Mafalda, il personaggio a fumetti di Quino, odiava la minestra. Io odio il lunedì e non è mai stata una novità: come è pesante l’inizio della settimana! Questa mattina mi sono svegliato e ho visto che il 9 novembre cade di lunedì, proprio come diciassette anni fa. Quel lunedì non avevo impegni, non erano iniziati neanche i corsi all’università. L’unico appuntamento in agenda era imparare a declinare il dolore. Mi recai in un ospedale nel centro di Napoli e lui era disteso lì: immobile, non respirava, il viso pallido. Me ne andai, fiondandomi diritto in viale Cavalleggeri d’Aosta. Ero disperato. Chedevo a chiunque del quartiere se avesse visto passare un signore sulla settantina, capelli brizzolati, occhialuto, baffi. All’edicola sotto casa dissi che si trattava dell’uomo che tutti i giorni intorno alle 10 acquistava il quotidiano Il Mattino; a Pino il salumerie che era il tizio, nonostante l’ipertensione, che non avrebbe mai rinunciato ad una manciata di sale; al giocattolaio che era il tipo che tutte le domeniche mi comperava un paio d’occhiali da sole; a don Luigi, il portiere del numero 119 di Cavalleggeri d’Aosta, che era Pasquale Mautone, il condomino del sesto piano. Nessuno seppe dirmi niente. Salii sopra e la casa era tremendamente vuota. Era vuota la sua poltrona, si era fermato l’orologio a pendolo che aveva scandito il tempo delle sue giornate; persino la stufa non sbuffava più. Fu in quel preciso istante che fui scaraventato a terra dal dolore e, ricordandomi che fosse lunedì, mi balzò in mente una sua riflessione: “Detestavo il lunedì. Svegliarmi con il terrore che non avrei venduto neanche un maglione. Caricare sull’auto il bancone e avere a che fare con i clienti”. Corsi alla stazione della metropolitana di Napoli – Cavalleggeri d’Aosta. Mi risollevai quando sentii il fischio di una locomotiva e mi ricordai di quando mi portava a guardare i treni: “Nonno – gli ripetevo – Voglio crescere adesso. Voglio partire su quel treno e vedere dove finiscono i binari”. Ho percorso migliaia e migliaia di chilometri su quei binari. E non bisognava fare il ferroviere per capire che il dolore per la perdita di una persona speciale ti resta tatuato tutta la vita.
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Già....Il nove novembre è proprio da cancellare...
mi sono commossa davvero. lo farò leggere anche a babbo appena torna.
che bello provare ancora un forte legame come questo con le persone che non ci sono più. pensare che a volte, da vivi, non ci si ricorda più. combatto contro il silenzio che ci fa morire piano piano, ma ciò che fa più male è l'essere considerati morti quando nel cuore pulsa ancora tanto amore, bei ricordi e voglia di ritrovarsi.
Quel nonno, si perchè per me era il vero nonno, quello con gli occhiali, il giornale, con le sue frasi nostalgiche ma vere tra passato e presente, si può anche invidiare un nonno così... e chi come me l'ha conosciuto gli rimane una grande lezione di vita, perchè grazie anche a lui che noi siamo cresciuti dolci, simpatici e nostalgici. Ciao nonno Pasquale.
struggente e commuovente, bravo Rosario, non sempre è facile rendere a parole il dolore...anche per noi il nonno ha significato tutto, mi ha insegnato ciò che di buono credo di avere e non finirò mai di ringraziarlo abbastanza perchè mi ha fatto comprendere il significato della parola "famiglia"...