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Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

New York 8/12/2010 h.22.50 – Milano 9/12/2010 h.4.50, In memoria di John Lennon

Mother, Hold On, I Found Out, Working Class Hero, Isolation, Remember, Love, Well Well Well, Look At Me, God, My Mummy’s Dead,Imagine, Crippled Inside, Jealous Guy, It’s So Hard, I Don’t Want to Be a Soldier, Gimme Some Truth, Oh My Love, How Do You Sleep?, How?, Oh Yoko! , Woman is the Nigger of the World, Sisters O Sisters, Attica State, Born in a Prison, New York City, Sunday bloody Sunday, The Luck of the irish, John Sinclair, Angela, We are all Water, Cold Turkey, Don’t Worry Kyoko,Mind Games, Tight A$, Aisumasen (I’m Sorry), One Day (at a Time), Bring on the Lucie, Nutopian International Anthem, Intuition, Out the Blue, Only People, I Know (I Know), You Are Here, Meat Cit, Going Down on Love, Whatever Gets You Thru the Night, Old Dirt Road – (John Lennon/Harry Nilsson), What You Got, Bless You, Scared, #9 Dream,Surprise, Surprise (Sweet Bird of Paradox),Steel and Glass, Beef Jerky, Nobody Loves You (When You’re Down and Out), Ya Ya, Power to the People, Give Peace a Chance, Istant Karma, Happy Xmas (War is over), (Just Like) Starting Over,Cleanup Time,I’m Losing You, Beautiful Boy (Darling Boy), Watching the Wheels, Woman, Dear Yoko.

La tua musica ha solcato la mia adolescenza, i tuoi versi sono diventati la voce della mia coscienza. Allora come adesso ogni tua canzone resta la colonna sonora della mia vita, perchè nelle tue contraddizioni c’è l’affannosa ricerca dell’uomo di un mondo più giusto. Immagino che… Ed io voglio crederci ancora.
A John W. Lennon (1940-1980)

 

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8 dicembre, 30 anni senza John Lennon

Ci sono modi e modi per andare contromano rispetto alla tua generazione. Il pericolo era uno solo e non era da poco, anche alla fine degli anni ‘80: rischiavi di isolarti, perché mentre gli altri ascoltavano Vasco e cazzeggiavano col Sì della Piaggio, le tue frequentazioni musicali si aggiravano dalle parti di John Lennon (1940-1980) e in sella alla tua Vespa rossa sognavi di fuggire a Liverpool, nella sua città natale. Eppure per molti Lennon è stato il capriccio di una stagione, un fuoco di paglia nel passaggio dall’adolescenza alla gioventù. Per me la musica di Lennon è stato il portone che mi ha fatto rompere le barriere e i pregiudizi di chi pensa che una canzone non possa essere contemporaneamente arte, letteratura e visione.
L’8 dicembre il mondo ricorda i 30 anni dalla scomparsa dell’ex Beatles nella lapidaria esclamazione del fan assassino “Bang, bang! Sei morto!”. Io rivivo invece gli ultimi vent’anni della mia vita tra le notti indigeste a riascoltare le sue canzoni; in viaggio tra Londra, Liverpool e New York; le scorpacciate di libri ed articoli per scoprire quale mistero o pozione magica ci fosse nell’anima contraddittoria di questo artista; quella vigilia di Natale di dieci anni fa in cui il postino suonò due volte al campanello di casa mia per recapitarmi una lettera speciale. Il mittente era la signora Yoko Ono Lennon che, colpita da un mio breve messaggio, mi aveva spedito gli auguri di Natale con una breve poesia, a firma anche del marito.
Tutto questo lungo tempo, in cui mi sono divertito a fare il trasformista da studente ribelle ad universitario per passione, da nomade lontano dalla terra natale a scrivano per mestiere, mi ha lasciato una filosofia inconfutabile: “Immagina che…”, testamento sospeso di John Lennon che non pone “l’immaginazione” su un altarino infantile, ma le restituisce la vitalità nella conquista dell’utopia.
“Imagine all the people living life in peace” non è l’ostinata presa di posizione del Lennon sognatore, ma la riflessione di chi aveva capito che lo scivolone tra “immaginazione” e “utopia” ci avrebbe allungato la vita. Perciò tra la mia capigliatura brizzolata è ancora superstite l’ultima ciocca di quei capelli lunghi che portavo a vent’anni, segno della ciclicità delle stagioni dell’esistenza; perciò nella notte dell’8 dicembre del ’90  mi misi fuori al balcone con una radiolina accesa sulle note di Imagine; perciò ancora oggi vado contromano rispetto alla mia generazione, che spesso ritrovo ammutolita nel suo torpore, qualche volta sconfitta, certe volte afflitta. A John Lennon devo qualcosa di quel che sono: il coraggio di essere rimasto sognatore. Il rischio? Camminare da solo, crescendo come una voce fuori dal coro.

