. L’ascensore iniziò a fare su e giù. L’anziano signore che mi stava accanto, mi rimproverò con ironia: “Non guardare l’orologio. Godiamoci questo bel momento. Questo sali scendi mi riporta ai luna park della mia Romagna”. Non lo avevo riconosciuto. Poco dopo mi resi conto che l’uomo baffuto fosse Tonino, la penna poetica intinta nel cinema.

Tonino Guerra è riapparso sporadicamente negli anni avvenire: alla cena degli ottanta anni di Michelangelo Antonioni ero imbambolato ad osservare il regista semiparalizzato. Mi chiedevo: “Dov’è finito Tonino? Se si alzasse per abbracciarlo, lo libererebbe con la sua poesia dalle sbarre che lo rendono detenuto in un corpo malato”.
Pensavo a Tonino Guerra tutte le volte che volevo fuggire a Sant’Arcangelo di Romagna, perché lì Leo (de Bernardinis) aveva avvolto un festival di teatro con la spiritualità monastica che ci voleva per riabilitar la scena italiana.
Pensai a Tonino Guerra quando misi in piede un omaggio girovago a Federico Fellini, ma non ci fu l’occasione per farlo salire sul carrozzone.

Mi vien voglia di tornare su una giostra e guardare la vita da lassù. E’ tutta un’altra cosa, non ci sono prospettive prestabilite. Forse era proprio quello che voleva dire Tonino Guerra al giovanotto sconosciuto in ascensore. Il giovanotto sconosciuto ero io.
E da quel giorno non fu più un nome e cognome dei titoli di testa del cinema della mia vita, ma il signore che mi fece fare il primo passo per diventare attento osservatore della realtà e allontanarmi dalle distrazioni che ci privano delle vere bellezze della vita.

Ho perso la matita di Moebius, ma ho ritrovato Napoli disegnata da Jean Giraud

La prima matita me la ricordo. Me la regalò mia madre. La comprò in una piccola merceria alla periferia di Napoli ai primi di ottobre del 1978.
In una scuola materna pubblica cominciai a riempire di scarabocchi tutti i fogli bianchi che mi capitavano davanti. I miei compagni la percepivano come un oggetto da stregone, perchè arrivava una gomma e cancellava tutto . Io no, mi avevano rapito la delicatezza e la discrezione di quest’asticella di legno.

Di professione non ho fatto il disegnatore, ma ho trovato il tempo e il modo per rifugiarmi tra le pareti dei disegni di Moebius (1938-2012). In un pomeriggio del secolo scorso mi persi alla periferia di Parigi, dove cercai invano Jean Giraud, il grande disegnatore scomparso sabato. Fu la sua matita composta a spingermi nel vortice della fantascienza.
George Lucas e Ridley Scott lo avevano fatto con il loro cinema, Moebius (da ragazzino mi inquietava il suo nome d’arte) c’era riuscito con una sequenza di quadri a fumetti.

Dopo tanti affanni, stavo per incrociare Giraud proprio nel centro storico della mia Napoli. Jean adorava la mia città, mi sfuggì per un pelo. Mi dissero: “E’ appena andato via, ma guardi cosa ci ha donato”. Mi trovai tra le mani una copia di un suo disegno dedicato a Napoli: un golfo del capoluogo partenopeo come non lo avevo visto mai.
La sagoma del Vesuvio e un arcipelago di case così lineari da farmele associare ai pezzi sparsi di una navicella spaziale. Il volo dei gabbiani di Moebius su quella tavola lasciavano un’indicazione precisa per il capoluogo campano. Era ora di smettere di associare Napoli alla mitologia di un passato nostalgico. Moebius aveva colto l’anima fantascientifica della mia città, perché nel suo golfo ci sono i tratti del futuro, nascosti nel volo dei suoi gabbiani.

