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I nostri cent’anni di solitudine iniziano oggi, senza Gabo!

Disegno di Jaime Molina

Rosario PipoloSul mappamondo non c’è Macondo, ma i luoghi raccontati attraverso la magia del realismo e l’immaginazione fissano una loro geografia. E’ la geografia che schiaffeggia il riverbero del tempo, nonostante tutto. José Arcadio Buendía è troppo impegnato a custodire sogni e illusioni patriarcali per accorgersi che la penna di Gabo ha smesso di sputare inchiostro.

I nostri cent’anni di solitudine cominciano lentamente proprio oggi, in questo venerdì, ai piedi delle tante “croci” su cui, nel secolo scorso, hanno inchiodato i sogni della Colombia e dell’America Latina tutta. L’inchiostro di Gabo ha annerito con poesia e impagno civile il sangue versato dai sudamericani per il proprio riscatto; storie dense e personaggi dalla forte identità hanno mandato al patibolo i “Giuda” che volevano la Colombia culla di mercenari e trafficanti di droga.

Gabo diede il ben servito ai “Pilato” americani che si lavarono le mani mentre i golpisti cileni scelsero il loro “Barabba”. La spada affilata di Gabo fu quella del combattente contro gli orrori della dittatura di Pinochet; il suo manifesto letterario era impregnato di valori del socialismo, fatto passare da tanti per comunismo, vista l’amicizia stretta con Fidel Castro.

Per il mondo è morto un gigante della Letteratura del ‘900. Per gli intellettuali è scomparso un Nobel. Per chi ha passato una vita a leggere i suoi libri, se n’è andato Gabriele Garcìa Marquez.
Per alcuni di noi non è successo nulla di tutto questo, perché i sogni fatti di parole di carta e passione civile non si fermano mai. Perciò oggi saremo a Macondo, con gli occhi puntati al cielo insieme alla famiglia Buendia, per sentirci liberi e orgogliosi di essere sudamericani.

Il cuore batte ancora per Gabo. Semplicemente, grazie.

Custodi del creato: Il Sudamerica di Papa Francesco come l’Est Europa di Giovanni Paolo II

Rosario PipoloDopo una settimana dall’Habemus Papam, ci sono gesti a sufficienza per riflettere. Papa Francesco ha conquistato tutti, credenti e non. In volo tra le parole del primo Angelus e quelle dell’insediamento di ieri davanti ai capi di Stato, diciamolo pure: Abbiamo un pontefice spirituale, umile, concreto e persino ambientalista.
Ciò che sta accadendo in Italia in questi giorni, rievoca una polaroid che mi passò dinanzi agli occhi di bambino alla fine degli Anni di Piombo: un Papa polacco a San Pietro e un Presidente partigiano al Quirinale. Forse qualcosa sta cambiando. Nel 2013 il risveglio con Francesco a capo della Chiesa e la coppia Boldrini-Grasso ai timoni di Camera e Senato; nel 1978 Giovanni Paolo II e Sandro Pertini, quest’ultimo tra l’altro con il fardello della Prima Repubblica corrotta e melmosa, lasciato dal predecessore Giovanni Leone.

Tornando a Jorge Mario Bergoglio, pardon Papa Francesco, non avevamo bisogno del bisbiglio della presidente Argentina e della richiesta di mediazione per le Falkland per abbandonarci a vezzi di geopolitica. Alla fine degli anni ’70 i Paesi dell’Est Europa si affacciarono al balcone: l’asse spirituale-politico del sognatore Karol Wojtyla e del visionario Lech Walesa diede i frutti sperati. Oggi a sporgersi allo stesso balcone c’è il Sudamerica. Non le Americhe – la cortina di ferro tra USA e l’altra America è ancora troppo marcata – ma l’America Latina, quella che per decenni agli occhi di europei e italiani è stata beffeggiata dai cliché delle dittature facili, balli tropicali e i faccioni di Che Guevara che sventolavano sulle bandiere. L’Argentina di Papa Francesco non è una pallonata di Maradona, una notte di tango a Buenos Aires, un ululato appassionato di Mercedes Sosa o lo sbuffo a fumetti della Mafalda di Quino che “di questa minestra non ne può proprio più”.

L’Argentina di Bergoglio è quella del Peronismo, della dittatura dal pugno di ferro di Videla e del dramma dei Desaparecidos, delle rivendicazioni colonialiste delle isole Falkland, delle favelas e dell’estrema povertà, tenuta nel pugno da un piccolo branco di ricchi sfondati. Nello sguardo tenero di Papa Francesco si intravede lo sforzo del parroco umile, oggi “parroco del mondo” senza oro né scarpine rosse, che ha saputo affrontare la povertà e camminare a fianco degli emarginati, attraversando sottovoce e con concretezza la storia travagliata del suo Paese.

