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Sanremo 2012 #2: Svendo su eBay Emma e Dolcenera, ma ridatemi Marlene Kuntz e Carone!

Sono ancora in tempo per gli ultimi saldi fine stagione? Se si tratta del Festival di Sanremo, finisco su eBay per un bel baratto musicale. Svendo l’impegno sociale gonfiabile di Emma e il “Ci vediamo a casa” di Dolcenera in cambio dello stile dei Marlene Kuntz e del sussurro giovanile di Pierdavide Carone, con o senza lo spintone di Dalla.

Ieri sera a Sanremo è arrivato il buttafuori e così in quattro sono stati lanciati giù dalla torre, inclusi D’Alessio e la Bertè che potrebbero tornare in gara con la benedizione del televoto. Si sa che lo chou napoletano è sempre supportato dall’uragano popolare. Sanremo Social sembra un bluff e tra i giovani è un’impresa affezionarsi ad una canzone.

Sì, perché dimenticavo: questo è il festival del cantante e non della canzone. Anzi, direi del “molleggiato” che, impugnando una predica sottocosto, ha fatto decollare lo share. Il Festival di Sanremo commissariato mi sembra una barzelletta da “Prima Repubblica”, perché la censura su Celentano sarebbe davvero una beffa. Piuttosto avrebbe avuto un senso sospendere la gara ,dopo l’osceno inghippo del voto della prima serata.
Gli sponsor pagano un botto e i discografici soffrono di meno. Sanremo sempre più tv e meno festa della musica. Ci stanno convincendo che negli anni avvenire ne possiamo fare a meno, nonostante lo share.

Sanremo 2012 #1: i sermoni del Molleggiato

Luca e Paolo l’hanno detta tutta in meno di una tweettata: sticazzi! Questo è sottotitolo per i non udenti della prima serata del Festival di Sanremo 2012. Canzoni in secondo piano come al solito, Gianni Morandi sottotono, in attesa del salvagente festivaliero: il Molleggiato.

Che noia, che barba, che noia, che barba, con il solito sermone tra religione e politica che scimmiotta un quadretto del teatro dell’assurdo. Pochi silenzi per Celentano, personaggi in cerca d’autore – Pupo & Canalis in primis – e i soliti attacchi scontati. Sticazzi. Questa volta tocca a Famiglia Cristiana e Avvenire, ma non fa nessun effetto, così come tirare in ballo il profeta Gesù o il tango tra musulmani e cristiani. Religione, consulta e tattarattà.

E le canzoni? Sticazzi. Si fa a fatica al primo ascolto, spostando l’attenzione sull’interprete. Un dì era il Festival della Canzone Italiana. Si adegua ai tempi Van De Sfroos, che canta in italiano per bocca della sibilla Irene Fornaciari. Si salvi chi può dai saldi sociali di Emma, dalle coppie scoppiate D’Alessio-Bertè, dalla melodia sgonfiabile di Dolcenera e dalla solita pappa sanremese di Fabrizio Moro, affidata alla voce graffiante di Noemi. Sulla scialuppa di salvataggio ci sono Nina Zilli, Samuele Bersani e Marlene Kuntz.

E la beffa del televoto? Ci risiamo: niente buttafuori per la prima serata. Sticazzi.

Addio a Whitney Houston, la mia stella del pop-soul su un’audiocassetta TDK 60

La mia è stata la generazione dell’audiocassetta, quella che in fronte aveva la scritta: “Press to play on tape!”. Sbuffavo al liceo, mi annoiavo da morire alle lezioni di latino e greco, ma in compenso barattavo cassette. E su quella TDK da 60 minuti ci finirono alcuni pezzi di Whitney Houston. Tra me e me pensai che le festicciole fatte in casa negli anni ’60 – come quelle che mi raccontava mia madre – potessero ripetersi con queste canzoncine pop infestate di soul: provai a fare un lento su “All at Once”, immaginando che l’America nera, che mi avevano rivenduto sui manuali di storia di seconda mano, si stemperasse in questa voce davvero bella, romantica e sensuale.

