Nel covo dei Terrasonora
Mi sono impigrito in questi giorni perché tra le band emergenti ci sono migliaia di proposte e troppo fumo in giro. Abbandono per un po’ il pop e il rock e naufrago tra la musica folk, quello di matrice partenopea. Il primo pensiero va alla Nuova Compagnia di Canto Popolare, ma quella è acqua passata. Rimane per fortuna un testamento musicale, ricco ancora di proposte e provocazioni. Di recente sono tornato a casa e allo svincolo autostradale di Afragola, alla periferia di Napoli, mi sono trovato in auto con un gruppo di musicisti. Sono i Terrasonora (www.terrasonora.it), che apprezzo molto da quando ho tirato fuori dalla mia sterminata discografia il loro album Core e Tamburo. Mi hanno invitato a visitare il loro “covo”, in un palazzo pittoresco delle vecchia Afragola. Ho assistito alle prove, da cui mi sono portato via una riflessione. A Napoli e dintorni c’è un’innata malattia, tutti pensano di essere musicisti e cantanti, alcuni hanno addirittura la presunzione di atteggiarsi a piccoli divi. Sarà la mia deformazione professionale, ma io ci vado cauto. I Terrasonora hanno avuto il coraggio di incidere un album, producendo la stessa e identica atmosfera che si respira alle prove, fatta di quelle piccoli imperfezioni a cui il mercato discografico ci ha disabituiti nei giorni grigi del “perfezionismo digitale”. Con Gennaro, Raffaele e Antonio Esposito, Fabio Soriano, Antonello Gajulli, Francesco Ferrara e Gaia Fusco la musica ritrova emotività ed umanità, la folgore della tradizione e la sperimentazione del futuro (visitate il loro Myspace). E se fossero loro in qualche modo gli eredi della Nuova Compagnia? Ne hanno di strada fare, ma sono coraggiosi, umili e professionali, tanto che in alcuni paesi europei si parla già di loro. Sarà una maledizione, ma ogni volta che vado ad un concerto dei Terrasonora non riesco mai a raggiungerli. Sarà la volta buona per gettar via il televisore, e trovarmeli un bel mattino nel soggiorno di casa a fare una jam session tutta per me!