Dov’è finita la Giannitrapani? Una certa Nathalie…

Qualche ora prima aveva bucato lo schermo dal palco di X Factor. Dopo l’incoronazione, è scomparsa. Dov’è finita la Giannitrapani? Chi? Quella ragazza minuta di Roma, deliziosamente timida che, appena si siede al piano e ti canta “In punta di piedi”, ti incanta ovunque si trovi. E adesso pure su iTunes è riuscita a fare il botto. Niente personaggi joker alla maniera di Nevruz, niente melodici – belle voci badiamo bene – alla maniera di Davide, ma solo Giannitrapani.
A pochi metri dagli Est End Studios di via Mecenate a Milano, c’era un capannone trasformato per l’occasione in un locale temporary. Festa modaiola? Per niente. Un via vai di persone, addetti ai lavori e non, per festeggiare in bellezza il successo X Factor. Peccato che la Rai la pensi diversamente: poco share nell’ultima puntata e tagliamo pure l’unico ponte che lega i giovani alla musica in tv.
Sono al bar in compagnia del mio Campari e chi mi trovo a fianco? La Giannitrapani che sorseggia un drink. E’ lì sorridente, come se non le fosse accaduto niente, come se su quel contratto discografico dal valore di 300 mila euro non ci fosse il suo nome. Io come al solito sono sfacciato: “Lo sai che ci hai fatto trepidare? Altro che festa stasera, se il televoto ci avesse giocato un brutto scherzo! Nella vita non si finisce mai di lottare. Adesso ci sono i discografici…”. E’ una riflessione, mica un modo come un altro per attaccare bottone con la Giannitrapani! Poco professionale. E poi è fidanzata, lo sanno tutti. Finiamola con queste stupide insinuazioni. Lei mi sorride e facciamo un brindisi sul mio bisbiglio: “Hai tirato fuori gli artigli per cantare il tuo inedito, adesso fallo per riempire il tuo primo disco”.
Poi si mischia tra gli amici e io torno a girovagare. Mannaggia, che figuraccia! Da quando ho iniziato a scrivere questo stralcio di diario da nottambulo, neanche una volta l’ho chiamata per nome: semplicemente Nathalie.

Alleluja! E’ nato Amazon Italia, ma per la musica meglio UK e Germania!