Quel lento non andò come speravo, perché non ci fu il bacio agognato. Tutta colpa mia, fui imbranato quanto Ricky Cunnigham nella prima puntata del telefilm Happy Days. Eppure le canzoni di Whitney Houston me le portai nel mio primo viaggio all’estero, al di là della Manica. Ci ritrovammo noi, un gruppo di adolescenti romantici, ad ascoltare la principessa scalza del pop-soul in un parco della contea del Kent. Alcuni bulletti inglesi si sparavano ad alto volume musica elettronica e noi rispondemmo con toni diversi. Mettemmo le mani avanti con il vocione della Huston che cantava: “I Wanna Dance with You”. E pensare che fino ad allora mi vergognavo, perché volevano convincermi che quella fosse soltanto robetta da ragazzine mielose.

La mia generazione fu accusata dai ripetenti sessantottini di non avere un repertorio di canzoni impegnate, perché i grandi cantautori se l’erano giocata tutta nei Seventies. A noi rimanevano soltanto briciole e degli avanzi non sapevamo che farcene. Attraverso il repertorio di Whitney Houston stendemmo al sole del Soul i nostri sogni, teneri e irrinunciabili. In questa domenica di febbraio la sua scomparsa ha lo stesso valore di quella di Amy Winehouse per la generazione Y. La vita privata si arrugginisce, ma la storia musicale no, anche se di mezzo ci sono infiltrazioni pop di una voce nera indimenticabile.

Addio a Whitney Houston, stella della black music che ha illuminato gli Ottanta

Don Raffaè 2012: Ciccirinella, ex compagno di cella, sta fuori, amministra palazzi, consensi e lacché

Io mi chiamo come mia madre mi ha fatto e sono finito nel carcere senza sape’. Avevo un nome straniero e sto a Poggio-Reale dal 2012. Alla centesima parola che non capisco, ho chiesto se c’era un uomo speciale che parlava con me. L’ho trovato al braccio speciale. Tutto il giorno vedo in tv quattro infamoni briganti, papponi, cornuti e lacchè. Che fetenzia quella faccia che sputa minaccia e se la prende con me, figlio dall’Africa nera. Perché lui là e io qui?
Ma alla fine mi sento meno solo, mi sbottono, leggo il giornale e chiedo spiegazioni al vecchio Don Raffaè. Mi spiega che penso e bevimm’ò cafè.

A comme è amaro ò cafè, neanche in carcere ‘o sanno fa, perché Ciccirinella, ex compagno di cella, sta fuori, amministra palazzi, consensi, puttane e lacché.

Prima pagina, venti notizie inutili, cento ingiustizie nascoste e lo Stato che fa? Facebook si costerna, Twitter s’indigna, lo Stato s’impegna e poi finge di alzare la testa con gran dignità.
Mi scervello, capisco meglio il napoletano, per fortuna c’è chi mi risponde, a quell’uomo immenso io chiedo consenso al vecchio don Raffaè: Un falso galantuomo, eletto dal popolo, dovrebbe stare in carcere al posto mio, mentre guappi di cartone, che Dio li perdoni, spargono sangue tra infamie e miseria. A voi una volta bastava una mossa, una voce. Con rispetto s’è fatto le otto per guardare il tiggì, volite ‘a spremuta con la pillola per la pressione o volite ‘o cafè?

A comme è amaro ò cafè, neanche in carcere ‘o sanno fa, perché Ciccirinella, ex compagno di cella, sta fuori, amministra palazzi, consensi, puttane e lacché.

