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Dalla terra dei cachi alla terra dei fuochi: ‘e legnasante avvelenate

Rosario PipoloRosario PipoloI loti li chiamavano ‘e legnasante nella striscia di terra che a ridosso della periferia di Napoli si spingeva fino alle alture dei paesotti vesuviani. Era la terra dei cachi, quelli saporiti, ai tempi in cui il potere della Nuova Camorra Organizzata ruttava dal quartier generale alla falde del Vesuvio.
‘E legnasante erano un’altra cosa, robusti come il potere dei papponi democristiani di allora, affiliati con i clan che iniziavano a seppellire veleno nelle campagne. ‘E legnasante non avevano niente a che fare con “i cachi molli”, quelli che mangiavano gli uomini di buona volontà, sognatori di una terra diversa per i propri figli. ‘E legnasante circolavano in parrocchia per zittire i preti pronti a denunciare piuttosto che a far finta di non vedere o a far sermoni sulla parola di Dio.
‘E legnasante erano il frutto dei poteri forti e occulti che, nel giro di quarant’anni, hanno messo in piedi un impero, prima di trasferirsi al Nord Italia e continuare a fare business.

E non c’era bisogno della profezia di un boss per sostituire l’insegna “benvenuti nella terra dei cachi” con quella “bentornati nella terra dei fuochi”. Non era necessario l’uragano mediatico, accompagnato dalla fastidiosa punta di commiserazione e pietà nei riguardi del Meridione sofferente, per urlare con il megafono “la vostra terra è zeppa di veleno”. Non è stato confortante scovare nel corteo delle recenti fiaccolate tante facce note. Sono le stesse che decenni fa avevano barattato ‘o posto fisso per i propri figli in cambio dell’omertà, del silenzio fradicio, di una mazzetta che toglieva sangue e sudore ai propri risparmi.

Oggi dalla pendici del Monte Somma, lo schienale del Vesuvio ancora dormiente, si scorge la terra martoriata in cui è stato fatto un piccolo genocidio di uomini, donne e bambini. A dieci, a venti, a trenta o a sessant’anni non si muore per uno “stile di vita scorretto” – come ribadì un ministro miope – ma per le sostanze tossiche ingoiate da più generazioni, stordite dall’elettroshock del “cumpà, tiramme a campa’”.

Dove sono finite ‘e legnasante saporite? Ne voglio mangiare a bizzeffe, strozzandomi con il  “mea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa”. Ciascuno è stato assassino nel suo piccolo ed è inutile giocare a nascondino con i capri espiatori.

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Rosario Pipolo

Giornalista e Communication specialist. Una Laurea in Lingue straniere con lode all'Università Federico II di Napoli e una specializzazione in Web Communication allo IED di Milano.

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