Mettiamo le cose in chiaro. Non sono il tipo che ama fare shopping, almeno che non siano libri, cd e dvd. La perplessità sugli acquisti on line mi è passata con Amazon, grazie anche all’efficienza del Servizio Clienti dei negozi degli Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania. Adesso che il megastore on line più famoso del web ha aperto una filiale in Italia, perché spingersi oltre confine? Allo scoccare della mezzanotte del 23 novembre Amazon.it ha  spalancato i battenti con numeri da capogiro: 2 milioni di libri, 400 mila e passa cd e più di 100 mila dvd. Insomma c’è pane per i miei denti anche se bisogna tenere l’occhio aperto.
Non è detto che Amazon.it sia più conveniente degli altri cugini, anche perché in Italia su cd e dvd campeggia la solita minaccia: l’Iva. Per non parlare del diktat di case discografiche (il catalogo dei Beatles in UK costa la metà!) e delle major cinematografiche fa lievitare i prezzi. Un box celebrativo di dvd di Audrey Hepburn o Marilyn Monroe su Amazon UK ha il vantaggio di costare tre volte meno, ma con la rinuncia al doppiaggio e ai sottotitoli in italiano. Per gli album stranieri invece non ci sono confini o barriere, a parte il solito problema che si ripete con gli acquisti da Amazon USA: compri a prezzi stracciati, ma alla dogana ti appioppano il 20% di Iva. Il vantaggio di comprare in Italia è la pronta consegna e le spese di spedizione gratuite se superi un acquisto di 19€. Il gioco vale la candela?
E’ opportuno sempre un confronto veloce con Amazon.co.uk e Amazon.de (il più appetibile in questo momento per la musica)!
Tuttavia, Amazon Italia dovrebbe correggere un attimo il tiro per quanto riguarda la dicitura “edizione” e la specifica del Paese. Suppongo che quella specifica si riferisca al negozio di provenienza, perché un cd stampato in Europa dalla prima metà degli ann’ 90 non cambia da nazione a nazione, a meno che non sia stata pubblicata una special edition.
Non ho fatto ancora il primo acquisto, perchè al momento UK e Germania sono più convenienti. E Amazon Italia dovrà tenerne conto!

Aggiornato al 18/12/2010: Ho fatto il primo acquisto su Amazon.it! Consegna standard in 2 giorni, prima del previsto, nonostante la neve. Ho acquistato Miles Davis The complete Columbia Album Collection al prezzo più basso tra tutti gli store Amazon.

X Factor, Nevruz e la buffonata del Televoto

Dolcetto o scherzetto? Halloween è passato, ma il televoto ha fatto il suo.Sul palco di X Factor doveva restare “il dolcetto” Ruggero o dovevamo sorbirci uno “scherzetto” di pessimo gusto, quello di dare una spintarella a Nevruz? Il televoto misterioso, che ha messo Valerio Scanu negli annali del Festival di Sanremo, adesso continua ad alzare un polverone di polemiche. E’ vero che il vivace Ruggero aveva bisogno di un biberon e io stesso lo immaginavo come valletto canterino del babysitteraggio della Clerici, ma questa volta non avrei buttato giù dalla torre quel “simpatico mocciosetto”.
Sabato sera Nevruz ha dato il peggio di sè, come interprete e come personaggio, diventanto lo zimbello della piazza del “Sabato del villaggio”. Ha fatto stizzire persino Lorella Cuccarini, severa e precisa nelle sue indicazioni. I film che piacciono a Nevruz “sono quelli che mi piacciono”. E così il burlone Facchinetti junior smaschera il personaggio che ha la presunzione di sapere, ma forse non ha capito che sono guai a lasciare il banco di scuola.
Il coach Elio, malato ossessionato di Nevruzismo,continua a difendere un cantante che non sta più in cielo nè in terra e ci fa rimpiangere la vena polemico-costruttiva del giudice epurato Morgan. Enrico Ruggeri, ha segnato la discografia italiana con alcuni pezzi intensi e memorabili, ma oggi rischia di essere ricordato come “il peggior giudice'”della storia di un talent-show. Si è lavato le mani ed ha lasciato che quella buffonata del Tilt, mascherata dal giudizio popolare del Televoto, avvicini Nevruz sempre più al trono di X Factor. E se così fosse, sull’onda del falsario entusiasmo nazional-popolare, si nasconderebbero le contraddizioni del Belpaese di oggi. Il trucco che si è sciolto sul viso di Nevruz sabato sera è il richiamo sintomatico di questa Italia decadente, dalla politica alla cultura, perchè non abbiamo ancora capito da che parte stare, proprio come il giudice Enrico Ruggeri.