Qui ci sta l’inflazione, la svalutazione, forse torniamo alla lira e la borsa ce l’ha chi ce l’ha. Io non tengo compendio che chillo stipendio non mi basta per le cure di mamma e papà. Aggiungete mia figlia zitella che serva-badante non vuole essere più. Non chiedo la grazia pe’ me, vi faccio la barba o la fate da sé. Voi tenevate un cappotto cammello che al maxi processo eravate ‘o chiù bello, un vestito gessato marrone così ci è sembrato su YouTube. Vi prego Eccellenza, ditemi se i disonesti stanno qui dentro o stanno fuori, perché altrimenti sapete cosa vi dico? Io resto qui.

A comme è amaro ò cafè, neanche in carcere ‘o sanno fa, perché Ciccirinella, ex compagno di cella, sta fuori, amministra palazzi, consensi, puttane e lacché.

Qui non c’è più decoro vacanze da lusso su isole lontane, ma chi l’ha mi viste chissà. Chiste so’ fatiscienti pe’ chisto i fetienti, se tengono l’immunità. Don Raffaè un dì voi politicamente, ma chi caspita sono questi falsi santi, ma ‘ca dinto io sto a pagà senza permesso di soggiorno e fora chiss’a. A proposito ho visto bravi laureati che da quindici anni stanno disoccupati, hanno fatto quaranta concorsi, novanta domande e duecento ricorsi. E adesso chi glielo darà il conforto e il lavoro?

Don Raffaè, che zoza ch’è chisto cafè.*

*Ispirato liberamente alla canzone “Don Raffaè” di Fabrizio De Andrè

 Fabrizio De André, Don Raffaè

  Testo originale

 Via del Campo

Viaggio di 48 ore con Paul McCartney, dentro piccole storie tra Bologna e Milano

Esiste una maniera per riscattare il cliché del fan? Dopo 23 anni di flirt con Paul McCartney, ho deciso di trascorrere 48 ore con lui, facendo un mini viaggio a ridosso dei due concerti italiani: Bologna e Milano. Mi sentivo uno “studentello” senza né arte né parte, travestito da bagarino per acquistare il biglietto ad un prezzo stracciato. Al gelo e all’umidità la trattativa è andata a buon fine e sabato sera è stato memorabile.

Il primo comandamento del fan recitava che avrei dovuto appostarmi sotto lo scintillante hotel per braccare l’ex-Beatles. Piuttosto ero nel pieno della notte a raccogliere storie di ragazzi – molti venivano da Calabria e Sicilia – che avevano bruciato i loro risparmi per essere al concerto di Bologna.  Sentivo assottigliarsi lo stacco generazionale, così come la distanza geografica tra me e due studenti kosovari. Abbiamo condiviso il mio viaggio nei Balcani, i sogni rattrappiti delle vecchie e nuove generazioni dell’ex Jugoslavia, mischiati alle canzoni dei Beatles e McCartney. Non so se sul “il giradischi di Tito” girassero Yesterday e Band on the Run, ma Virtyt e Arber le conoscevano bene. Ci siamo lasciati con un patto, ripassando certe canzoni del concerto: impariamo a conoscerci sempre meglio, perché le follie dittatoriali e le cortine di ferro del passato ci hanno impedito di spartirci le nostre bellezze reciproche.

Notte insonne lungo questa Long and Winding Road. A far da guastafeste c’erano le Ferrovie e lo sciopero, con l’arroganza dei capotreni che volevano il supplemento per il cambio di treno, nonostante i disagi. Viaggio all’alba singhiozzante come in un film censurato tra Modena e Piacenza. Canticchiavo Eleonor Rigby e il caso calcava la mano sulle umane solitudini. In un bar piacentino osservavo un anziano pensionato: ha offerto un caffè ad una zingara e alla figlia. Avrebbe investito la sua pensione da 700 euro in cambio del matrimonio con la ragazza. Le due donne si sono guardate negli occhi e si sono fatte due conti in tasca. Intanto sul mio smartphone è sbucato un sms su cui era scritto: “Buongiorno, amore mio. Dove sei?”. Sentivo la voce di Paul che cantava All My Loving e ripetevo sottovoce che l’amore non si baratta, non si vende, ma accade quando c’è qualcuno che si preoccupa per te.

