Pipolo.it

Blog e Sito di Rosario Pipolo online dal 2001

Le Voci dell’Anima di Jennifer e la riscoperta di Ruccello con Antonello De Rosa

Rosario PipoloIl Festival Le Voci dell’Anima continua a regalare suggestioni con lo spettacolo “Jennifer” di Antonello De Rosa, prodotto da Scena Teatro. L’opera d’esordio di Annibale Ruccello, fiore all’occhiello della nuova drammaturgia napoletana, finisce tra le mani dell’attore e regista salernitano. Con De Rosa questa ha tutta l’aria di una rivolta drammaturgica, ancora più marcata contro il salotto borghese del teatro di Eduardo De Filippo.

In principio la tana del travestito Jennifer era uno dei tanti bassi napoletani. In questa meravigliosa trasposizione, in cui trasuda attualità e antropologia, la regia di Antonello De Rosa la trasforma in un bunker, in cui i personaggi sono cullati e denudati come se fossero prigionieri in un ventre materno. Vittime e carnefici di soprusi sociali, i “travestiti” – liberati dal cliché di “‘o femminiello partenopeo” – consumano la tragedia, appesa al filo del telefono, sussurrando la stessa solitudine di La voce umana di Cocteau. Le voci che si alternano dall’altra parte della cornetta telefonica non sono altro che “i fantasmi” eduardiani, condannati ad essere rigurgito delle voci di dentro, quelle che mormorano nelle nostre maledette coscienze. Qui non si tratta di capire se siamo di fronte a uomini, donne o a donne imprigionate nel corpo di uomini. Qui occorre ammettere che siamo di fronte all’umanità, nell’asessualità che concima rabbia e dolore. I costumi dai colori accesi di Liana Mazza ci consegnano l’illusione di scivolare in un ballo in maschera.

Togliersi la maschera non spetta né ad Anna, vissuta con pathos dalla brava Francesca Pica, né a Jennifer, rinata nella compostezza attoriale di Antonio De Rosa e distante dalla trappola della macchietta. Spetta al pubblico il sacrosanto diritto di riconoscere la solitudine del nostro tempo. Lo spettacolo di De Rosa è “il cantico dei soli” nell’amara riflessione del divenire: la cornetta del telefono degli anni ’80 è la sorella gemella della lametta tagliente tenuta in mano da Jennifer del tempo della globalizzazione, rappresentazione del controverso universo dei social network e delle chat. Non ci guardiamo più negli occhi, abbassiamo lo sguardo su un touchscreen e diventiamo incapaci di amare.
Il controscena della donna in cornice – splendida presenza scenica di Simona Fredella – non fa soltanto da specchio all’universo femminile, ma da contrappunto a questo Magnificat della solitudine di De Rosa come se fosse la piccola ballerina di un carillon, che vorremmo non smettesse mai di danzare.

“Riso amaro” e riflessione verso il tragico finale, scialuppa di salvataggio per urlare che siamo soli, troppo soli. Lunghi applausi anche Milano, prima della tappa di Rimini di ottobre. Assistente alla regia è Gina Ferri e le ricerche musicali sono di Nicola Ferrentino.

Diario di viaggio: Salerno, io e te vicini nonostante tutto…

Rosario PipoloMentre la settimana scorsa ero alla Feltrinelli di corso Vittorio Emanuele a Salerno per presentare il mio romanzo “L’ultima neve alla masseria”, osservavo la platea. Mi aveva colpito lo sguardo occhialuto di una ragazza che prendeva appunti. Serena, la cronista del quotidiano La Città, passata ad intervistarmi, aveva riflessa negli occhi la stessa luce che luccicava nei miei il giorno in cui il mio destino si legò a Salerno.

Nell’ottobre del 1992, sul palco del Capitol, cominciai sotto la guida di Ruggero Cappuccio il lento percorso che mi avrebbe trasformato in “uomo di teatro”. Perciò ho voluto che ad accompagnarmi in questa tappa fossero il regista Antonello De Rosa e i suoi meravigliosi attori di Scena Teatro Simona Fredella, Gina Ferri, Fiorenzo Pierro e Alessandro Tedesco. In fin dei conti Antonello assomiglia a Pietro, il protagonista del mio racconto: lotta in difesa dei sogni e indossa il mantello del teatro per raccontare con la sensibilità di un antropologo gli umori del territorio.

Cara Salerno, era tempo che avevo voglia di scriverti una lettera. Affacciandomi nella vetrina di La Feltrinelli e vedendo esposte le copie del mio romanzo, ho visto il riflesso del legame con te: le coccole delle compagne d’Accademia l’attrice Gina Ferri e la regista Nadia Baldi; le mattinate sul lungomare a mandar giù copioni; le chiacchierate con Ermanno Pastore che, attraverso i suoi dipinti, mi raccontava la Salerno del secondo dopoguerra; i sorrisi degli anziani, raccolti sui balconi del centro storico, come quelli di nonno Pasquale e nonna Lucia, che nel ’45 conclusero proprio qui la loro luna di miele.

Salerno, sono tornato per ringraziarti: in tutti questi anni hai custodito gelosamente i miei sogni, gli stessi che hanno appesi al cuore i miei personaggi, da Caporà a Silvio il guardastelle. Sono tornato a riprendermeli. Milano mi ha adottato senza riuscire a trasformarmi in un manager. Tu, Salerno, mi hai reso per sempre “uomo di teatro”, cucendo per me l’abito più bello, quello fatto dei sogni che aiutano “la memoria” a camminare con le proprie gambe, urlando sottovoce l’unico bisogno che ci rende liberi in questo mondo: manifestare attraverso il viaggio l’amore per ciò che ci circonda.
E l’ultimo sogno mio brilla negli occhi limpidi di Serena e della sua generazione, in una lunga rincorsa verso il futuro che fa del “nostro Sud” la prospettiva interiore dello sguardo sui dettagli.