 Moebius – sito ufficiale

  Docteur Giraud et Mister Moebius

 Mort de Moebius

Anna e Eugenia, nel Sud tra storie di vita e una fiaba per te

Nelle caldi notti d’estate, in cielo come in terra nessuno, ma proprio nessuno, riesce a riposare tranquillo. La fiaba che stiamo per raccontare parla di una stella del cielo che, in una di queste notti, per rinfrescarsi, nel mare si tuffò e l’amore incontrò.
Una notte calda d’estate L***, una stella del firmamento, guardava dall’alto il mare immenso che si dispiegava sotto di lei. Sulla sua calma superficie giocavano i delfini: sembravano divertirsi tantissimo.
<<Beati loro!>> sospirò L*** e aggiunse: <<con questo caldo, sarà bellissimo nuotare nelle acque fresche del mare illuminato dalla luna!>>. Trascorreva ore ad osservarli, le trasmettevano tanta gioia e poi erano davvero bellissimi. Quando la luna cedeva il suo posto al sole anche per la stella arrivava il momento di andare a riposare e salutare il mare.
Una notte, il caldo era diventato davvero insopportabile e L***, guardando i delfini, sospirò: <<UFFF!!>> e continuò: <<come vorrei raggiungerli!!>>.
La stella sapeva bene che quando una di loro decide di cadere giù, può rimanere lontana dal cielo solo per tre giorni. Poi dovrà ritornare nel firmamento e rimanervi per sempre o almeno fino a quando un uomo sulla terra esprimerà un desiderio che nasce dal cuore. Solo allora la stella di nuovo cadrà e per sempre laggiù resterà.
Fu così che L*** decise di tuffarsi in quel mare blu notte: lasciò il cielo, una scia di luce disegnò dietro di lei e sul dorso di un delfino si ritrovò ad ondeggiare.
<<E tu chi sei?>> le domandò il delfino quando si accorse della sua presenza.
Lei così rispose: <<Sono L***, una stella del firmamento, per il tanto caldo mi son tuffata e su di te mi son ritrovata>>.
Il delfino, allora, per rinfrescare la bella stella, incominciò a nuotare passando dalle profondità del mare alla sua superficie. L’acqua era fresca e salata proprio come la stella l’aveva sempre immaginata.
La notte passò velocemente e le prime luci del giorno incominciarono a brillare sull’acqua rendendo il delfino di un grigio splendente.
Che spettacolo era vedere, dalla superficie dell’acqua, scomparire la luna e sorgere il sole.
L*** guardava il cielo e il mare. Non erano tanto diversi l’uno dall’altro: blu, profondi e immensi. Certo l’acqua era umida ma tanto tanto fresca.
L*** all’improvviso domandò al delfino: <<Ho nuotato tutta la notte con te e non so ancora qual è il tuo nome. Scusami! Allora, come ti chiami?>>.
<<R***>> rispose lui. Per tre giorni R*** e L*** rimasero sempre insieme. Il delfino portò la stella a conoscere i tanti abitanti del mare: dai granchi alle trasparenti meduse, dai piccoli pesci alle grandi balene. I coralli, poi, erano una vera meraviglia, ce n’erano di tanti colori ma i più belli erano quelli rossi e rosa. R*** conosceva tutti i segreti del mare, tutti i luoghi più belli che si nascondevano nelle profondità delle acque. Fu così che il delfino le fece conoscere la conca dei fiori del mare: un avvallamento pieno di anemoni colorate tra cui nuotavano felici simpatici pesci pagliaccio.
Il terzo giorno arrivò veloce come un battito delle ali dei gabbiani che volavano liberi sulla superficie del mare.
<<Purtroppo non posso rimanere qui con te! Questi giorni vissuti insieme sono stati bellissimi. Ho imparato tante cose grazie a te. So che mi mancherai tanto ma … non posso! Devo ritornare lì dove sono nata>> disse L*** a R*** che aggiunse: <<Sei una stella del cielo e il firmamento è la tua casa, io sono un abitante del mare e l’acqua è il mio ambiente.
Tutti devono essere ciò che sono … mi mancherai!>>.
E così fu che L*** e R*** ritornarono ad essere divisi dalla linea dell’orizzonte che separa il cielo dal mare.
Ma da quel giorno qualcosa era cambiato dentro i cuori della stella e del delfino. L*** non era più luminosa come un tempo e guardava sempre il mare sotto di lei con la speranza di rivedere R***: ma nulla!