Ancora disagi e poi l’arrivo a Milano. Il tempo di fare una doccia e mettere qualcosa sotto i denti prima di un altro tentativo impavido: bissare il concerto al Forum di Assago. C’era nebbia fitta, sembrava di essere finiti in un racconto di Herman Hesse. I bagarini facevano affari d’oro, ma non mi arrendevo. Chi cerca, trova. Ancora un biglietto “svenduto”, ero dentro di nuovo, ho bissato il concerto e si è chiuso il viaggio.
McCartney non l’ho conosciuto neanche questa volta, ma l’ho ritrovato negli sguardi di sbieco dell’Italietta di provincia e nelle amarezze dell’Est Europeo. Fuori le canzoni ci sono ancora storie da ascoltare. Basta affacciarsi.

 Il fan finito sul Tg3

  Macca strega Bologna

  Diario di un fan: 19 anni prima…

Paul McCartney a Milano 19 anni dopo: sogni bagnati su quell’Espresso da Napoli

Sì, è stato così. Treno espresso notturno da Napoli a Milano, trentamila delle vecchie lire in tasca, un primo quadrimestre da schifo. Sono partito in queste condizioni 19 anni fa. Milano per me non rappresentava niente, a parte la scuola Paolo Grassi, santuario per chi sognava di diventare un bravo attore di teatro. Sapevo soltanto che a Milano c’era Paul McCartney, mi bastava questo.
Papà si arrabbiò, ma avrei mandato all’aria anche l’esame di maturità: non ne potevo più dei classici latini e greci. Le mie poesie erano state le canzoni dei Beatles, punto e basta. La sera ne recitavo una prima di andare a letto.

Milano mi spaventò: immensa, dispersiva, una macchina ad orologeria. Il Forum di Assago mi deluse, non era nient’altro che un palazzetto sportivo. Né più né meno. L’attesa dal primo pomeriggio assieme a tanti sconosciuti mi fece condividere la passione sfrenata per quelle canzoni. Allora non c’era Facebook o Twitter. Scarabocchiavo su un taccuino, volevo mettere nero su bianco le emozioni. E’ una parola!

Tra una chiacchiera e l’altra si mangiucchiava, poi l’entrata e ancora attesa. Mi avvicinai all’area ospiti e mi colpirono un uomo e una donna, mano nella mano. Erano Fabrizio Frizzi e Rita Dalla Chiesa. Lei mi sorrise, con Frizzi attaccai bottone e gli dissi che i miei compagni di liceo notavano una somiglianza tra me e lui. Parlammo delle canzoni di McCartney, dei Beatles, gli svelai qualche sogno e Fabrizio mi consigliò di accorciare i capelli se volevo assomigliarli di più.

Si spensero le luci, cominciò lo show. Mi lasciai travolgere per l’ennesima volta e mi convinsi che la musica univa e annientava i pregiudizi sociali, cultuali, religiosi, politici. Quando alla fine tutti esplodemmo sul coro di Hey Jude, finii disteso per terra sotto una pioggia di coriandoli. Per una volta pioveva a catinelle sui miei sogni di allora, gli stessi di oggi. I sogni hanno bisogno di essere bagnati perché chi apre l’ombrello è l’ultimo stupido che si priva di esistere, con o senza le canzoni di Macca.

Paul, 18 anni dopo!

La vita di Harrison in cineteca aspettando Macca a Bologna

 The Beatles Fans Italiani

paul mccartney e nancy shevell: il terzo matrimonio non seppellisce il dolore

Nell’estate del 1991 mi presentai al Marylebone Register Office di Londra, e richiesi una copia del certificato di matrimonio di Paul McCartney e Linda Eastman. Gli addetti mi guardarono stupiti quando si accorsero che si trattava dell’ex-Beatles. La spuntai e quella bravata di un ragazzotto incuriosì qualche anno dopo Red Ronnie. Mi invitò ad una sua trasmissione e lo mostrai per la prima volta in pubblico.

