Il comico genovese fu sbattuto fuori dalla RAI – ai tempi i trilli telefonici di Montecitorio e Palazzo Madama facevano tremare viale Mazzini – e il cane bastonato cominciò ad usare il teatro per abbaiare contro la Prima Repubblica. A quasi trent’anni da quel sabato sera, le vecchie glorie del Pentapartito sono roba da libri di storia, il gran varietà televisivo è morto, le zozzerie di Tangentopoli continuano a tentarci, soffia il vento del populismo, ma Beppe Grillo si è preso il tempo necessario per trasformare la rivolta di un comico in una rivoluzione civile: è lui il vero vincitore di queste Politiche del 2013.
Gli istant poll hanno preso una cantonata a parlare di “Terza Repubblica” e il sentiment dei social network per certi versi è stato come la profezia dei Maya. Il “centrismo” tecnico di Mario Monti ha fatto un buco nell’acqua, il “vendolismo” rincasa in Puglia, Silvio Berlusconi è resuscitato e la partita alla Camera, se non fosse per “il contentino da maggioranza”, sarebbe finita in un pareggio netto con Pierluigi Bersani.
Il Senato è completamente paralizzato e la voglia di rottamazione del guascon fiorentino Matteo Renzi (Su Twitter circola la preghiera “Matteo, torna e salvaci tu!”) ha portato iella a qualche “santino” del Paese per vecchi che ci ritroviamo ad essere. Tra i grandi esclusi ci sono Di Pietro, Fini, Bonino e Storace, mentre Casini è salvo per un pelo.
In tutto questo caos, c’è una sola certezza. Il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo è il primo partito in Italia ed ha i numeri necessari per tirare “scappellotti” a destra e sinistra. Gli umori di piazza Affari sono così volubili che mi sembra di essere tornati ai tempi dell’autogestione a scuola. Oggi è così, siamo un paese autogestito, abbiamo mandato a casa i professori, abbiamo le aule tutte per noi, con la verve studentesca di poter mettere nel registro i voti che vogliamo. Tuttavia, l’utopia dell’autogestione scolastica rischia sempre di consumarsi in una bevuta di vino in compagnia o in una partitella a carte. Può succedere anche ad un governo traballante dalle larghe intese, non sempre destinato a fare con coerenza gli interessi degli elettori. Persisterà il tirare a campare del vecchio Belpaese? Oggi è così, domani si vedrà.
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