X Factor, Nevruz non mi impressiona

Circolano i primi rumor sul vincitore di X Factor. E se fosse proprio Nevruz? L’eccentrico rocker di Caserta è il regalo che Elio ha fatto al talent show di Raidue e guai a chi glielo tocca. Almeno che io da arteriosclerotico non abbia sbagliato a twittare, il giudice Elio ha dichiarato: “Nevruz vive, non lascia vivere”.
A me non è piaciuta l’ultima esibizione di Nevruz. Voglio essere franco. Mi sembrava di vedere Capossela e ascoltare un’imitazione vocale di Domenico Modugno. Il ricatto  dell’industria discografica dell’ultimo decennio lo conosciamo tutti: il personaggio al di sopra dell’interprete perché tanto i tecnicismi lasciano il tempo che trovano. Mi tornano due ricordi di fine anni ’70, forse banali, che contribuirono a staccarmi dal repertorio infantile dello Zecchino d’Oro. Da una parte i travestimenti eccentrici di Renato Zero, dall’altra Anna Oxa a Sanremo. Il maschiaccio che si agitava all’Ariston, intonando un’Emozione da Poco, era stato costruito a tavolino per filo e per segno, ma in compenso aveva una voce che, col tempo, ha permesso alla Oxa di trasformarsi da personaggio in interprete.
Non so se Nevruz sia il capriccio di una stagione, ma gli oltre 16 mila fan su Facebook faranno davvero di tutto per convincerci che il loro beniamino ha il fattore X? Preferisco restare fuori dal coro, beffeggiato dai prevedibili attacchi. A me Nevruz non fa impressione artisticamente, nonostante lui fuori dal palco sia un sognatore ipersensibile. Una canzone si ascolta, non si guarda. E forse sbaglia chi vuole convincerci del contrario.

Mamma, Tiziano Ferro è gay e non me ne ero mica accorto!

Sul web, nei social network, sulla carta stampata, in radio o in tv corre veloce il rumor dei primi di ottobre: “Tiziano Ferro è gay. Non me ne sono mica accorto!”. Nonostante tra gli addetti ai lavori circolasse da tanti anni il sospetto, adesso le fanzine del cantautore di Latina devono mettersi il cuore in pace, perché al loro idolo piacciono i maschietti. E quindi cosa cambia?Chi ascolta la musica di Ferro continuerà a farlo, chi non lo fa non cambierà idea, a meno che una tale dichiarazione non lo abbia intenerito e intrappolato nell’ambiguo meccanismo che abbatte il muro tra emotività e gusto musicale. Io personalmente mi sento distante dalle melodie di Tiziano Ferro e, se non mi avessero regalato Alla mia età al compleanno – per ricordarmi che il traguardo dei 40 non è poi così lontano – il suo nome non campeggerebbe nemmeno nel mio archivio discografico.
A pochi giorni dal gossip della tresca tra Corona e Lele Mora, il Belpaese è di nuovo sotto choc. Io lo sarei se scoprissi che la dichiarazione di Ferro fosse “un’operazione sottoveste” che puzza di business. Anzi, forse c’è un percorso di sofferenza interiore così complesso da cui faremmo bene a stare alla larga. Tiziano Ferro ha avuto del fegato, c’è chi invece non lo fa. E il pubblico pettegolo gioca a mettersi di traverso, com’è accaduto al rapper Fibra, lapidato per aver accusato Marco Mengoni, il principe dimenticato di X Factor, di essere gay. Il privato è privato sempre, e non solo quando conviene a noi.

