Alla casa museo di Frida Kahlo ci sono arrivato a prima mattina. Ero in viaggio a Città del Messico. Casa Azul si trova a Coyoacán, una delle mie colonie preferite nella capitale numero 58 del mio giro del mondo. Dov’è nato desiderio di un incontro spiriturale con la pittrice messicana?
Nel settembre 2002 ero al Festival del Cinema di Venezia per la prima di Frida, il film diretto da Julie Taymor. Della mia intervista all’attrice protagonista Salma Hayek mi colpì il racconto del suo lavoro di preparazione all’interpretazione di Frida Kahlo, personaggio femminile molto complesso.
Mi disgustano le infatuazioni nazional popolari, allora in tanti a stento conoscevano l’arte di Frida. Il film di Taymor ha avuto il merito di aver illuminato la mia generazione. Qui è germogliato il seme del desiderio di visitare la casa-museo a Città del Messico che custodisce la memoria di Frida e del marito Diego Rivera.
Ho sempre nutrito dubbi sulle case-museo e spesso hanno deluso le mie aspettative. Casa Azul, dove Frida nacque nel 1907 e si trasferì con il grande pittore e muralista messicano nel ’40, ha un nonsoché di magico.
Entrandovi scatta un’immersione totale tra il visitatore e chi è riuscito a mischiare arte e vita, facendo della propria evoluzione il motore artistico di ua riflessione esistenzialista e ideologica. Casa Azul non è un luogo di antiche memorie o spettri soggiogati dal turista avido di selfie, è piuttosto la corsia preferenziale per un incontro spiriturale con Frida Kahlo e Diego Rivera, di cui si avverte la presenza.
Frida Kahlo e Diego Rivera sono vivi attraverso gli oggetti e le opere d’arte che abitano le stanze della casa, le suppellettili, lo scrittoio, il tavolo e gli arnesi di lavoro, la sedia a rotelle di Frida sulle cui ruote è in sosta ancora il dolore e la sofferenza di una vita.
Mentre ci cammino ho tra le mani una pubblicazione rara stampata in pochi esempleari. Me lo ha procurato un vecchio libraio del centro storico di Città del Messico. Si tratta del catalogo della prima mostra nella capitale di Diego Rivera realizzata nel 1958, ad un anno dalla sua scomparsa.
Esco e mi fermo nel giardino, mi siedo, mi guardo intorno. Apro il taccuino, prendo la biro, mi sembra di averli di fronte a me. Comincia l’intervista desiderata, immaginata.
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