Scappai in cima alla salita, convinto che l’amico mi ascoltasse. Invece lui fece orecchie da mercante, stordito dalle inutili faccende che riempivano la sua noia. Da lontano vidi un prete, non mi diede neanche il tempo di accostarmi, che mi lanciò un’occhiata di rimprovero come a voler dire “non vedi che sto pregando”.
Nell’ultimo bistrot intravidi l’amica di sempre. La invitai a bere un caffè. Era una scusa per poterle parlare, ma lei si defilò perché stava finendo di preparare un concorso e mi chiese di pazientare solo una settimana. Nel parco c’era la bambina, che speravo non restasse indifferente. A stento mi riconobbe, era impegnata a pettinare l’ennesima bambola che le avevano regalato. Entrai nel solito supermercato, perché sapevo che lì avrei trovato la mamma. Provai ad urlare, ma non percepì il mio urlo perchè aveva la testa stordita tra gli scaffali delle offerte. Tentai con l’edicolante in piazza, ma stava chiudendo e non poteva dami retta così come il vicino che se la diede a gambe sulla sua Maserati di ultima generazione.
Non mi sentiva nessuno. Mi ricordai allora del clochard* che avevo incrociato qualche anno prima di fronte al teatro San Carlo di Napoli. Salii sul primo treno e mi misi alla sua ricerca. Arrivato sul posto, trovai la sua casetta di cartone, ma il barbone era sparito. Un uomo mi rimpoverò: “E’ arrivato troppo tardi. Il freddo di gennaio se lo è portato via. E pensare che un anno fa quel poveretto cercò di farsi ascoltare disperatamente, ma lei era troppo indaffarato per dargli retta. Il clochard voleva solo abbracciarla e raccontarle una storia, quella dell’indifferenza, la stessa che lei ha vissuto prima di precipitarsi qui”.
*Dedicato a Franco I., il barbone napoletano che adesso finalmente non soffre più il freddo perchè lassù c’è una casa tutta per lui.
Clochard morto davanti al San Carlo di Napoli
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