60 volte Zero, senza essere un sorcino

Sorcino si nasce o si diventa? Legittimo dubbio davanti una torta con 60 candeline accese. Roma si scompone per il suo “Renato”, mentre chi non ne ha mai voluto sapere dell’etichetta di “sorcino” se ne va su YouTube a fare l’archeologo. C’è poco degli inizi, c’è poco dell’uomo mascherato alle prese con abiti sgargianti e variopinti, c’è poco di quello “Zero” che aveva fatto arrossire l’Italia democristiana degli anni ‘70 col sotterfugio dell’ambiguità. In giro non c’è più niente di Renato Fiacchini, a parte qualche traccia all’ufficio anagrafe.
Eppure ancora avverto un senso di liberazione: nell’estate del 1981 riuscii a fare a meno di quelle “maledette rotelle” della mia bicicletta. Scorazzavo bimbo in un viale di Paestum a due ruote, mentre da un juke-box si sentiva una voce cantare Più su. Cominciai ad interrogarmi, proprio quell’estate, su chi fosse la “madre che si arrende e un bambino non nascerà” e perché “un drogato fosse un malato di nostalgia”. L’anno successivo, salutando la bimba a cui facevo il filo, versai lacrime amare sotto l’ombrellone perché ascoltai da una radiolina “Spiagge dipinte in cartolina, ti scrivo tu mi scrivi, poi torna tutto come prima”. E nel sabato sera invernale, guardando Fantastico 3, mi illusi davvero con Viva la Rai che a viale Mazzini ci fosse “una fabbrica dei sogni”, prima di aver scoperto i ricatti censori che si fanno oggi come allora. Mi era bastata qualche marachella da pianerottolo con il mio compagno di giochi Alessandro per lanciare nel futuro le profezie di Amico, ovvero il flashback di oggi “E ti ricorderai… del morbillo e le cazzate, fra di noi”. Ci sono modi e modi per annotare la data di un compleanno, perchè ora il trucco si è sciolto e le rughe si vedono una per una. Per fortuna una bella canzone può farci fare lo stesso giro per 60 volte,senza invecchiare mai, come il primo repertorio di Renato Zero. Ed è con quella musica che dovrebbe essere guarnita la torta del signor Fiacchini.

Stefano di X Factor: “Le parole non contano, ma conta la musica!”

Qualche volta succede che “le parole non contano, ma conta la musica”. E’ una rarità che accada sotto i riflettori di un realty show. Le parole pronunciate da un balbuziente sono come pagine di un quaderno, strappate da suoni prolungati e riscritte da una ciurma di ripetizioni involontarie. Per diamine, lo avremmo avuto almeno una volta nella vita un amichetto affetto da questa “malattia della parola”! Vederlo lì in un angolo, emarginato dalla prepotenza degli altri compagni di giochi, ci stritolava il cuore.
La musica ha riscattato la parola e così l’esibizione di Stefano Filipponi nella seconda puntata di X Factor è stata una delle cose più emozionanti che la tv generalista ci abbia regalato negli ultimi tempi. Nell’interpretazione della dolcissima Quanto t’ho amato di Roberto Benigni, l’aspirante cantante di Macerata ha dimostrato che l’emotività può rimbalzare sui tecnicismi, mettendo a tacere chi come noi fa il difficile e l’arrogante mestiere di valutare un interprete o una canzone. Ha fatto bene il giudice Ruggeri a non pronunciarsi sulle imperfezioni, perché ogni commento sarebbe stato fuori luogo o sindacabile.
Stefano è riuscito a rincollare i pezzi di quel quaderno strappato in un canto che si è innalzato a “cantico”, con il supporto di un sobrio istrionismo che apparteneva ai grandi artisti circensi e da strada, e non di certo a questo equipaggio di buffoni che affolla il piccolo schermo nell’epoca del digitale terrestre. Quanto t’ho amato è una delle dichiarazioni più sincere da donare alla propria donna. Quel cantico non ha libertato Stefano Filipponi dalle sue balbuzie, ma noi, prigionieri di un paroliere che non sa più comunicare emozioni, perchè sottomesso alle dure leggi di un nuovo linguaggio: quello che ha fatto naufragare la semantica dell’anima dietro il rebus dell’apparire a qualunque costo.

