Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Vita offline: un giornata senza Facebook come 10 anni fa

Rosario PipoloDicono di smetterla di parlare di vita online e offline. Dopo aver visto l’osceno video Look Back di Facebook, che stritola la nostra social life in una clip “pastiche” per celebrare i 10 anni del social network più famoso del pianeta, è legittimo chiederselo: meglio “mancino” di mano e di fatto? Nel senso che nella mano sinistra stringiamo la vita lontana dalla rete. Presi dal tam tam digitale, la trascuriamo. No, forse non va bene sbraitare come degli adulteri anti-social, perché si può sempre fare il gioco delle tre carte, mischiando tutto. Come sarebbe stata una giornata qualunque di febbraio di dieci anni fa senza Facebook?

Ci svegliamo senza l’ossessione del post di buongiorno sulla bacheca di Facebook, aggiungendo anche la solita tazzina di caffè. Facciamo un colpo di telefono alla fidanzata, vincendo quella pigrizia che ci fa ripetere ogni mattina “tanto la becco dopo in chat e le invio un un cuoricino”. Sconfiggiamo la sindrome del “pendolare incazzato” con la lettura di un buon libro, senza finire tra i feed di Facebook e l’imposizione del privato di amici, parenti e nemici.
Sul posto di lavoro, per dare il bentornato alla collega dopo una lunga convalescenza, ci barcameniamo tra lunghi corridoi e rampe di scale pur di abbracciarla, senza lasciarle un messaggino in privato con “passo dopo”.

Nel primo pomeriggio, guardiamo in vetrina un vestitino che piacerebbe a nostra sorella e ci ricordiamo del suo compleanno. Ops, senza l’allarme del calendario di Facebook, preserviamo l’autenticità dello smemorato che non vuole ficcarsi in testa la ricorrenza.
Ci priviamo dell’oscenità di sapere della nascita del primo nipote attraverso l’ecografia postata in bacheca; facciamo visita al vicino defunto al camposanto senza la passerella dei “cimiteri 2.0” in versione social; sfogliamo assieme a nostro figlio un bell’album fotografico senza la smania di fare l’upload di centinaia di gallery; torniamo a guardare negli occhi nostra moglie invece di occuparci di contabilità social, accumulando i commenti e mi piace che rendono la nostra pagina facebook migliore nell’ottica che “l’erba del vicino è sempre più verde”.

Il video Look Back di Facebook, editato con gli algoritmi, propone come momenti significativi quelli che mai e poi mai avremmo salvato. C’è una vita che non si lega all’anniversario del nostro vivere digitale a tutti i costi. E’ un’altra e nessuno ce la porterà via, neanche chi reputa vita online e offline un concetto superato, perché dovrebbero essere come “destra” e “sinistra”. Disconnessi e felici? Si può.

Non occorre “il boss delle cerimonie” di Real Time per sentirsi Kate alle nozze

Eugenia Sposa

Rosario PipoloPer sentirsi come Kate Middleton nel giorno del proprio matrimonio non ci vogliono di certo i docu-reality, imbevuti di folclore napoletano, che propone Real Time. E non è necessario “il boss delle cerimonie”, alter ego del wedding planner in stile meridionale, portavoce del solito e volgare “facimme a chi mette ‘a copp”. Come se poi la grande abbuffata del banchetto nuziale, l’arrivo della sposa con carrozza e cavalli o il giro in elicottero circoscrivessero il significato di un matrimonio nel cerchio dell’essenziale.

Real Time dovrebbe racimolare le storie dei matrimoni delle nostre nonne napoletane, quando sposarsi non si riduceva ad una becera e volgare pagliacciata. Le nonne che si facevano cucire il vestito nel secondo dopoguerra, quelle che promettevano amore per l’eternità, che andavano a fare il viaggio di nozze nel raggio di pochi chilometri in groppa ad un asino o su un treno, quando andava di lusso. Ci sono ancora nonne disposte a svelare i loro pudici segreti e non per smania di protagonismo da reality, ma perché sanno che il dono della memoria è impagabile.

