Senza tener conto di chi non ha digerito il successo planetario dei tre mocciosetti del programma tv di Antonella Clerici e la conquista degli USA, dobbiamo rassegnarci al fatto che in Italia abbiamo delle penne malate di Alzheimer. Si tratta delle medesime biro che, abusando del loro inchiostro, pensano ancora di vivere ai tempi in cui segnavano il bello e il cattivo tempo della discografia.
Per fortuna o per sfortuna oggi ci sono i social media, non soltanto territorio di clowneria e nefandezza ma anche di competenza, la stessa che ha l’orecchio lungo e riconosce il talento di Il Volo. Le penne malate di Alzheimer hanno esaurito l’inchiostro a supporto di mediocri pianisti contemporanei, facendoli passare come geni incompresi, e non ne hanno più a dispozione per riconoscere la bravura di questo trio?
Consapevoli da una parte che i Festival di Sanremo dei Modugno, dei Dallara, dei Latilla, dei Villa, dei Rascel, degli Endrigo, dei Tenco o dei Gaetano non torneranno mai più, dall’altra ci opponiamo a questi ciarlatani da corridoio perché Barone, Boschetto e Ginoble possono fare un miracolo con le loro romanze pop: far avvicinare i ventenni alla lirica, ricordando loro che la radice della musica è tutta lì.
La mia generazione fece il grande passo scoprendo Luciano Pavarotti, l’antesignano di quella fusione magistrale tra lirica e pop. E me ne resi conto il 30 luglio 1991 quando, all’uscita da una merenda all’Hard Rock Cafè di Londra, mi ritrovai il grande tenore che cantava sotto la pioggia ad Hyde Park. Ebbi la fortuna di ascoltare quel concerto gratuito che in parte avrebbe compromesso alcune mie scelte musicali future.
Il Volo sono l’unico sollievo di questo Sanremo avaro che dimenticheremo in fretta, forse il peggiore musicalmente di tutte le edizioni. Se proprio dobbiamo salvare una baby band, teniamo loro e buttiamo giù dalla torre i Dear Jack, flop del filone della tribù della De Filippi.
Pietro, Ignazio e Gianluca hanno talento ma devono sapere che l’umiltà è necessaria per crescere. La strada per guadarsi un posto nella storia della musica è ancora lunga, faticosa, tortuosa e il pericolo che il successo negli USA li abbia montati la testa è dietro l’angolo.
Le braccia spalancate di Mimmo Modugno sulle note di Volare fecero il giro del mondo. E questa Grande amore? Nonostante resti una romanza pop di serie B avrà il pregio di ricordare all’estero che l’Italia – ed in particolare Abruzzo e Sicilia, le regioni che li hanno partoriti – non è solo corruzione e volgarità ma è ancora culla di ragazzi entusiasti, capaci di assistere con la passione il faticoso cammino per le nuove generazioni, orfane della grande musica che fu.
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