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Sei proprio un Taricone! Chi glielo dice a Sophie che papà non c’è più?

Vallo a dire ad una bambina di 6 anni che papà se n’è andato per sempre. Se avesse sbattuto la porta dopo l’ennesimo litigio con la mamma, potrebbe pure starci. Si troverebbe un modo fiabesco per far capire alla bimba che il papà non ha resistito, ha conosciuto un’altra, si è innamorato e non avrebbe potuto più farne a meno, perché di fronte ai sentimenti veri è solo da vigliacchi tirarsi indietro.
Tuttavia, questa non è la mala sorte che ha baciato la piccola Sophie: il papà è Pietro Taricone e non è stato lui a sbattere la porta di casa. Ha fatto un incredibile volo, senza sapere che quello sarebbe stato l’ultimo, in un’altra direzione, forse verso quella terra dei sognatori che molti di noi ci ostiniamo a chiamare Paradiso.

Gli amici pensavano che il destino di Pietro fosse restare il ragazzo di provincia, quello che gioca a fare lo sbruffone fuori al bar del paese assieme alla combriccola. Gli dei beffardi ci hanno messo del loro e gli hanno fatto assumere le sembianze del divo della nuova televisione: il coatto simpaticone del reality show, in quella memorabile prima edizione di Il Grande Fratello. Altro che latin lover.
Pietro Taricone aveva sotto la camicia di forza quella rozzezza tipica del Sud Italia, che nascondeva il cuore e quella semplicità di cui il Bel Paese vuole privarsi giorno dopo giorno. Poco importa se sia diventato un fenomeno da rotocalco del primo decennio del nuovo millennio; poco importa se sia stato l’attore di serie C del nuovo star-system confusionario; poco importa  se gli intellettuali lo giudichino il ragazzotto che ha inseguito l’apparire mettendo da parte la sostanza dell’essere. Forse era proprio il contrario, nonostante lo sfottò era diventato per tutti “Sei proprio un Taricone” come per dire “sei un grezzo e sbruffone”.

Cara Sophie, ti diranno che tuo padre non tornerà più. E’ un’idiozia. Non lo cercare nei vecchi filmati televisivi, nelle gaffe finite su YouTube, nei ritagli da gossip che qualcuno raccoglierà per te. Cercalo nei piccoli paesi del Sud Italia, nella semplicità della gente, nei percorsi che testimoniano la vera parabola della vita: conta l’essere e non l’apparire.
Ed oggi, Sophie, voglio togliermi questa maledetta giacca e cravatta, amplificare la mia cadenza di terrone, inzozzarmi le mani con panino e mortadella, sorseggiare un buon bicchiere di vino e sentirmi insultare: “Sei proprio un Taricone”. Oggi ho capito che assomigliare a tuo padre non è un insulto, ma l’innocente orgoglio di noi Meridionali, che non vogliamo privarci delle nostre radici.

Il mio amico Arnold non c’è più. Addio a Gary Coleman

Che una situation comedy possa essere la testimonianza di un cambio di guardia nell’America multirazziale può essere. Tutto può essere, anche se non mi sembra vero che Gary Coleman non ci sia più. E’ morto a 42 anni l’enfant prodige che aveva dato vita a quella piccola peste di Arnold, la serie televisiva trasmessa negli USA tra il ’78 e l’86. Quel bimbo di colore ha bucato il piccolo schermo, divertendo e intrattenendo in tanti pomeriggi anche quelli della mia generazione: nei primi anni ’80 nessuno di noi poteva permettersi il lusso di avere un compagno di giochi di colore, perché l’Italia non si era svegliata ancora meticcia.
Arnold era diventato il nostro amichetto dalla pelle scura, facendoci illudere che il razzismo non fosse di casa nostra, che i nostri genitori non avrebbero detto niente se avessimo marinato la scuola per andar fuori a giocare con lui. Quando in gioco c’è il tubo catodico tutto può essere, ma forse è più significativo il titolo di come fu presentata la serie in Italia: Harlem contro Manhattan, come a dire che nell’American dream dei palloni gonfiati, nel rimbalzo dalla presidenza del democratico Carter a quella del repubblicano Reagan, si cambiavano le carte in tavola: i neri iniziavano la loro scalata sociale e culturale, e sarebbero stati pronti un giorno a varcare la soglia della Casa Bianca nel riscatto di Barack Obama. La battuta “Che cavolo stai dicendo Willis?” la diceva lunga. Così Arnold e il fratello maggiore Willis non si aggiravamo tra i vicoli puzzolenti del ghetto di Harlem, ma correvano nei corridoi di un attico di Manhattan e la vita da lassù sembrava migliore. La loro o la nostra illusione di telespettatori? Era davvero pace fatta tra neri e bianchi? Al solo pensiero avrebbe impallidito persino il cinema di Spike Lee.
Nella fiction ci consola il lieto fine, ma nella vita reale il gioco a volte si fa crudo ed amaro. Infatti, noi siamo cresciuti in statura, mentre il piccolo Arnold, alias Gary Coleman, è rimasto imprigionato nel suo corpo di eterno bambino per una maledetta malattia, che gli ha reso la vita infelice. Penso che gli angeli di colore arrivino più in alto di tutti. E forse Coleman è lì a giocherellare con il Padreterno, che si diverte a dare tanti pizziccoti a quelle sue tenere guanciotte.

