L’amarezza non è tanto il sapore che galleggia in questa scodella, ma non essere riuscita a farmi curare dove sono nata e cresciuta. Non c’erano strutture pubbliche disponibili e mi chiedevano tanti soldi. Non avevo capito che il valore della vita si riducesse ad un portafoglio. Ho lasciato il mare per le montagne. Signor dottore, è la prima volta che sono arrivata quassù.
Mi dicevano che da queste parti la gente fosse fredda. In questo ospedale ho conosciuto persone e storie che mi hanno riscaldato il cuore. E gli infermieri non mi hanno fatto sentire un’inutile ammalata, ma mi hanno riempito di coccole e di attenzione come faceva mio padre, tenendomi in braccio.
Signor dottore, mi hanno assicurato che la terapia finirà in tempo e miei capelli ricresceranno. Torneranno ad essere lunghi. Voglio essere bella al matrimonio di mia figlia. Si sposerà il 13 giugno, nel giorno di S. Antonio. È una vita che aspetto questo momento. A quanti pacchetti di sigarette ho rinunciato per farle un bel corredo, con quelle lenzuola color d’avorio che avvolgeranno due corpi innamorati.
Signor dottore, a volte ho paura, ma mi trattengo. Volgo lo sguardo e mi nascondo nel tramonto oltre le montagne. Mi chiedo quanto sarà fitto il buio. Mi consolo tutte le volte io la chiamo semplicemente Signor(e) e lei si volta.
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è molto bello questo pezzo...rende appieno i sentimenti, le paure e le speranze dei malati oncologici e dei loro familiari, soprattutto di coloro che sono costretti ad emigrare al nord per curarsi al meglio...e io ne so qualcosa....