Dal giorno in cui si erano salutati il delfino non era più comparso sulla superficie dell’acqua.
A L*** mancava tanto R***. Avrebbe voluto rincontrarlo ma poi pensava che, anche se l’avesse rivisto, si sarebbe dovuta separare nuovamente da lui: erano troppo diversi.
Lui così grande, lei piccina piccina, lui abitante del mare, lei abitante del cielo, lui meraviglioso delfino argentato, lei splendente stella del firmamento.
<<Forse è meglio non rivedersi!>> sospirò L*** mentre questi pensieri attraversavano la sua mente.
In realtà il delfino non si era mai allontanato dalla sua stella: lei non lo vedeva ma lui, ogni notte, era lì ad osservarla appena sotto la superficie dell’acqua.
Non voleva mostrarsi per paura di far spegnere ancora di più la sua luce, per paura di farla ridiventare triste quando al mattino di ogni giorno avrebbero dovuto salutarsi.
Si erano innamorati, lo avevano capito m appartenevano a due mondi diversi e tutto sembrava impossibile. A volte, però, si fanno degli incontri capaci di dare nuovo senso.
R*** nuotava tra le profondità del mare, fuori la superficie il sole brillava caldo nel cielo turchese senza nuvole. Ad un tratto, senza rendersene conto, il delfino si ritrovò lì dove nulla cresce e nessuno abita.
Non era solito nuotare in quel luogo deserto ma la tristezza lo aveva portato lì. Nuota e nuota, all’improvviso trovò, su quell’arido fondale, un bellissimo corallo rosso.
Rimase meravigliato e, pensando ad alta voce, disse: <<Credevo fosse impossibile che qui potesse nascere una nuova vita>>.
<<A volte ciò che è impossibile diventa possibile>> aggiunse una tartaruga che, passando da quelle parti, aveva ascoltato le parole del delfino.
<<A volte la luna incontra il sole, a volte il sole illumina la pioggia, a volte tra i sassi nasce un fiore e un corallo in un territorio arido>> continuò lei.
E R*** aggiunse: <<A volte un delfino si innamora di una stella del cielo>>.
Dopo un po’ di silenzio, il delfino domandò alla tartaruga: <<Tu che sei la più saggia tra gli abitanti del mare, mi dici come l’impossibile diventa possibile>>.
La tartaruga così rispose: <<L’impossibile diventa possibile se le differenze si trasformano in risorse, i confini in spazi da riempire ma soprattutto se l’amore è più forte della paura di soffrire, se l’amore è più forte di un vento imponente!>>.
R*** sospirò, riguardò quel bellissimo corallo tutto rosso e stava per dire qualcosa alla tartaruga quando si accorse che non era più accanto a lui. Intorno non c’era più nessuno e stava diventando tutto scuro perché la notte aveva preso il posto del giorno.
<<L***!>> esclamò R***. Nuotò veloce fino a raggiungere la superficie del mare. La sua stella era lì, nel blu del firmamento. Quando L*** lo vide si illuminò mai come prima, la sua luce era abbagliante.
<<Che felicità, proprio oggi che compio gli anni vederti è il regalo più bello>> sospirò la stella e aggiunse: <<non pensavo che un delfino mi potesse mancare così tanto>>.
<<Ed io non avrei mai immaginato di essere così fortunato da innamorarmi di una stella del cielo>> continuò lui. Si sorrisero dolcemente. <<Ma come faremo, siamo lontani, diversi, i nostri mondi ci separano!>> disse L*** ritornando nuovamente triste.
<<Non importa quanto diversi siano i nostri mondi, ciò che conta è guardarsi negli occhi e riconoscersi l’uno nell’altra. Il nostro amore deve essere più forte della tristezza che proveremo quando ogni mattina il sole sorgerà>> aggiunse sicuro di sé R*** e L*** così continuò: <<Si! Il nostro amore riempirà lo spazio che ci separa rendendoci vicini di cuore>>.
R*** replicò: <<Mentre nuoterò, penserò ai tuo occhi, così mi sembrerà di averti accanto e non vedrò l’ora di poterti osservare al calar del sole>>.
E L***: <<Io vivrò nell’attesa che qualcuno sulla terra esprima il desiderio di vivere per sempre con la sua amata, allora finalmente cadrò dal cielo, nel mare ti raggiungerò e con te per sempre resterò>>*.

