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Sanremo 2010 atto I: giù il Principe dall’astronave!

L’edizione numero 60 del Festival di Sanremo meritava un inizio diverso:  siamo nel classico polpettone serale dei palinsesti Rai o sul palco dell’Ariston? Troppo televisivo: nel prolungato siparietto d’apertura di Bonolis e Laurenti (extended version del solito teatrino pubblicitario?), nella goffaggine di Antonella Clerici, che pensa di stare ancora a La Prova del cuoco tra Cassano, che gioca a fare il simpaticone, e il fantasma di Morgan, l’esluso omaggiato con la lettura dei versi del suo pezzo.  La scenografia è salvabile, se non fosse per quell’astronave oscena che ci prepara a “gli incontri ravvicinati del terzo tipo”: chi sono i marziani? Pupo ed Emanuele Filiberto, in coppia per la canzone più brutta di questo primo atto,  la cui squalifica è segno che le coppie fatte a tavolino non funzionano più e i venti nostalgici del Belpaese monarchico soffiano in soffitta. Avrei tenuto Nino D’Angelo e Maria Nazionale per il sound pseudo folk – senza essere filopartneopeo – e mi sarei liberato volentieri dello zucchero filato dei Sonohra e Arisa. Il principe di “Amici”, Valerio Scanu, raggiunge la sufficienza, ma la sua canzone sembra una traduzione in italiano di un mieloso brano napoletano, fatto su misura per un neomelodico. Enrico Ruggeri, Toto Cutugno e Fabrizio Moro si autocitano e fanno autogoal, mentre si inizia a respirare con la satira spigolosa di Simone Cristicchi e l’inno istrionico di Povia, dedicato ad Emanuela Englaro (le polemiche sull’eutanasia lasciamole fuori dall’Ariston, per favore). Funziona Irene Fornaciari con i Nomadi perchè dietro Il mondo piange c’è lo zampino di papà, mentre si avviano in vetta gli energici  Irene Grandi, Marco Mengoni e Noemi. In alto al momento c’è una sola ninfa, la cui voce è sospesa tra cielo e terra con la delicata Ricomincio da qui: Malika Ayane.  E’ ancora troppo presto per parlare, perchè la giuria sanremese ci riserva brutte sorprese. Stiamo a vedere, tanto la vera regina della prima serata è stata Susan Boyle, la migliore invenzione di un talent show!

Morgan “fumante”, fuori dal Festival di Sanremo!

Tutta colpa del “crack”? Finanziario, certamente no perchè Morgan con le partecipazioni ad X Factor di soldi s’è ne fatti abbastanza. Crack, inteso come sostanza stupefacente, perchè il musicista milanese ha dichiarato al mensile Max di far uso “di droga come antidepressivo”. E’ scattata la bufera e così l’ex Bluevertigo si è ritrovato dall’oggi al domani squalificato dal prossimo Festival di Sanremo. Adesso, altro che fare l’antipatico come da copione di X Factor, qui si tratta di perdere una buona occasione, l’Ariston appunto, per approfittare della cresta dell’onda. E’ vero che ognuno nella vita privata può far quello che vuole, ma mi inquieta la spavalderia con cui Morgan ha tirato fuori certe considerazioni. Se è un vanto usare stupefacenti per “sballarsi” o come “antidepressivo”, allora siamo messi male. Siano contrastanti le opinioni a tal proposito, ma finiamola per piacere di dividere il gregge tra bigotti/bacchettoni o anarchici/progressisti. Sulla giustificazione dell’uso di stupefacenti non dovremmo neanche sprecare una frase compiuta, così come sulla proposta bizzarra di fare il test anti-doping a tutti i cantanti sanremesi. Giovanardi consiglia a Morgan di “ricoverarsi in una comunità di recupero”, ma per me è opportuno che faccia un corso di comunicazione accelerato! In tutta questa storia, io mi sento un pesce fuor d’acqua perchè uso la musica, il cinema, il teatro la lettura e i viaggi come antidepressivi e mi sballo cercando di prendere per mano la ragazza che mi piace, in silenzio, in riva al lago. Caro Morgan, lo sai dov’è il vero “sballo” della nostra esistenza? Essere venuti al mondo perchè la vita è un grande dono.