Il Sudamerica si aspetta che Papa Francesco si faccia umile portavoce della sua identità politica ed economica, soprattutto oggi che gli scenari sono in continua trasformazione: i sogni filo-occidentali delle generazioni cubane che pensano al dopo-Castro; lo stallo del Brasile di Lula; il Venezuela post-Chavéz tra ventate populiste e intrighi di palazzo; gli scheletri nell’armadio lasciati da Pinochet nel Cile contemporaneo (dossier e fiumi di articoli ci dicono che dal Vaticano alla vigilia dell’11 settembre 1973 non mossero un dito per evitare la caduta di Allende); i contributi di Uruguay e Paraguay allo sviluppo dell’economia sudamericana; il filo religioso che lega la comunità messicana alla terra di frontiera tra voltagabbana repubblicani e sognatori democratici.

E’ vero, Papa Francesco lo ha ribadito: “La Chiesa non ha natura politica ma spirituale”. Lo sosteneva anche Giovanni Paolo II, ma poi accadde qualcos’altro. Oggi il Sudamerica aspetta il suo riscatto, come accadde ieri per l’Est Europa. E nella “custodia del creato” rientrano anche i passi silenziosi della storia, che a volte non fanno rumore come quelli del Padreterno.

Habemus Papam vicino a Martini: Il gesuita moderato argentino Jorge Mario Bergoglio

Rosario PipoloL’agognata fumata bianca del primo Conclave invaso dai social network ha fatto sventolare qualche bandiera tricolore di troppo. L’Arcidiocesi di Milano non ha cantato vittoria neanche questa volta. Il cardinale Angelo Scola era troppo schierato con i ciellini per aggiudicarsi l’ambito pontificato dopo le dimissioni del principe Ratzinger. C’è chi ha creduto fino a pochi istanti prima dell’Habemus Papam che dietro la finestra sarebbe apparso un successore in toto di Benedetto XVI. I movimenti conservatori che animano la Chiesa cattolica hanno subìto il contraccolpo perché ad affacciarsi alla finestra c’è stato un gesuita, per giunta per niente Ratzingeriano, per giunta argentino, la cui elezione riscatta la memoria di Carlo Maria Martini. Habemus Papam: è il moderato Jorge Mario Bergoglio, che da arcivescovo di Buenos Aires sale al pontificato con il nome di Francesco I.

Sostenuto dallo stesso Martini al precedente Conclave, la scelta di Bergoglio mantiene da una parte il passo della transizione e dall’altra porge un segnale moderato di cambiamento nella Chiesa dilaniata da scandali, misteri di Vatileaks, abusi sessuali, intrighi di palazzo, complotti della curia, senza menzionare gli scheletri nell’armadio (da Emanuela Orlandi alla Banca Vaticana). Francesco I non sarà il pontefice progressista che qualcuno si aspettava, almeno che non ci siano sorprese lungo il pontificato, ma sarà il Gesuita rigoroso e severo che potrebbe scuotere persino le fogne dei sotterranei vaticani. I bookmaker e i sondaggi hanno fatto l’ennesima figuraccia allontanandosi dai pronostici, ma era qualche decennio che ci aspettavamo un Papa dell’America latina.

Si finisce nell’incappare nel solito luogo comune: Abbiamo un Pontefice di destra o di sinistra? Direi che abbiamo un Papa Argentino che, nella sua terra, si è distinto per aver difeso i poveri e gli emarginati. Sarà dura fargli indossare il mantello e le scarpine da principe. Quando lo hanno annunciato come Francesco I, non ho pensato per riflesso al piccolo grande uomo di Assisi, nonostante il nome scelto indichi chiaramente che Bergoglio farà sentire il profumo di povertà a gran parte della curia asservita dal potere.
Mi è venuto in mente Francisco, il pastorello portoghese che nelle campagne sperdute di Fatima vide un raggio di luce bianca. E forse è la stessa luce che si sforzerà di farci intravedere Jorge Mario Bergoglio, senza le vesti dell’alto porporato, perché dopo duemila anni sopravvive ancora una grande testimonianza. Quella di un “povero tra i poveri”, sfidante agguerrito di principi e regnanti e urlatore, in una zolla del Medio-Oriente, di un principio che non appartiene soltanto ai naufraghi della spiritualità: l’amore è l’unica via che può dare un senso alla nostra affannata esistenza.

Jorge Mario Bergoglio è giunto al Pontificato in punta di piedi proprio come potrebbero essere i cambiamenti che si prospettano. E se così fosse, il Padreterno ci ha messo del suo.

  Il Paradiso può attendere? Il Sudamerica no!

El nuevo Papa es el argentino Jorge Bergoglio

  Addio a Carlo Maria Martini, il Gesuita che avremmo voluto Papa