Mi siedo dietro di lui e cerco di monitorare tutti i suoi movimenti, quasi come a voler dire: “Ehi, collega. Se sei stanco, passo io alla guida”. Alle 5.16, alla fermata di Triumplina, sale il primo passeggero, una signora sulla quarantina. Non ha il biglietto e le offro l’ultimo che mi rimane, tanto mi dico : “Stamattina gioco a fare il conducente. Mica il controllore mi farà la multa?”. Poco prima delle 6 sale un altro collega. Dall’accento è palese, è un siciliano. Parlottiamo, lui è di Termine Merese e mi racconta del suo trasferimento al Nord, della famiglia che gli manca, della crisi e dei soldi che non bastano mai a fine mese. I miei pensieri divagano in questa Brescia nottambula, che improvvisamente lascia la sua multietnicità per restituirmi alcuni ricordi: la mia prima volta a piazza della Loggia avvolto da quel silenzio tombale “per non dimenticare quel tragico 28 maggio del 1974”; la mia prima volta a Brescia 2 alla ricerca di Lara e del suo mondo; la mia prima volta a fare colloqui con la laurea fresca di giornata. Alle 7 spunta la luce e l’autobus si anima di studentesse. Carine, scherzano, bella gioventù! Mentre la città sbadiglia e si sveglia, arrivo al capolinea a Flero. Ci sono venti minuti di pausa prima di ripartire. Vado al bar a fare colazione: brioche e cappuccino. Pago anche per l’autista alla guida del numero 10, ma lui non si accorge di niente.
Poi si riparte, la stanchezza inizia a farsi sentire, mentre le lancette dell’orologio si rincorrono fino alla fine del turno. Sono stanco, ho i piedi congelati e riesco a malapena ad arrivare nei pressi del deposito di Brescia Trasporti. L’autista scompare col suo autobus, mentre io alzo gli occhi al cielo. Gli schizzi di pioggia mi pizzicano il viso e io ripenso a tutti gli autisti che ci scarrozzano in giro ogni giorno: ai giovani, ai meno giovani, ai pensionati, a quelli che non ci sono più. A tutti i conducenti che ci trasformano, al costo di un biglietto, in padroni delle nostre città, perché solo un servizio efficiente di trasporto pubblico può farci sentire “turisti inconsapevoli” del nostro territorio. Persino quando certi posti non ci appartengono, perchè le nostre radici sono altrove. Autista per un giorno? Sì, per raccontare tutti coloro che si nascondono dietro quel volante, tutti i giorni, a tutte le ore, col sole e con la neve.
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Nel passato eravamo molto ambiti, in tutti i sensi, oggi spesso non siamo capiti da certe persone, il nostro è un servizio comodo veloce e puntuale (traffico permettendo) almeno nella città che lavoro. L'Autista di città è uno che vive tutto dall'alto del suo mezzo, ne avrebbe da raccontare, ne avrebbe da buttare fuori, dallo stress ma anche le cose belle che incontra, soprattutto da quella utenza che apprezza il nostro lavoro, peccato che nel nostro bel paese pochi utilizzano i mezzi pubblici spesso scoraggiati dagli orari e ora scoraggiati anche dal nostro governo che per l'anno 2011 ha ridotto i finanziamenti, ma noi autisti saremo sempre li, per la città, con il nostro solito sorriso. grazie Rosario per aver regalato a tutti noi la tua esperienza, sei il nostro utente migliore.
la categoria degli autisti, come quella dei meccanici dei militari è sempre stata inserita in quel limbo dei marpioncelli/marpionati...ma sono fiera di chi fa questo lavoro. uno di loro, uno che conosco bene, una volta mi disse: autista capace di non perdersi tra mille vicoli, sempre in pericolo di perdersi nei vicoli di sè stesso. lo vedi che guidare fa meditare?