Ciao Niny, mamma del coro che diede voce all’infanzia

Avrebbe meritato più spazio nel nostro calderone mediatico, ma Niny Camolli è stata una milanese semplice e modesta, come era l’Italia a cui apparteneva. Pochi se ne sono accorti, ma  Il coro dei piccoli cantori di Milano è rimasto orfano della madre putativa, la prima musicista donna della Rai in bianco e nero, quando ancora in tv si discrimanavano “donne” e “omosessuali”.  Fu lei ad aver avuto cinquanta anni fa l’intuizione geniale del primo Festival di canzoni per bambini, che poi Bologna avrebbe strappato a Milano ribattezandolo Lo Zecchino d’Oro. Negli ultimi anni era diventata una pacata signora ultranovantenne afflitta dalla cecità, che però riconosceva ancora la voce di chiunque avesse fatto parte del suo amato coro. Sabato mattina, nella Basilica di Sant’Ambrogio, i Piccoli cantori di Milano la hanno salutata con una toccante Ave Maria.  Niny Camolli ci solletica un riflessione per rievocare il tempo in cui il rapporto tra musica e infanzia era lontano dagli scempi televisivi di oggi. La sua direzione musicale severa e appassionata, non solo ha contribuito alla creazione di sigle memorabili nel passaggio dalla tv pubblica a quella commerciale (Portobello e Bim Bum Bam), ma a prolungare l’anima sonora meneghina quando la canzone per bambini aveva raggiunto l’omologazione sotto il regime delle vocalità monotone di Cristina D’Avena.  I bambini di ieri sono gli adulti oggi, che devono una briciola di infanzia spensierata a mamma Niny!

Luigi Tenco, vedrai vedrai…

Quando spunta l’anniversario della morte di Luigi Tenco, avvenuta il 27 gennaio 1967, tutti si fiondano ad indagare sulla scomparsa ombrosa del cantautore genovese.  Al di là dei misteri irrisolti, dovremmo dare più spazio nella nostra quotidianità ai cantautori che hanno guardato  avanti, giocando in anticipo sui tempi. L’Italia musicale degli anni ’60 ancheggiava ancora con Celentano, ballava Con le pinne, fucili ed occhiali e si innamorava sulle note di Sapore di mare. Di quell’Italia era figlia una casalinga napoletana, appassionata sfegatata di Morandi, Don Backy e Ranieri. Nonostante la distanza dalla musica impegnata, tra i suoi beniamini c’era Luigi Tenco. Era un pomeriggio del ’79 e alla radio davano Ciao, amore, ciao. Ascoltandola capii che non era il solito brano e lei mi presentò così Tenco: “Eravamo abituati a raccontare l’amore alla maniera di Io, Tu e le Rose (il brano finalista di Sanremo ’67,ndr.), ma Luigi si espriveva in tutt’altra maniera, portando a galla altri aspetti. Non eravamo pronti allora e forse non lo siamo ancora oggi”. Aveva ragione quella casalinga, mia madre, perchè dopo tutto i sentimenti potevano restare intrappolati in una malinconia  dal sapore schopenhaueriano (Mi sono innamorato di te), l’esilio dalla terra natia in un acquerello sussurrato (Ciao, amore, ciao), la speranza in balia degli affanni del tempo (Vedrai vedrai). Nei sabato pomeriggio del primo liceo facevo lo speaker “abusivo” in una radio locale e, mentre dj Alex mi faceva segno di smettere per non perdere i quattro gatti che ci ascoltavano, lessi  i versi che Fabrizio De Andrè gli dedicò in Preghiera in Gennaio: “Signori benpensanti spero non vi dispiaccia  se in cielo, in mezzo ai Santi, Dio, fra le sue braccia, soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte  che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte”.

Amici, Marco Carta e Alessandra Amoroso la grande svolta?

Il 17 gennaio parte il serale di Amici e mi scappa proprio una riflessione, a seguito di una dichiarazione recente di Maria De Filippi: “Dopo la vittoria sanremese di Marco Carta e il successo di Alessandra Amoroso, tutte le grandi case discografiche hanno deciso di presidiare il programma e di diventarne parte integrante”. Scusate se mi intrometto, ma non sono convinto che la vittoria “contestata” allo scorso Festival di Sanremo di Marco Carta abbia rappresentato “una grande svolta”. Se fosse così, dovremmo rivedere un po’ di cose. Chi se la ricorda più quella canzone? Se solo proviamo ad accostarlo alle due vere rivelazioni dell’Ariston 2009, Malika Ayane e Sinoma Molinari, Marco Carta ne esce sconfitto in partenza. Alessandra Amoroso è nettamente migliore del suo compagno di scuola, nonostante abbia commesso un fallo: partecipare all’ultimo one man show di Gianni Morandi, come traino per alzare lo share delle vecchie guardie della moribonda Rai. E poi la Amoroso, oltre ad avere una bella voce, è una ragazza deliziosa: quella umile, che non si è montata per niente la testa! Dovrebbe dare una bella lezione in tal senso a Valerio Scanu, che adesso si sentirà ancora più “divo” da partecipante al prossimo Festival di Sanremo. Per quanto riguarda l’interesse dei “discografici”, mi permetto di dire la mia: in un momento di crisi e trasformazione inevitabile dell’industria musicale , la passerella del talent show di Canale 5 è un sentiero di salvezza per rialzare le vendite, anche se ci trovassimo con un pugno di mosche in mano. Le case discografiche sanno bene come coccolare  il popolo fedelissimo di Amici – che acquista comunque il cd del suo beniamino (che triste la Christmas edition di Valerio Scanu!). Facciamo tutti un passo indietro, perchè nei tempi di vacche magre torna la logica vincente  dell’asso pigliatutto.