*Anna Riva e Eugenia Russo, ospiti del blog, sono una piscologa ed un’educatrice. Sono autrici di questa e altre intense fiabe. Vivono e lavorano alla periferia di Napoli.

Anna verrà perché la Politkoskjava è viva!

“Anna verrà col suo modo di guardarci dentro, dimmi quando questa guerra finirà, noi che abbiamo un mondo da cambiare”. L’inizio di questa canzone sembra scritto apposta per Anna Politkoskjava, la giornalista russa ammazzata a Mosca il 7 ottobre del 2006. Me lo ricordo quel giorno. Rincasavo con alcuni pasticcini perché festeggiavo assieme ad amici il mio onomastico. Fu un giorno amaro.
Nel videoclip del brano di Pino Daniele si intravede una sequenza del film Roma Città Aperta: se al volto di Anna Magnani sostituissimo quello della Politkoskjava, restituiremmo a quelli spari un alto valore simbolico.

Anna verrà, perché alcuni di noi se ne vanno in giro sottobraccio con il libro di Andrea Riscassi “Anna è Viva” per perdersi nei sentieri della giornalista russa ammazzata crudelmente. Basta la scrittura immediata e tagliente di Anna a raccontarci il regime russo, quello che schiacciò la rivoluzione della Perestroika di Gorbacev per fare spazio all’orrenda restaurazione. A qualsiasi prezzo, anche con il sangue, bisognava ricomporre le assuefazioni dello zarismo e mescolarle ai crimini e i misfatti degli ex KGB.

Anna verrà nei giorni in cui c’è un potente passaparola per dedicare alla Politkovskaja una strada in questa grigia Milano, che ogni tanto vive l’euforia del cambiamento per poi tornare nel torpore. Facciamo finta di niente, perchè tutti noi subiamo nel nostro piccolo lo squallore di una dittatura invisibile, che ricatta la nostra esistenza ai tempi di una crisi spaventosa. Si trova sempre l’escamotage per togliere agli indifesi e proteggere le lobby, dove si accampano i potenti malfattori.

Anna verrà, appena nei teatri e nei palcoscenici delle piazze troverà attori e attrici dallo spessore di Ottavia Piccolo, che una ventina d’anni fa mi raccontò in un camerino del Sud Italia: “Chi fa il mio mestiere deve assolvere anche un impegno civile”. Ottavia, nella sostanziosa prefazione al libro di Riscassi, ci mette una volta per tutte la pulce nell’orecchio e smaschera chi si era convinto che la Politkoskjava fosse “presa da una baldanza donchisciottesca”.

Anna verrà, nel giorno in cui penne dall’inchiostro rosso sangue, asservite ai ricatti del potere mediatico, torneranno a mettere nero su bianco come stanno veramente i fatti. E questo accade anche sotto l’ombrello di “quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia”, sussurrerebbe l’apostolo Gaber.
“Anna verrà col suo modo di sorridere per questa libertà, noi che abbiamo un mondo da cambiare, noi che guardiamo indietro cercando di non sbagliare”. Anna, ti sto aspettando. Anna, ti stiamo aspettando. Fai presto.

Anna Viva

Il blog di Andrea Riscassi

Anna verrà di Pino Daniele

E il Padreterno disse: “Rispedite Steve Jobs nel futuro. Il Paradiso può attendere!”