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Diario di viaggio: ritorno sui Quartieri Spagnoli

Tornare da viaggiatore nella propria città a fine agosto non so se sia un privilegio o uno svantaggio. Da una parte paghi lo scotto di sentirti un girovago nella tua terra natia, ma dall’altra il tuo sguardo si posa su particolari che prima ti sfuggivano. Napoli è Napoli, ma recarsi su i quartieri Spagnoli è un modo come un altro per tracciare le origini. Certo che questa zona – nel XVI secolo diede non pochi grattacapi al vicerè Don Pedro di Toledo alla prese con malavita e prostituzione – resta una delle aree più seducenti del capoluogo campano. I buoni consigli di mia madre erano “non ti avventurare nei quartieri”, ma io nei primi anni ’90 percorrevo anche al buio via Montecalvario per arrivare a Galleria Toledo, dove mi aspettavano gli spettacoli di Annibale Ruccello, Enzo Moscato e Francesco Silvestri. Una volta ci sono finito per sbaglio pure con la mia prima auto, una 127 bianca, ed è stata un’impresa uscirne.
Ritornarci adesso ha avuto un valore diverso, ripercorrendo quelle strade che non ti capitavano mai sottomano, da via Speranzella fino all’arrampicata di via de Deo, che con disinvoltura volge lo sguardo verso il corso Vittorio Emanuele. Il terrore di tutti: attenzione che adesso arriva lo scippatore di turno! A me nessuno ha messo mai un dito addosso, sarà perché camuffo la mia parlata, sarà perché gioco a fare il pazzariello ambulante che stona vecchie canzoni napoletane. Anche qui le cose sono cambiate: diverse attività commerciali sono gestite da extra-comunitari, in giro ci sono pochi “femmenielli” e dai bassi spuntano gli sguardi spioni di donne di colore. Vincenzo è seduto sulla sua seggiola e fuma l’ultima sigaretta prima del pranzo: mi racconta dei sette figli e dei nipotini; degli sforzi fatti per tenerli lontani dalla malavita (il suo motto è “amico ‘e tutti, ma ‘a distanza ‘o mumento juste”); dei nuovi scugnizzi che rinunciano alle vacanze, fanno i fancazzisti e se ne vanno a giocare al Bingo nei pressi di piazza Carità; dei cinesi che hanno preso in pugno il controllo delle attività clandestine; degli affitti che sono arrivati alle stelle: “Dottò, e mmo mettene ‘a dieci nire dinto e fanne ‘e sorde”. E poi dopo, con aria sospettosa, mi chiede se sono un investigatore privato.
Io sorrido e la butto sull’ironia: “Don Vincé, se fossi un investigatore non sarei uno squattrinato”.  Mi guardo intorno, alzo la testa e mi soffermo sulle lenzuola stese, su i balconi, sulle finestre semichiuse, chiedendomi il perché lì sotto non ci sono mai capitato. Forse venti anni fa sarebbe stato diverso, avrei incontrato altra gente. Prendo una bottiglia d’acqua fredda da un fruttivendolo e da una radiolina una voce canta: “La paura di dividerci per niente, anche fermi volavamo con la mente”. Chiedo alla signora se si tratta di Gigi Finizio, cantante partenopeo molto seguito da quelle parti. E lei mi chiama l’esperta della famiglia, una ragazza prosperosa di una ventina d’anni, che mi rimprovera: “Vuje ‘e musica nun capite niente. Chiste è Natale Galletta, l’idolo mio. Jate ‘ncopp ‘a Youtub…”.  Così scivolando via, mi sono portato come souvenir il motivetto neomelodico di “Vivi”. E pensare che c’ero andato per prendermi qualcosa che credevo fosse mio, invece sono arrivato troppo tardi. Tutto cambia, ma per restare come prima.

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