X Factor, Marco vince e Morgan fa l’offeso!

Adesso digitando “Marco” in rete bisogna stare attenti.  Fino all’altra sera pronunciare questo nome significava Marco Carta, il divo di Amici, adesso invece a lui se ne affianca un altro: Marco Mengoni, vincitore della terza edizione di X Factor. Tra i due naturalmente non c’è paragone e Mengoni ha messo in accordo tutti, vista la delusione della passata edizione con il mieloso Matteo Becucci in pole position. Tuttavia, c’è sempre il pericolo che “la sfiga” baci i vincitori. Quelli delle passate edizioni chi se li ricorda più? Sono le grandi escluse come Giusy Ferreri o Noemi a tenere ancora testa. Marco di X Factor ha una carta in più rispetto ai suoi precedessori: il passaggio al Festival di Sanremo. L’Ariston è un’arma a doppio taglio: o la va, o la spacca, perchè ci vuole una canzone che funzioni e anche una piccola “botta di culo”. Quest’anno l’aspetto musicale del talent show di Raidue esce a voto pieno, ma quello televisivo con parecchie carenze. Sì, Claudia Mori aveva le sue competenze ed è riuscita persino ad “addomesticare” Morgan, che fa la parte dell’offeso e vuole andarsane. Parecchi ospiti a X Factor, ma i litigi tra lui, la Mori e la Maionchi mi hanno annoiato, usciti dal solito copione. Morgan dice di essere “stufo”, ma non si è chiesto se anche il pubblico sia stanco di lui? Non gli perdono una gaffe in questa edizione, quella di aver disprezzato la voce di Freddie Mercury. L’ex frontman dei Queen, oltre ad essere  uno dei vocalist più possenti del XX secolo, non era un personaggio “costruito a tavolino”. Forse l’ex Bluvertigo si sente così?

The Wall dei Pink Floyd, 30 anni dopo

Dopo 30 anni dall’uscita, The Wall continua a dividere i fan dei Pink Floyd: c’è chi lo considera un capolavoro, c’è chi lo trova un ripiego commerciale. I primi video di questo doppio concept album li ho visti su Italia 1, nei primi anni ’80, all’interno del programma cult DJ Television, orchestrato da Claudio Cecchetto. Io faccio parte dei primi, quelli che lo considerano un piccolo gioiello, con la consapevolezza che i Pink Floyd si fermano qui. David Gilmour era la musica, Roger Waters l’anima letteraria della band. Ogni volta che riascolto The Wall  in vinile, mi sembra di individuare altri spunti riflessivi. Al di là che il disco sia diventato il simbolo del Muro di Berlino, mi pare che gli assilli di Waters siano ancora molto attuali: alienazione e solitudine. Nonostante i social network stiano cambiando il nostro approccio ai rapporti interpersonali, quei due stati d’animo continuano  a dannare pure la generazione di YouTube, che ascolta musica con la voracità di chi vuole consumare a tutti i costi. La partitura  di The Wall, nonostante sia roba del 1979, sembra musica scritta ieri, pronta a legare le ombre della storia ai paradossi del presente. Qundo da ragazzino ho ascoltato l’album, il giorno dopo non sono stato più lo stesso dietro i banchi di scuola: ribelle al nozionismo, allergico all’imposizione del “precettore” modello. E poi si dice che un disco non ti possa cambiare la vita, anche se in parte. Riascoltandolo in occasione di questo compleanno speciale, ho ritrovato la vera spiritualità di The Wall: la presa di coscienza che ognuno ha i suoi muri, che lo rendono prigioniero dello scorrere della vita. Perché restare indifferenti? Perchè non abbattere le barriere e sovrapporre più stati d’animo? Ci vuole coraggio e sacrificio, ma la vita può tornare a sorriderci.

Il Festival di Sanremo canta in dialetto?