Per sentirsi come Kate Middleton nel giorno delle nozze non occorre neanche piegarsi ai ricatti del vivere per l’apparenza. Basta sentirsi come Eugenia, la sposa di questa immagine, avvolta nella semplicità del suo abito, che ha rateizzato l’attesa per il giorno più bello della sua vita nel significato del rito, sia esso religioso o civile. Il banchetto nuziale è passato in secondo piano rispetto all’atto della promessa, alla gioia di vivere ogni attimo assieme al suo sposo, nel sogno che, come in una fiaba, ha accompagnato il passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

“I reality sono tutti di gran moda in tv in questo momento, ma non si tratta di realtà: è solo un’altra forma estetica della fiction”, ha ribadito il regista Steven Soderbergh. Perciò è necessario toccare la realtà con mano propria. La sposa pensosa, colta in questo scatto di raccoglimento come in un fotogramma del cinema di Pupi Avati, sveste la volgarità del nostro tempo e la riveste con la memoria. Perciò Eugenia sarà ricordata come l’ultima Kate che ha inorgoglito le vecchie nonne napoletane, spose “finché morte non ci separi”.

Quando su Linkedin e Twitter vogliamo passare per ciò che non siamo

Rosario Pipolo“Strateghi del digitale”, “social media manager”, “giornalisti enogastronomici”, “creativi”, “guru P.R.”, “fashion blogger” sono soltanto alcuni termini di cui abusiamo ogni santo giorno. Tutti siamo o abbiamo l’arroganza di sapere far tutto, soprattutto nel campo dell’intrattenimento e della comunicazione digitale. Insomma, mentre per fare il meccanico, l’idraulico o il fresatore occorre essere specializzati, basta mettere il naso tra Linkedin e Twitter per capire che l’illusione di massa può essere vista così: tutto sommato ci sono delle professioni che possiamo inventarci dall’oggi al domani e la sindrome del “tuttologo” imperversa. Prendi l’arte e mettila da parte? No, mi invento una posizione lavorativa extra-large.

E così l’impiegata strozzata dalla routine vorrebbe farsi passare per mente creativa; il bancario in prepensionamento, da “buona forchetta” che era a casa di mammà, (s)vende frustrazioni improvvisandosi giornalista enogastronomico; il piazzista del paese mette giù il megafono da “arrotino” e fa le digital P.R.; l’infermiera, dopo una vita nelle corsie degli ospedali, apre un bel blog e diventa stellina fashion tra i cosmetici che vendeva sottobanco per arrotondare lo stipendio.

Chissà quante risate si fanno quelli delle Risorse Umane sbirciando tra i profili e quanti mal di pancia diventano incurabili per le medie e grandi aziende quando scambiano piccole botteghe a gestione familiare per startup. Ah, ci fossero le vecchie botteghe di una volta, abitate dal mastro che conosceva il suo mestiere!

Finita l’epoca dei maxi bigliettini da visita, affollati di titoli e mansioni, comincia quella dell’about us nella giungla confusionaria dei social network. Le job title bizzarre durano il tempo di una stagione, perché a confermare la professionalità sono la storia e l’esperienza che ognuno di noi si ritrova alle spalle. A ciascuno il suo… mestiere!

Caro Babbo Natale, mi regali Dudù?

Rosario Pipolo“Trottolino amoroso dudu dadadà”, cantarono Amedeo Minghi e Mietta nel bel mezzo degli anni ’80. E noi italiani, storditi dal benessere fasullo del decennio del riflusso, non ci accorgemmo che in quella zuccherosa canzoncina in stile sanremese si nascondeva la vera star di questo Natale 2013: Dudù.

Dudù, il cucciolo di casa Berlusconi, ha spento la prima candelina. Rotocalchi e social network non fanno altro che parlar del cane di Arcore, innescando la probabile incazzatura degli animalisti che dicono basta ai “cani da salotto” e vorrebbero le copertine dedicate agli anonimi randagi.

Dudù lo conosco in tanti e persino Emilio Fede ci mette la mano sul fuoco. “Lo conosco ed è molto simpatico”, ha dichiarato l’ex direttore del TG4 al Corriere della Sera. E chi non lo conosce, farebbe a cazzotti per stringergli la zampa, adesso che è una star tra cinema e tv. Maurizio Crozza lo ha inserito nel cortometraggio Berlusconi-Padrino che sta facendo crepare il popolo social nei giorni prenatalizi.

Dudù, chi era costui? Il primo pet a quattro zampe ad avere una frequentatissima pagina Facebook tutta per lui. Ahimé è stata chiusa e non sapremo mai quando arriverà la prossima scorreggia “profumata” del cane che fa più rumor nel Belpaese cialtrone.

Altro che le urla dei Forconi. Altro che legge di stabilità, Trise, rimonta dei renziani e la nuova fogna del calcio scommesse. Dudù sa come far parlare di sé e potrebbe essere la mascotte della partitocrazia che vuole tornare protagonista della Terza Repubblica con la stessa deplorevole logica degli ultimi vent’anni: scambiare la politica per una serata goliardica in compagnia, tra tette, un bicchiere di vino e quattro canzonette.

