I suoi occhi blu hanno avuto il colore di un’America pulita e sincera, il suo sex appeal ha frantumato i cuori femminili di mezzo mondo, la sua presenza attoriale ha bucato il grande schermo consegnando al cinema ruoli memorabili. Paul Newman, scomparso all’età di 83 anni, resta uno dei miti tra realtà e immaginario collettivo, che soltanto il XX secolo ha saputo procreare. Dell’attore dell’Ohio non ci piace ricordare questo o quel personaggio, ma colui che è stato dentro e fuori dal set: semplicemente Paul Newman. La sua prima arrampicata cinematografica è legata agli anni cinquanta, un decennio idilliaco per gli USA. Ed è proprio quella serenità che i suoi occhi hanno trasmesso fino a ieri, lo stato interiore di un americano che voleva vivere una vita tranquilla, senza troppi grattacapi, distaccandosi dagli errori e i traumi dell’America dei decenni successivi. Mia madre è stata una sua grande ammiratrice e me lo ha presentato in un pomeriggio di trenta anni fa: “Vieni qui, che ti presento Paul Newman… quel signore lì”. Alla tv davano “Lassù qualcuno mi ama”: dietro la macchina c’era il grande Robert Wise e Paul con i suoi guantoni dava vita all’incredibile storia di Rocky Graziano. Crescendo, ho imparato ad apprezzarlo in “La gatta sul tetto che scotta”, “Lo spaccone”, “Furia Selvaggia” e “Butch Cassidy”. Da adolescente, l’ho detestato perché “per colpa sua” mi andava sempre male con le ragazze. “Mi spiace, ma non hai gli occhi blu come Paul Newman”, mi dicevano. Ed io quatto quatto me ne andavo con la coda tra le gambe, maledicendo i miei occhi castani! Ahimè, le ragazze a cui facevo il filo non avevano capito che non si trattava solo del colore degli occhi, ma di una verità misteriosa oltre il suo sguardo. Una verità che adesso l’America non rivedrà mai più.