Il teatro Ariston di Sanremo

Rosario PipoloI venti leghisti tirano così forte da incidere anche su un evento nazional-popolare come il Festival di Sanremo. Svecchiare un regolamento dopo quasi 60 anni si può, ma recriminarne la natura ed inserire le canzoni in dialetto mi sembra troppo. Da buon napoletano ritengo che cultura musicale dialettale sia un patrimonio immenso, a cui neanche io da ascoltatore vorrei rinunciare. E non ne faccio questioni geografiche o antropologiche perchè ascolto con la stessa partecipazione emotiva il comasco Davide Van De Sfroos così come il parneopeo Peppe Barra. Il palco del teatro Ariston è l’agorà del Festival della Canzone italiana, una manifestazione che non dovrebbe essere né una vetrina del nazionalismo tricolore né l’oasi del federalismo canzonettaro. E’ vero che il Festival di Sanremo perde il suo seguito anno dopo anno, ma non è questa la trovata giusta per far acquistare sprint all’intrigante macchina discografica che ne fa da supporto. Le canzoni in dialetto possono essere valorizzate in altri spazi, possibilmente costruiti su misura. Per quanto riguarda l’esterofilia sanremese, dico la mia: no ai superospiti strapagati, ma sì ai duetti con gli stranieri per esportare qualche canzone all’estero. Mica tutti si chiamano Ramazzotti, Bocelli o Pausini? E poi se in passato non fosse stato così, nel 1990 non ci saremmo emozionati con  Ray Charles che cantava Good Love Gone Bad, versione in inglese di un pezzo di Toto Cutugno.

Chiara, supervoce di X Factor e non chiamatela “Cicciona”!

Chiara Ranieri

Rosario PipoloIl fenomeno musicale made in UK di nome Susan Boyle cerca i propri simili. Alcuni pensano che Chiara Ranieri, la rivelazione canora di X Factor 2009, abbia tratti in comune con la casalinga scozzese che ha spopolato dagli schermi di Britain’s Got Talent. Si finisce sempre lì e il paragone riguarda “la presenza scenica ingombrante” di queste due splendide voci. Nell’annata in cui vanno di moda le anoressiche e in tv sfilano i fisici perfetti, ecco che arriva la rivincita delle ragazze XL : ce ne freghiamo della forma e badiamo alla sostanza e al talento. Lo hanno capito pure gli abitanti di Facebook che hanno creato diverse pagine a sostegno della ragazza di Crotone. In passato ci sono state interpreti femminili gettate nel dimenticatoio a causa dell’aspetto fisico. Facciamo in modo che questo non accada a Chiara Ranieri: qui non c’è in ballo solo la tecnica, ma la capacità di far veicolare le emozioni con grande energia. E per favore, non chiamatela “cicciona” e non vi azzardate a paragonarla a Linda Valori, il bluff di una delle passate edizioni sanremesi. Che salga pure la lancetta della bilancia, tanto la leggerezza di quei gorgheggi rapisce anche gli angeli. Ahimè, ce l’avessi io una ragazza così. Forse sarei meno incazzato del solito se a darmi il buongiorno ci fosse quel canto!

Lucky Planets, cartolina musicale da Napoli

Roberto Murolo e Totò

Rosario PipoloCosa ci fanno un giornalista curioso e due discografici partenopei della vecchia guardia a condividere un aperitivo lampo nella uggiosa Milano? Non parlano del più e del meno, ma di canzoni napoletane: ci voleva un’etichetta discografica come la Lucky Planets per mettere al suo posto alcune gemme musicali nate all’ombra del Vesuvio. E poi lo sappiamo bene che il canzoniere partenopeo contemporaneo meriterebbe una volta per tutte di essere ricatalogato. Giancarlo Spadacenta ed Enzo De Paola sembrano due personaggi usciti da un film musicarello: il primo è colui che ne ha viste di cotte e di crude nell’industria discografica; il secondo è il classico napoletano “appassionato” che staresti lì ad ascoltare per ore. Tra un Martini e noccioline, Enzo passa con disinvoltura a raccontarti dalle serate sul terrazzino di casa Gragnaniello ai ricordi vaporosi con Roberto Murolo. Gli brillano gli occhi quando evoca Roberto che lo salutava ogni sera dal balconcino o i tempi andati di Napoli e del suo sound. Sostengono che la musica sia finita con Internet, nonostante vendano i loro dischi anche on line! Ed io replico: “Siete testardi. Perché non investite sulla musica dei talent show, dei “pacchi” o di Alessandra Amoroso?”. Mi fulminano con lo sguardo per questo oltraggio e mi regalano la ristampa di Quanno figlieto chiange e vo’ Canta’ di Peppino Gagliardi, un disco poetico fatto di piccole meraviglie, dove sentimenti e stati d’animo si muovono in punta di piedi. E pensare che un nastro di Gagliardi era finito tra le mie mani quando ancora girovagavo per casa a carponi: papà lo aveva regalato a mamma con una radio nel giorno del loro fidanzamento!