Michele Santoro, uno contro tutti

Uno contro tutti. Lui, Michele Santoro, contro l’Italia della politica e dei giornali, da Destra a Sinistra. Risparmia solo i telespettatori, che dai numeri dimostrano di gradire Annozero, molto più di quanto non accada al salottino del vecchio scudo crociato di Bruno Vespa. E se Santoro andasse via da Viale Mazzini per davvero, con una buonuscita di 10 milioni di euro (?), in quanti si faranno avanti per seguirlo? Il Vangelo ci dà sempre una bella batosta: l’apostolo più fedele è capace di rinnegarti prima che “la farfallina della Rai” sbatta le ali tre volte (pardon, adesso è scomparsa dal logo), anche se il web fosse l’oasi felice per clonare l’altro giornalismo televisivo di Raiperunanotte. Non sono convinto che questo tira e molla sia produttivo. Le accuse al Vespa di turno (“lui che viene pagato come l’ultimo Oscar da protagonista”), all’autorevolezza di Sergio Zavoli, all’amico Curzio Maltese si smorzano in un martirio da parte di Santoro, infuriato perché si sente messo in vendita per un assegno a 8 cifre.  Qui non è una questione di cifre (soldi e share vanno a braccetto?)  o di piena autonomia, perché il papà di Annozero non è un freelance. Piuttosto si tratta di capire quanto il servizio televisivo pubblico di un paese democratico – se ancora lo siamo – garantisca ad un professionista di agire senza bavaglio e spudorate pressioni. La coerenza è opinabile. Citando una caricatura scovata nel web, mi vien da dire: Michele Santoro la vuole sì o no “una vita spericolata”, nonostante sia stato un vecchio inquilino (Moby Dick, Italia 1) della corte del Biscione?

Italia’s got Talent e le lacrime di Gerry Scotti

Nel 2002 Francesco Renga ha presentato a Sanremo Tracce di te, una canzone intensa dedicata alla madre. Intensa sì, ma non strappalacrime. Quanti se ne ricordano?  Chissà se ascoltandola, Gerry Scotti si sarebbe commosso così com’è accaduto nell’ultima puntata di Italia’s Got Talent. Lo abbiamo capito che il Belpaese, insoddisfatto da come vanno le cose dalle nostra parti,  vuole nutrirsi di storie commoventi per mandar giù le insoddisfazioni. Qui non è questione di canzone – Perchè (Io) credo è destinata a diventare il tormentone musicale dei prossimi mesi –  ma della storia che c’è dietro: un aspirante cantautore, Federico Fattinger, il dolore per la perdita improvvisa della madre e una voce allenata a  far vibrare le corde nazional-popolari. Cosa volete di più dai palinsesti tv? Il popolo del reality deve farsene una ragione perchè l’Isola dei famosi 7 e il teatrino dei suoi selvaggi inquillini interessa di meno. E il sospiro di sollievo arriva sì o no? Dove sta il sollievo, nelle lacrime di Gerry o nella mazzata dello share per Simona Ventura?

Addio, Vianello gentiluomo. Arrivederci, Raimondo della porta accanto!

E’ morto Raimondo Vianello e con lui quella pagina del ‘900 che ha fatto grandi Televisione e Varietà. Una vita spesa per un lavoro affascinante e difficile assieme alla compagna di sempre, Sandra Mondaini. Io, per fortuna, appartengo alla generazione degli anni ’70 e, nel mio baule privato, riesco ad arraffare ricordi, prima ancora di Casa Vianello o della memoria popolare imprigionata su YouTube. Il ricordo personale si muove a carponi  nelle domeniche pomeriggio tra il ’78 e il ’79, tra la cucina e la mia cameretta, nella gioia di passare dal piccolo televisore in bianco e nero al primo schermo a colori e ritrovarsi Raimondo e Sandra sul loro divanetto, in Rai. Chi si è fatto contagiare dalla malattia del teatro, si è emozionato tra le sequenze ingiallite di Raimondo Vianello al fianco di Ugo Tognazzi, Macario e Bramieri. Ed è prorpio ad una commemorazione per il suo amico Gino che l’ho incrociato alcuni anni fa. Un ricordo tenero, di un anziano signore, gentile e cordiale, dal sorriso sornione e dalla battuta facile. Sandra ha perso il suo Raimondo, noi il vicino della porta accanto, il dirimpettaio con il quale ci siamo intrattenuti piacevolmente per decenni e decenni. Lo hanno conosciuto i nostri nonni, lo hanno amato i nostri genitori e lo rimpiangeremo noi, figli del “dio minore della volgarità”.

