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Parolacce in dialetto e l’incomprensibile insulto

Quando alcuni anni fa mi capitò in redazione il libro “Parolacce” di Vito Tartamella, avvitai l’idea che tutto sommato, senza trascendere nella volgarità, ogni sintomo di turpiloquio si porta dietro pezzetti di storia, aneddoti divertenti e i colori del belpaese.
Il piccolo vangelo di Tartamella, in alcuni punti quasi scientifico, mi raccontò che “le parolacce” le dicevano pure Big come Mozart, Leonardo Da Vinci, Dante e Shaskespeare.

Eppure, viaggiando nel regionalismo del Belpaese, capisco pure che una parolaccia, beeppata o no, sfiora l’incomprensibile quando di mezzo c’è un dialetto. Una ventina d’anni fa, lavoravo come capo animatore ad Otranto. Eravamo in una meravigliosa spiaggia della Puglia e un mocciosetto gettò palle di sabbia ad un dei ragazzini del nostro mini club. Il poveretto rispose all’attacco e al disturbatore toccò la cattiva sorte: la palla di sabbia gli finì in bocca.

Il papà del maleducato ce ne disse di tutti i colori in uno stretto dialetto pugliese, buffa cantilena del tutto incomprensibile. E quando mi è capitato di vedere questo divertente video from Puglia with Love, mi sono detto. Le parolacce in dialetto hanno un vantaggio. Quando non sono blasfeme o volgari, al posto di un insulto gratuito ci restituiscono il colore della nostra terra!

 Parolacce di Vito Tartamella

Passaparola
Rosario Pipolo

Giornalista e Communication specialist. Una Laurea in Lingue straniere con lode all'Università Federico II di Napoli e una specializzazione in Web Communication allo IED di Milano.

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