Bussarono alla porta del Padreterno di buon mattino, perché l’uomo del futuro era arrivato prima del previsto. Il Padreterno era occupato ad ascoltare i cori degli angeli con il suo iPod. Era diventato così tecnologico, che gli angeli a lui vicino si stupivano giorno dopo giorno: non usava più penna e inchiostro da quando batteva con le dita sul touchscreen del suo iPad. L’età c’era e il Padreterno non lo nascondeva. Quando gli dissero che doveva fare l’ennesimo intervento agli occhi, non volle rischiare di perdere la visione totale del mondo. Si fece inserire due Macbook air al posto delle pupille. Sosteneva che con le app era tutt’altra cosa!

“Padre, è arrivato. Dove lo piazziamo? Qui ci sono sempre meno posti”, chiesero gli angeli sottovoce. E il Padreterno replicò: “Per caso si tratta di quell’uomo magrolino che mi fa divertire come un matto con i cartoni della Pixar e mi tiene in contatto con gli angeli terrestri attraverso quella diavoleria dell’iPhone?”.
Gli angeli annuirono e lui aggiunge: “Rimandatelo indietro. Rispeditelo nel futuro perché il mondo ha ancora bisogno di lui. Prima o poi l’umanità finirà in braccio al futuro e se lo ritroverà davanti”.

Da quel giorno le mele, bandite perché associate al peccato originale di Adamo ed Eva, tornarono sugli alberi del Paradiso e sotto ogni albero c’era scritto: “Grazie, Steve Jobs. Ognuno di noi ti deve qualcosa, persino gli angeli. Il Paradiso può attendere”.

Amaranto: Ho fregato a Daniel la T-shirt dei Clash!

Ci sono due abitudini che mi rendono bizzarro per strada agli occhi dei passanti: ascoltare musica con le mie cuffie giganti o leggere un libro passeggiando a passo svelto. La prima è quotidiana, la seconda è rara, anche perché rischierei davvero di finire sotto un’auto. L’ultima volta è capitato dalle mie parti, attraversando il centro storico di Napoli. Ho tirato fuori dalla borsa Amaranto di Marianna Grillo ed ho scoperto che Daniel, uno dei protagonisti del romanzo edito dalla Demian, faceva il mio lavoro, ma con una differenza: io ho fatto le valige per cercare fortuna altrove, lui invece ha lasciato Londra ed è venuto a Napoli per fare il giornalista. C’era lo zampino di una donna… perchè il più delle volte l’universo femminile ridisegna la geografia della nostra vita.
Imbambolato ad un semaforo, mi sono guardato attorno per cercare Daniel e chiedergli: “Io non avrei mai fatto marcia indietro per nessuna donna e senza alcuna condizione. Perché sei venuto nella mia città?”. Mentre per il protagonista di Amaranto “il Vesuvio era un imbuto nero, dava la sensazione di un flagello sedato”, per me l’immagine di quel vulcano era legata ancora ai colori di quello esplosivo di Andy Warhol, prigioniero tra le mura del Museo di Capodimonte. Era forse l’amore “cieco, egoista e possessivo” di quell’inglese a dargli una visione così diversa dell’ambiente circostante? Io neanche volevo crederci ai cumuli di immondizia sparsi per la città e pensavo fosse un altro scherzetto dei napoletani per mettermi di cattivo umore.
Rotolando tra le parole del romanzo di Marianna Grillo, mi sono reso conto di essermi perso per strada la fisionomia di Caterina e Valeria, le altre due muse di Amaranto. E questo perché in quella mattina da turista napoletano non lo avrei mai trovato Daniel, anche se avessi setacciato tutti i vicoli della Sanità. Un bel racconto ti appiccica addosso ciò che il tuo stato d’animo ti suggerisce all’istante. Perciò indossavo una T-shirt dei Clash, era quella che avevo fregato a Daniel. Non fate gli spioni, non glielo dite a Marianna Grillo!