Col passare del tempo mi sono reso conto di non aver vissuto il documento come un cimelio, ma come il sigillo di una gran bella storia d’amore. Persino quando ascoltavo i primi album da solista di McCartney respiravo l’affiatamento della coppia. La mia visione infantile della fiaba d’amore si era trasferita in una casa di campagna inglese, dove il marito e la moglie condividevano amore, famiglia, passione per la vita e per il proprio lavoro. Ne ebbi conferma quando li vidi assieme sul palco la prima volta il 24 ottobre del 1989.

E’ complicato capire il dolore per la vedovanza, per la perdita della compagna di una vita. Nonostante il muro di vetro mediatico, abbiamo percepito il disorientamento dell’ex Beatles dopo la scomparsa prematura di Linda. Tuttavia, si fatica a guardare lo scatto di Paul McCartney invecchiato dopo la celebrazione del  terzo matrimonio con la ricca ereditiera Nancy Shevell, nello stesso posto dove si unì alla prima e adorata moglie. La mia non è né la sindrome di possessività del passato né l’attacco di panico nostalgico che potrebbe tornare riascoltando dal vivo  My Love. McCartney dovrebbe ricantarla il prossimo 27 novembre nella tappa italiana del suo tour al Forum di Assago.

E’ piuttosto il tentativo spicciolo di capire quale sia l’ultima strada da percorrere per un comune mortale o una rock star nell’amaro tragitto della vedovanza: seppellire sotto terra il dolore o restare da soli per condividerlo con il resto dei proprio giorni?

 Macca sposa Nancy

  McCartney in Italia: due date a Novembre

 Paul e Linda, Just married!

 

Addio Amy Jade: prendi la valigia e portati via…

Amy Jade, prendi la valigia e scappa senza il Winehouse. Adesso è di troppo, non ti servirà più. Portati via l’odore del catrame che respiravi passeggiando sulle sponde del Tamigi, le cover dei chitarristi ambulanti sotto le metropolitane londinesi, le lacrime amare dei tuoi, tappate in una bottiglietta come quella che facevi galleggiare nelle estati sul mare di Brighton.
Amy Jade prendi la valigia e scappa spedita, come quando correvi incontro a tuo padre, che ti faceva salire sul suo taxi e ti incoronava reginetta delle vie del tuo quartiere. Portati via lo humor yiddish, le filastrocche cantate in coro a scuola, le foto ingiallite degli ebrei emigrati in Gran Bretagna, quelle smisurate preghiere sussurrate al vento, che non ti hanno mai convinta da quale parte stesse Dio.
Amy Jade prendi la valigia e scappa con l’ultimo gorgheggio che hai innalzato al cielo. Portati via i pomeriggi a “rappare” assieme ai tuoi compagni di merenda, il piercing che scandalizzò i bacchettoni della Sylvia Young Theater School, le canzoni soul che ascoltavi per i fatti tuoi, anche quando il mondo girava da tutt’altra parte.
Amy Jade prendi la valigia e scappa dal patetico piagnisteo riservato alle “anime fragili”. Portati via le 27 candeline che ogni volta riaccenderemo con le tue canzoni, perché d’ora in poi “non occorrerà più fingere”. Svestendoti, ti sentirai leggera come una piuma. Potrai finalmente vagare tra le nuvole. Sono le stesse che contavi da bambina a Southgate.
Amy Jade prendi la valigia, scappa senza quel maledetto ritaglio di giornale del Guardian che recita così: Amy Winehouse, who has been found dead at the age of 27, the cause not immediately clear”. Fanculo, a quel maledetto sabato.

Ringo Starr a Milano e Roma: Io scassinavo salvadanai per i tuoi dischi!