Leggi l’articolo correlato: Addio a Raimondo Vianello.

Italia’s got Talent, chi è la nuova Susan Boyle?

Guardando l’edizione italiana di Italia’s got Talent, è ovvio che si accenda il lampeggiante posteriore della nostra memoria televisiva: La Corrida e i suoi debuttanti allo sbaraglio, un successo senza precedenti, che ha trascinato l’esibizionismo del Belpaese attraverso il tubo catodico.  Del resto tra i tre giurati italiani, assieme a Maria De Filippi e Rudy Zerbi di Sony Music, c’è l’erede ufficiale dell’indimenticabile Corrado: Gerry Scotti. Nell’Italia che inneggia al “populismo”, è azzeccato far partire adesso questo talent show, che rovista tra i sogni nazional-popolari, tra le acrobazie incredibili di un papà e la figlia o le frustrazioni di un mancato danzatore, aspettando di eleggere la nuova Susan Boyle italiana. Dopo tutto, l’edizione anglosassone mi ha incuriosito per un motivo: la faccia sbalordita degli inglesi puritani dinanzi alla voce strepitosa di una “campagnola scozzese” – non me ne voglia Susan, ma la Scozia agli occhi l’Inghilterra è ancora questo –  che ha sbaragliato nelle classifiche di tutto il mondo. Noi italiani siamo diversi e così  la storia strappalacrime e la faccia tosta di una cubista sessantenne possono mandare in soffitta pure i veri talenti. Angela Troina di certo non è un fenomeno, ma è  la vera star di questa prima puntata, che ha la pecca di avere un pesciolino fuor d’acqua: l’insipido Simone Annichiarico, che di papà Walter (Chiari) non ha niente.

Amici, Emma l’orgoglio musicale del Salento!

Su Google non si fa altro che cercare Emma, così come su YouTube i video più cliccati sono quelli che rimandano a lei. Non è naturalmente la Bonino, che adesso piange in silenzio la sconfitta elettorale, ma la vincitrice di Amici 2010. Non sono un telespettatore del talent show di Maria de Filippi, ma devo dire che la voce di questa grintosa salentina mi piace. Penso che Emma Marrone sia tra le  migliore vocalist che Amici abbia sfornato in questi anni: non c’è solo voce ed energia, ma anche presenza scenica, una grinta in stile Irene Grandi, passione. Adesso la giovane salentina va coccolata e ci penseranno i discografici. Chissà se la incroceremo al prossimo Festival di Sanremo: mamma Maria (de Filippi) porta fortuna alle sue creature. Se Emma diventasse la nuova reginetta dell’Ariston 2011, speriamo che non accada con l’oscena tiritera del tipo “a far l’amore in tutti i modi, in tutti i luoghi in tutti i laghi in tutto il mondo”. Adesso la vincitrice di Amici 2010 già sta sbancando con l’album Oltre. Potrebbe andare a cantarlo tutto di un fiato all’altra Emma, quella  “sconsolata”, la Bonino lì da sola nell’angolino mentre Renata (Polverini) si prepara a governare il Lazio!

Santoro il Re-Rai per una notte nell’Italia della censura

Meno male che è finita la campagna elettorale e da stasera in tv tutto torna alla normalità. Ahimè, dobbiamo rivedere Bruno Vespa e il suo salottino per commentare i risultati elettorali, ma facciamocene una ragione. Del resto l’Italia è tornata a censurare come negli anni cinquanta del secolo scorso, sotto il regime democristiano, dove se non eri allineato erano davvero “cacchi” amari. Michele Santoro ha alzato il polverone dopo la contestata decisione di oscurare i talk show nel periodo della campagna elettorale. La Rai accetta le regole, ma Santoro e pochi altri non ci stanno. Così è spuntato l’evento mediatico anti-censura. Raiperunanotte, in poche parole Annozero show dal Paladozza di Bologna, ha fatto boom di ascolti, tra web, emittenti locali e Sky Tg 24. Michele Santoro buca lo schermo, mentre i duetti tappabuchi da palinsesto non funzionano – Dalla & De Gregori revival – perchè non è vero che la jeunesse italiana è disinteressata alla politica e al futuro del Paese. L’uragano Santoro-Luttazzi ha avuto il suo effetto, mentre i risultati elettorali potrebbero essere scapigliati da un voto di protesta. Quello che molti giovani e i blogger di frontiera potrebbero dare a Beppe Grillo, un’altra vittima della censura. Esiste o no ancora il diritto di manifestare in Italia? Mi pare di no: la settimana scorsa dinanzi al Vaticano, la polizia ha bloccato la protesta dell’Associazione delle vittime americane dei preti pedofili. Pardon, dimenticavo che quello è “un altro Stato”!