“Trottolino amoroso dudu dadadà”, cantarono Amedeo Minghi e Mietta nel bel mezzo degli anni ’80. E adesso come replichiamo a chi ha scritto “Caro Babbo Natale, mi regali Dudù”?

I fumetti di Bitstrips e l’odioso buonismo natalizio dei social network

Rosario PipoloAhimè, non ci chiamiamo tutti Mina e abbiamo il privilegio di finire in una striscia a fumetti disegnata da Giorgio Cavazzani. Chi di noi non ha sognato di diventare un tratto a matita a fianco di personaggi come Paperino? Un posto nella storia di Paperopoli è impensabile, ma nello stream social di Bitstrips sì.

Il prossimo Natale lo trascorreremo tutti sulla “comics app”, inventata l’anno scorso da due ragazzi canadesi. Bitstrips sta invadendo le bacheche di Facebook, rendendoci protagonisti di migliaia di simpatiche vignette a fumetti. Ci costruiamo un avatar fumettoso e cominciamo a scrivere storie, coinvolgendo persino i nostri “amici social”, che hanno deciso di far parte di questa simpatica sarabanda.

Si sa che i social network si animano con sbalzi d’umore tra mode e tendenze. Per giunta lo sdolcinato buonismo natalizio ha già preso d’assalto profili e fan page di Facebook. Bitstrips è l’app giusta per “i pigroni”, ovvero coloro che resistono al coinvolgimento di trascorrere un bel pomeriggio assieme, facendo quattro chiacchiere al bar sottocasa.
Bitstrips è l’app perfetta per chi pensa che l’intensità di un legame affettivo si misuri con i “mi piace” e “i commenti”, lasciati alla deriva di una bacheca di Facebook. Bitstrips è l’app per tornare a “fare comunella” in una vignetta senza l’ansia dell’agenda sullo smarphone che ci segnala l’imperdibile appuntamento dell’ultimo minuto. Bitstrips è l’app azzeccata per ritrovare con fantasia le persone che non appartengono più al nostro destino da un bel pezzo.

Vi presento il mio avatar su Bitstrips. Tento invano di scrivere per il quarantesimo anno di fila a Babbo Natale. Persino lui non ci risponde più, se non attraverso le finte letterine svendute sui mega siti dei coupon. Forse anche Santa Claus è finito su Bitstrips. Il suo avatar a fumetti si degnerà mai di rispondermi senza l’odioso buonismo natalizio dei social network?

Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia: basta allo sproloquio su Facebook!

Rosario PipoloPiù di cinquant’anni fa sui rotocalchi di mezzo mondo circolavano gli scatti degli inquilini della Casa Bianca con i propri pargoli. Questo di JFK è uno dei tanti. Chissà se oggi, nell’epoca del consumismo usa e getta dei social network, le stesse immagini cadrebbero nella trappola che fa dell’infanzia “la merce” dell’egocentrismo di mamma e papà.
Il 20 novembre si celebra la Giornata Internazionale dei Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Sarebbe “cosa buona e giusta” far pulizia nel marasma di Facebook e rottamare l’abuso di immagini e racconti che trasformano i nostri figli in piccoli super-eroi.

I primi a farsene promotori dovrebbero essere insegnanti ed educatori. Si sa però che è arduo intromettersi, perché la paternità e la maternità si alimentano di piccole soddisfazioni che vanno assolutamente condivise. Ai tempi del telefono SIP si chiamava la suocera e si raccontava che “il pupo aveva fatto il primo caccone”.
Ai tempi di Facebook si inizia dalla gravidanza con un racconto quotidiano. Poi arrivano le foto della nascita e gli status dei primi mesi di vita, finché scatta il campanello d’allarme: le immagini del bimbo seminudo e il primo bagnetto.

Ai tempi delle scuole elementari, in attesa che suonasse la campanella, origliavo discorsi raccapriccianti. “Il mio secondo è davvero un genio. Fa la cacca profumata”, proclamava il papà di un mio compagno di classe. E l’altra mamma, dallo sguardo invidioso, replicava: “La cacca deve puzzare, altrimenti che maschio è?”.
Oggi ai tempi dei social network, i pupi si ritrovano in prima elementare un bell’account di Facebook tutto per loro, con gli elogi di mamma e papà, che li vogliono tutti bravi “cantanti, ballerini, musicisti, calciatori” e la promessa di spedirli presto dalla regina del talent show Maria De Filippi, che farà di loro una vedette.