Sono una minoranza gli adolescenti che si fanno travolgere dalla musica fuori dal proprio tempo. Mi sentivo parte di questo branco ristretto quando alla fine degli anni ’80 me ne andavo nei paesotti di provincia a cercare i tuoi dischi, caro Richard. Una volta girando a Liverpool – ero ancora minorenne e lasciai i miei in preda alle palpitazioni – nei posti in cui sei cresciuto, mi sono detto: cosa avevamo in comune? Anche tu eriun ragazzotto di periferia e non penso che, picchiando forte sulla tua batteria, avresti mai immaginato di attraversare il mondo.
La casualità, la mia compagna di viaggio prediletta, mi portò allora ad incontrare alcune persone a te particolamente legate, quelle che bussando alla porta di casa tua trovavano il cognome Starkey. Beh, rovistando in un negozietto di anelli poco distante da Penny Lane, mi sono chiesto come facessi ad andarne matto. Quella non era robetta da femminucce? Perlomeno ti sei trovato un buffo nome d’arte, Ringo, che ti confonde con un pistolero del Western.
L’epopea del vecchio West era passata da un pezzo, ma non quella delle navi che trasportavano sogni verso l’oltreoceano. E’ lo stesso tragitto che fanno i sogni incollati alle parole e alle note delle canzoni, formando i piccoli segreti della vita: “Every soul has a secret, give it away or keep it”.
Io l’ho tenuto il mio segreto: quello di aver fatto lo scassinatore di salvadanai per acquistare i tuoi dischi e sentire dal profumo del vinile l’ebbrezza del tempo che non passa mai. Avevo fatto la maturità quando sei venuto in Italia l’ultima volta. Mi dicevano che ero un matto ad assistere ad un concerto alla vigilia della prima partenza per gli Stati Uniti. Che rabbia, quando gli organizzatori fecero saltare la data di Roma!
Sono passati quasi vent’anni, ma resto la “capa tosta” di allora. E con lo spirito di chi si batte affinché la musica sia una gioiosa “festa sociale”, sono sicuro che in questa domenica e lunedì di luglio restituirai a Milano e Roma una carica di energia, mancante in questo momento. Gioco a fare il finto tonto: più invecchi, più assomigli un sacco a Ringo Starr, il batterista del Beatles!

Facebook per Alberto Bonanni, il musicista pestato a Roma

A Milano i maxi concerti sono nelle mani di ridicolo comitato anti-rumore, a Roma invece si finisce ammazzati se si suona. Insomma, spero di non rischiare anche io di brutto, quando la sera faccio sobbalzare (scherzosamente ed educatamente) il mio vicinato con la musica di Pearl Jam, Ac/Dc e Led Zeppelin.
Ad Alberto Bonanni, un giovane musicista di 29 ani, è andata davvero male. Era in un locale di Monti, nel cuore della capitale, quando è stato picchiato brutalmente da un branco di giovani. Perché? Un uomo era sobbalzato dal balcone, lamentando lo schiamazzo e inseguendo Bonanni con un bastone. La serata musicale a The Saylor’s si è trasformata in un incubo e questo pestaggio brutale è un altro segno dell’incoerenza e della prepotenza che si aggira nelle sere d’estate nelle nostre città
Alberto è in fin di vita ed si parla addirittura di “morte celebrale”. E questa volta a supportare gli agenti nella ricerca di quei maledetti assassini è stato proprio Facebook. Infatti, grazie al social network abitato da 20 milioni di italiani sono riusciti a risalire ad uno dei colpevoli, che ha ridotto in questo stato il chitarrista romano di una delle Tribute band degli Iron Maiden.
Intanto, su Facebook è stata presa d’assalto la pagina “Suonare per Alberto Bonanni pestato a morte a Roma” dove si segnalano diverse iniziative per dire basta a questi atti di violenza. Alberto non aveva fatto lo scassinatore di timpani, ma aveva appena smesso di suonare. Sulle corde di quella chitarra appesa ad un chiodo, chi strimpellerà i sogni di una vittima? Dove c’è musica, c’è socialità. Dove c’è socialità, c’è vita.