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Divorzio all’italiana 40 anni dopo: lampo o non lampo?

Il cinema aiuta la memoria a non rifarsi la tinta ma a mantenere la propria capigliatura brizzolata. Non fa mai male riguardare un vecchio gioiello in bianco e nero come Divorzio all’italiana di Pietro Germi. E’ nitido il riflesso del Belpaese provinciale, dove il bello e il cattivo tempo lo facevano i feudatari della vecchia Democrazia Cristiana, rattoppata nello scudo crociato che in tanti oggi vedono cucito sulla vestaglia di Matteo Renzi.

Quando quaranta anni fa il referendum fece varcare al divorzio la soglia di legge, l’Italia annebiata dai fumogeni degli anni di Piombo visse l’illusione dell’emencipazione nel passaggio dal bigottismo alla laicità. Prima che il divorzio diventasse fenomeno del costume del BelPaese, facendo gola a tutta la ciurma di avvocati che ti spillava quattrini per mettere fine allo sfortunato matrimonio, fu il tempo della dolorosa discriminazione. Se eri un divorziato ti tiravano le pietre e se per giunta eri cattolico dovevi dire addio alla comunione con il benestare delle malelingue.

Oggi viviamo il rovescio della medaglia, tra divorziati e famiglie allargate, nell’Italia modernizzata che si avvia alla legge del divorzio lampo. Manca solo il semaforo verde del Senato e così impiegheremo più tempo a sposarci che per mandare tutto all’aria. Ops, dipende sempre dai punti di vista, perché in tanti casi mandare all’aria un matrimonio significa liberarsi degli orchi cattivi. La generazione dei miei nonni ne sa qualcosa.

Riguardare il film con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli, prodotto dal lungimirante Franco Cristaldi, aiuterebbe anche i più scettici a fare un passo avanti: qui non si tratta di legge o non legge da “divorzio breve”. E’ semplicemente una questione di buon senso.

 

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Rosario Pipolo

Giornalista e Communication specialist. Una Laurea in Lingue straniere con lode all'Università Federico II di Napoli e una specializzazione in Web Communication allo IED di Milano.

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