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Benedetto, angelo nella mia vita caduto in volo

Rosario PipoloLe penne dei miei colleghi colano inchiostro avido di notiziabilità tra ritagli di giornale, bagnati di lacrime dopo la tragedia consumata. Del fatto di cronaca con il tempo resterà solo lo spettro agghiacciante della lanterna volante, luminosa come il cuore di un giovane di periferia, il piccolo guerriero che aveva fatto della generosità l’arma per affrontare la vita.

La mia penna ha trattenuto l’inchiostro nelle ultime ventiquattro ore, affinché le lacrime non offuscassero la memoria in questa Milano, che ha visto piegarmi in due alla fermata del tram: è lì che si sono spaccati a metà i miei  40 anni.

Nella prima parte ho cercato di capire come questo angelo fosse capitato nella mia vita. Era scritto nel destino della terra sotto i piedi: i nostri nonni erano legati da un’antica amicizia, capace di trasformare una masseria in un cantiere di sogni futuri dal sapore contadino. E poi fu il tempo di vederlo crescere nel pancione della mamma; e poi arrivò la volta che lo reclutai per fare il pastorello in un presepe vivente inscenato da me e abitato da soli bambini.
Rosa, la sorella più grandicella, gli bisbigliava all’orecchio: “Mi raccomando, questa è una cosa seria. Siamo in un presepe”. Benedetto, faccia d’angelo, le diede retta. Rimase composto per tutta la rappresentazione.

Nella seconda parte dei miei 40 anni mi sono ritrovato un angelo cresciuto, assiduo mio lettore, che aveva fatto di tutto per regalare al papà il mio romanzo. Colse tante sfumature in quella lettura tanto che, alcuni mesi fa, in piena notte, gli mandai una vecchia foto scovata nel mio archivio.
Lo scatto ritraeva la sorellina Amalia tenuta per mano dalla cugina più grande, che fu l’amore della mia vita. Fu proprio il volto di Amalia la piccola – chiamata così in famiglia per distinguerla dalle omonime e dall’affettuosa capostipite nonna Amalia – ad ispirarmi la sagoma e le movenze di Giulia, il personaggio piccino del mio racconto.

Nel legame ritrovato con questo angelo abbiamo condiviso la passione per la vita e per il viaggio, opportunità di crescita e di cambiamento; le confidenze di un tempo che ormai sembrava lontano; le scorribande sulla mia vespa rossa messe a confronto con la sua moto da sogno; il sentimentalismo che ci accomunava, indicatore della traiettoria per cui l’amore davvero può fare cose grandi.

Oggi il mio angelo caduto in volo mi riporta a prendere per mano la mia piccola donna di allora, a tenerla stretta a me per condividere questo dolore comune, proiettandolo nella reciprocità del nostro amore riflesso in quello che continueremo a provare per lui p>

Ora posso dichiararlo pubblicamente, perché a 40 anni non si può essere vigliacchi con i sentimenti. L’angelo caduto in volo è mio cugino. Buon viaggio, Benedetto.

Natale e la ricerca dell’angelo di “Meraviglioso”

Clarence, l'angelo del film "La vita è meravigliosa"

Rosario PipoloE’ faticoso riconoscere gli angeli nei giorni che precedono questo Natale. E’ tutto sottotono, la crisi economica divora tutti, ma soprattutto è l’assenteismo a farla da padrone. Quell’assenteismo di essenzialità e sostanza, che in queste ore i social network vorrebbero farci recuperare con lo sharing dell’ennesima citazione pacchiana. Morale della favola: vogliamoci bene tutti e diffondiamo le ultime stelle filanti di buonismo virtuale che ci rimane.

Prima di finire dalla padella alla brace, c’è un angelo che non è rimasto invisibile. E quello cantato dai Negramaro nella cover di Modugno “Meraviglioso”. Quell’angelo ha una carta di identità. Si chiama Clarence. E’ lo stesso che salva la vita a George Bailey, protagonista di un vecchio film americano che la generazione social dovrebbe vedere: La vita è meravigliosa di Frank Capra.