Il primo passo potremmo farlo proprio in occasione della Giornata Internazionale dei Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: spegnere tutto questo e mandare in corto circuito la giostrina virtuale. Potremmo rincasare prima, goderci in privato il sorriso dei nostri cuccioli. Non sono “supereroi” perché sono bravi in questo o in quello, ma semplicemente perché sono la meravigliosa espressione della generosità della vita nei nostri confronti.

Facebook e lo stupore di ritrovarsi sui social network

Rosario PipoloIn principio Facebook era “il libro delle facce” che fece ritrovare vecchi compagni di scuola e di università. Oggi è una macchina complessa tra business e voglia di “apparire” a tutti i costi, riuscendo anche a condizionare le nostre vite. Nonostante tutto, gli algoritmi del social network più amato e odiato del pianeta non hanno rinnegato le origini e così capita raramente di incappare in quell’insostenibile leggerezza dell’essere “social”: lo stupore di ritrovarsi.

Qualche tempo fa è sbucato dal mio archivio un biglietto su cui era scritto: “Grazie per questa bella esperienza che ci hai fatto vivere. Continua a rincorrere i tuoi sogni”. Risaliva ai giorni sepolti in cui racimolavo qualche soldo lavorando come animatore. La firma in fondo era della più timida del gruppo. Il mio occhio era caduto proprio lì, ripensando a dove fosse finita quella bambina che periodicamente la mamma accompagnava alle prove.

Ci sarà stato un corto circuito di natura “social” e così Facebook mi ha suggerito un contatto. Interessi in comune? Forse lo studio delle Lingue straniere. Stessa generazione? Assolutamente, no. Amici in comune? Qualcuno forse sì. La foto è un incanto e sembra un remake della natività. Una donna, con il profilo e il sorriso identici a quell della piccola Paola dei tempi che furono, sorride ad un neonato. Lo scatto condensa la gioia di una zia che sta dando il benvenuto al suo nipotino. E’ il futuro che vuole farsi coccolare dal presente? Forse sì.

Lo stupore di ritrovarsi ci rende tutti più autentici, persino quando un algoritmo si veste di umanità, molla il virtuale dei social network, allarga lo sguardo su un vecchio bigliettino ingiallito e ti restituisce un soffio tra i capelli della tua vita.

International Week, l’happy hour a Milano tra cultura e ricchezza della diversità

Rosario PipoloStorie di vita che si incrociano in un happy hour a Milano dopo le otto di sera e ti trasformano in un viaggiatore. Lascio a casa la valigia, sorseggio un cocktail e conosco decine e decine di universitari stranieri che hanno deciso di passare una fetta del loro tempo nel nostro Paese. Alcuni pensano che sia uno studente dai capelli brizzolati “abbondantemente fuori corso”, quelli di International Week, capeggiati dagli ideatori Paolo e Matteo Giachino, sanno che sono un viaggiatore a caccia di piccole storie da raccontare.

L’aperitivo dovrebbe essere un momento di socializzazione piuttosto che uno sprofondamento nella solita grande abbuffata. Qui è tutto diverso. Mi imbuco nel covo dell’Old Fashion a Milano e ritrovo un pezzo della mia famiglia in Francia, parlottando con un gruppo di studentesse d’oltralpe. Mi sposto pochi metri e finisco in Australia, confessando ad una coppia di Sidney il mio progetto di un viaggio on the road nella terra dei canguri, alla mia maniera di esploratore squattrinato.

Poi tutti seduti intorno allo stesso tavolo e allora sì che mi sembra di accarezzare un mappamondo. Klodian, che ha in tasca due lauree e una gran cultura, viene dall’Albania. Condividiamo le polaroid del mio viaggio nei Balcani e l’accoglienza che ho avuto a Tirana. Attacco bottone con Faez: lui mi racconta della musica a Teheran, io di quella che ho vissuto nella Napoli sotterranea che mischiava le sonorità mediterranee. Faez non conosceva Persepolis, il graphic novel di Marjane Satrapi, che mi rese ai tempi dell’università turista in Iran, rincorrendo una delle storie a fumetti più belle che abbia mai letto. Bruno ha mezza famiglia che vive laggiù a Rio De Jaineiro. Sgrana gli occhi appena gli racconto per filo e per segno le mie interviste a Toquinho, Gilberto Gil e Daniela Mercury. Nella discussione si inserisce anche Vitor Junior, figlio del Brasile delle nuove tecnologie: è pieno di energie, saltella da una start up all’altra, perché la sua passione è lavorare dove tira il vento dell’Innovazione.