Grande Fratello, Mauro Marin e l’arte del salumiere

Fino a qualche settimana fa pensavo che l’arte del salumiere fosse quella di affettare bene prosciutto e salame. Poi mi sono ricreduto quando ho chiesto tre etti di mortadella e al banco di salumeria mi hanno pesato sulla bilancia “300 grammi” giusti. Caspita, mi sono detto, non sarà mica botta di culo come quella di Mauro Marin, il vincitore della decima edizione del Grande Fratello? Detestato dai compagni di sventura della misteriosa casa e salvato in corner dal famigerato Televoto (tutti lo odiano, ma alla fine tutti lo giustificano!), Mauro mi ha riportato in un flashback remoto, ai tempi dei Tariconi e delle bagnine ossigenate come Cristina. Anche loro costruiti a tavolino, si intende, ma almeno portatori di quella sfacciataggine che li rendeva più reali. Effetto “nostalgie” da prima edizione?  Sarà che non sono bipartisan, ma i salumieri mi stanno simpatici e avrei detto il contrario se nella casa ci fosse stato non so, un tassista o un ausiliare del traffico! Mauro del Grande Fratello è così grezzo e ruspantino da sembrare un verace “terronciello trevigiano”, che spero sappia affettare bene i salumi. Patti chiari e amicizia lunga: del Grande Fratello ne posso fare a meno, ma di una rosetta calda con la mortadella no! Mi resta un’inquietudine. Se avessi fatto un figlio nel 2000, oggi avrebbe la stessa età del reality show di Canale 5. Magari sarebbe stato figlio di una mamma con la psicosi da GF, che gli avrebbe detto: “Stasera a letto presto perchè devo capire come va a finire nella Casa”. I miei non mi hanno mandato mai a letto presto per un egoismo da tubo catodico. Anzi mio padre fingeva di coricarsi per farmi addormentare con una delle sue fiabe strampalate, inventate al momento. Ed è forse per questo che i Marin mi piace incontrarli tutti i giorni in salumeria, piuttosto che vederli scornarsi con gli altri inquilini nel regno del Grande Fratello! 

Jamme Ja, lettera aperta a Nino D’Angelo

Caro Nino,
ti scrivo questa lettera e mi scuso anticipatamente per l’approccio informale, che mi porta a darti del “tu”. Dare del “lei” a chi viene ed è rimasto sempre tra le gente mi sembra davvero inopportuno.  Ho apprezzato la tua polemica contro l’inciucio del Televoto al Festival di Sanremo. La tua canzone non meritava di essere eliminata. Per noi partenopei qui al Nord, “jamme ja” è diventato una sorta di sfottò bonario , che accompagna il nostro entusiasmo, il nostro parlare in faccia. E tu sei uno dei pochi in Italia che può permettersi di parlare senza peli sulla lingua. Chi ti etichetta come il ragazzo col caschetto che si veste con “‘nu jeans e ‘na maglietta” si è perso l’album decisivo della tua svolta: Stella ‘e matina. Enzo Ghinazzi, in arte Pupo, deve perdonare la mia arroganza napoletana, ma quel pezzo non doveva proprio arrivare all’Ariston così come la tua Jamme ja non aveva bisogno di sottotitoli, perchè il sound la riportava direttamente ai tempi di Stella ‘e matina, quando l’ondulazione musicale rendeva più corposo il messaggio della parola. Siamo riusciti a liberarci delle fantomatiche schedine del Totip, quelle che decretavano i vincitori a Sanremo negli anni’80, e adesso vuoi vedere che non ci riusciamo con questo maledetto aggeggio elettronico chiamato Televoto? Il Business più del valore artistico? Il festival è finito, le polemiche si smorzeranno e noi staremo punto e a capo l’anno prossimo. Ti chiedo: perchè non può partire da te e da altri tuoi colleghi la battaglia verso questo modo scandoloso di scegliere una canzone? Sì, proprio da te che hai riportato in auge il vecchio teatro Trianon nel cuore della città di Napoli. La canzone napoletana è alla radice della canzone italiana, e tu che ne sei portavoce in Europa e nel mondo dovresti prendere in considerazione questa provocazione. Caro D’Angelo, per fortuna i nostri Principi sono altri, quelli come Totò, che hanno guidato il popolo nell’unica corte che dà un senso alla nostra esistenza, vicino alla filosofia eduardiana e non di certo a quella dei Savoia: il palcoscenico.

Da recapitare a
Nino D’Angelo
c/o Teatro Trianon Viviani
piazza Vincenzo Calenda 9
80139  Napoli