Qualcuno potrebbe dire la solita americanata in bianco e nero, in cui lo spettatore è destinato a subire la banalizzazione del fantastico. Punti di vista. Che gli angeli non abbiano le ali è risaputo, ci sono accanto tutti i giorni e non li vediamo. Spesso, come cantava Lucio Dalla, “sono tra gli uomini”. Tornando a Clarence che salva Bailey dal suicidio alla vigilia di Natale, è necessario richiamare la grande lezione dell’angelo citato nella canzone di Modugno. Nessuno di noi è inutile, perché la nostra esistenza, per un motivo o un altro, è legata, anche a nostra insaputa, a quella di un altro essere umano. Clarence fa vedere a George come sarebbe stata la vita se non fosse mai nato.

Il “meraviglioso”, appunto, è quello che dovremmo riscoprire assieme al protagonista del vecchio film di Capra. Fuori dalla prigione del virtuale c’è un angelo impaziente che ci aspetta. Tocca a noi dargli un nome e ringraziarlo perché siamo venuti al mondo per godere di uno stupore. E ricordarlo a Natale sarebbe un grande passo per uscire fuori dal tunnel.

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L’angelo caduto in volo: Yara non è un cadavere!

Un lunedì qualunque, ma a Napoli. Piove in continuazione, senza sosta e la storia è la solita: non si vede un autobus neanche a pagarlo, perché questa città ha perso il pelo, ma non il vizio mentre gli ex governatori se la godono ai tropici. Va in tilt per pochi schizzi d’acqua. Le prime pagine dei giornali, esposti all’edicola all’angolo di piazza Garibaldi, lacrimano inzuppati d’acqua. Sul quotidiano il Mattino campeggia il titolo che elegge le barbarie umane e ci ricorda che Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa il 26 novembre scorso, adesso è un cadavere. Questo non è un lunedì qualunque, perché fino a sabato scorso, abbiamo sperato che fosse da qualche parte, chissà dove a sognare, a progettare per il futuro che una ragazzina della sua età dovrebbe avere sempre a portata di mano. E l’Italia tutta è stata freddata dalla notizia, nell’ultimo sabato di febbraio che scivola via, egoista e avaro di buone notizie.
No, questa volta non ci stiamo. Non la vogliamo l’ennesima telenovela dell’orrore; non vogliamo sapere il numero di coltellate e giocarceli a lotto come se fosse un numero portafortuna; non vogliamo invadere la privacy della famiglia, rinchiusa nel bunker del dolore. Piuttosto vogliamo sapere perché non abbia fine la mostruosità dell’uomo, perché gli orchi e gli assassini, che sono tornati ad abitare la nostra quotidianità, siano ancora  divi della cronaca nell’uragano mediatico. Per favore, che la giustizia continui ad indagare per scoprire i colpevoli, ma noi vogliamo restarne fuori.
Vorremmo provare a capire cosa sia il dolore per la perdita di un figlio, la caduta che ti compromette tutto il resto della vita, come il travaglio interiore del protagonista del film “La stanza del figlio” di Nanni Moretti; vorremmo provare a capire se una canzone possa farci sperare che Yara abbia messo già le ali per diventare l’angelo della porta accanto; vogliamo capire se la storiella dell’inferno, che le suorine davano in pasto ai bambini monelli, fosse una crudele invenzione di altri tempi, perché i diavoli e gli inferi sono qui, sotto i nostri piedi.
No, non ci stiamo. Se dobbiamo coabitare con l’orrore, allora è legittimo vergognarci di appartenere alla razza umana e invidiare i nostri amici a quattro zampe che erroneamente vengono chiamati bestie. A Napoli continua a piovere, senza sosta, e chissà quante ragazzine come Yara in questo preciso istante stanno subendo un oltraggio, una violenza, mentre la comunità fa finta di niente nel guscio dell’omertà.
Allora stasera rincasando, soprattutto se siamo genitori, porgiamo l’orecchio ad un invito di Giovanni XXIII: “Cari figlioli, tornando a casa, troverete i bambini: date una carezza ai vostri bambini”. Facciamolo, e non perché resti soltanto un gesto d’amore, ma perché dobbiamo proteggerli a qualsiasi costo, senza compromessi. Sono loro a restituire dignità al miserabile mondo degli adulti.