A tutti questi ragazzi devo qualcosa. Mi hanno arricchito con il loro vissuto in terre lontane da me. Sono proprio le lande che volevo esplorare quando, più di venti anni fa, mi iscrissi alla Facoltà di lingue straniere alla Federico II di Napoli. Quasi quasi stasera torno a rifugiarmi sotto il tendone di International Week. Voglio stringere amicizia con questo ragazzo nella fotografia. Mi ricorda un jazzista di colore, conosciuto ad Harlem nell’estate del ’92. Fu allora che ingoiai la bellezza e la ricchezza della diversità. Fu allora che barattai l’anima da sognatore di periferia con quella di cittadino del mondo. E non me ne pentirò mai.

Felicità a Mosca: la canzone del Belpaese che ricongiunge Albano e Romina

Rosario PipoloIn un pomeriggio d’estate sul litorale domitio, Popy Minellono mi raccontò come nacque il testo della canzone Felicità. Il paroliere di origine piemontese, che consegnò ad Albano e Romina Power un inno degli anni ’80, si ispirò ai fumetti de Peanuts di Schulz. Ve la ricordate la poesia fumettosa La felicità è… un cucciolo caldo? Ecco, proprio quella lì.

Felicità è un acquarello musicale datato che evoca il benessere mordi e fuggi del Belpaese degli anni del Riflusso. In questi giorni se Albano e Romina la ricantassero sul palco dell’Ariston di Sanremo, altro che applausi si prenderebbero. Gli italiani, bastonati dalla nuova Trise e con le tasche vuote, mica crederebbero più alla filastrocca della felicità tra “un cuscino di piume e un bicchiere di vino”?

I Russi ci credono ancora invece. Sono disposti a pagare persino due stipendi di un nostro operaio, pur di rivedere cantare sullo stesso palco gli ex coniugi Carrisi. La reunion “artistica” fa notizia e così nella landa di Putin il Belpaese canzonettaro e disimpegnato fa colpo . Chissà se i moscoviti investirebbero gli stessi rubli per ascoltare brani che rinfrescano la memoria nazionale, a cavallo tra la rinuncia alla Perestrojka di Gorbachev e il dramma dei “decaparecidos” al di là dei monti Urali. Sempre meglio il revival musicale dell’omertà.

In Italia la canzoncina Felicità non gira più bene da un pezzo. Tuttavia, potrebbe sbarcare in una versione remixed in russo su iTunes. A patto che Vespa e Santoro facciano le scarpe a La vita in diretta e organizzino una diretta a reti unificate sulla reunion degli ex coniugi Carrisi. Daremo così un nome al ruggito del “C’eravamo tanto amati”.

Perché non faccio più gli auguri di compleanno via Facebook

Rosario PipoloDa qualche mese appena apro la mia pagina Facebook ecco che spunta il solito promemoria: ti sei ricordato di fare gli auguri di compleanno ai tuoi amici? Devo ammettere che fino all’estate scorsa ero divenuto così abitudinario a farli a destra e a sinistra, che ci pensavo a prima mattina. Mi sono però sempre rifiutato di usare quel tipo di diavolerie a forma di app che inviano gli “Happy Birthday” al tuo posto.

Al ritorno dalle vacanze, mi sono soffermato ad osservare migliaia di auguri in formato social che rimbalzavano da una bacheca all’altra e mi sono detto: quanto tempo è che non sento più a telefono le persone a cui tengo davvero per gli auguri? Mi sono ricordato addirittura che, negli anni dell’adolescenza, scarabocchiavo auguri personalizzati su biglietti preparati da me, saltavo sulla mia vespa rossa e li andavo ad imbucare personalmente.

Insomma, il calendario di Facebook mi ha fatto da promemoria per evitare figuracce con la community a cui appartengo, ma allo stesso tempo ha svuotato un gesto significativo della mia quotidianità. I guru dei social network sostengono che augurare buon compleanno su Facebook migliori la propria reputazione social nella centrifuga infernale del virtuale. Aggiungerei però che deteriora anche l’essenziale e mischia in un unico calderone alcuni legami che ci circondano.
Me lo ha confermato una telefonata recente del mio amico di infanzia Antonio. Ci siamo sentiti per gli auguri, ma poi parlottando a telefono siamo finiti a condividere memoria e quotidianità, l’essenziale agli occhi di un augurio speciale. Torno a riprendermeli, spalancando la finestra e alzando la cornetta del telefono: “Pronto, sono Rosario. Buon compleanno…”