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Senza candeline tra le luci e le ombre della Laguna

Spegnere le candeline d’estate aveva un suo perché: dimenticare il tuo compleanno perché eri preso dalla magia vacanziera fatta di secchielli, palette e castelli di sabbia. Oggi non è così. Basta aprire la tua pagina di Facebook e una sfilza di messaggi sulla tua bacheca te lo ricordano. Quel senso di nomadismo che mi porto dietro era già segnato dagli astri. Per me non c’era la solita festicciola a casa, ma ogni anno i festeggiamenti si spostavano da un luogo ad un altro, con persone diverse. E’ lo svantaggio di chi è nato nei mesi estivi. Eppure prima di soffiare ed esprimere il desiderio di rito, avevo sempre la smania di salire sulle spalle di mio padre. Lui pensava fosse il solito capriccio, ma io mi sentivo in groppa a quel gigante che poteva aiutarmi ad acciuffare la linea di confine che divideva l’orizzonte dal mare.
La laguna di Venezia mi ha riportato a quella scena, forse perché quando condividi una serata di luglio con un anziano signore è più o meno facile tornare a sentirti bambino. Non era stata questa o quella canzone di Charles Aznavour che si era dileguata su piazza Sam Marco, piuttosto il mio desiderio irrequieto di farmi raccontare da lui i particolari di quella lunga tournèe con Edith Piaf. Un desiderio che è finito tra le luci e le ombre della laguna, in piena notte, nel silenzio più totale.
Questo netto contrasto tra il buio notturno e la luce del giorno che stentava ad arrivare mi ha riportato a quella scivolata – che mi sforzo di ricordare invano – che avevo fatto dal pancione di mia madre verso la vita. In quel momento mi sono ricordato che era il mio compleanno, sebbene attorno a me non ci fosse una torta con le candeline, ma solo il ronzio di quelle canzoni che non mi hanno fatto dubitare della generosità della vita. 

 

Mina 70, un batticuore sotto casa sua

Da adolescente soffrivo della sindrome del cavaliere romantico. Se mi piaceva una ragazza, la aspettavo sotto casa e non mi muovevo se non la vedevo uscire. L’estate scorsa sono stato a Lugano per lavoro. La conferenza stampa era fissata ad ora di pranzo ed io sono arrivato in Svizzera in largo anticipo. Ho iniziato a girovagare, è stato più forte di me, volevo incontrarLa. Sono finito da tutt’altra parte, ma poi per fortuna ho trovato l’indizio che mi ha portato sotto casa sua. C’era un piccola bottega di alimentari poco distante: ho acquistato una bottiglia d’acqua, sperando che passasse a fare la spesa. Ho sostato all’edicola e mi sono intrattenuto a parlare col tizio. Di lei neanche l’ombra. Dopo una decina di minuti, avevo oltrepassato il cancello ed ero nel condominio dove abitava. Scrutavo balcone dopo balcone e immaginavo che lei uscisse fuori a stendere il bucato. Mina era una cantante, mica una casalinga? Si era fatto tardi, sono andato via. Il giorno dopo, di domenica pomeriggio, ci sono tornato prima di prendere il treno. Ho provato a citofonare al portinaio, niente da fare. La discrezione svizzera non si smentisce mai. Mi sono steso a terra, lanciando lo sguardo verso il cielo. E’ spuntato quel timido batticuore che mi assaliva da adolescente. Lei quel pomeriggio non era uscita ed io c’ero rimasto male. Mi consolavo perché dopo tutto lei era a pochi passi da me, magari nella sua cameretta che impazziva con la versione di latino.  E Mina Mazzini dov’era? Forse dietro di me e non me ne sono accorto. Questa paginetta del mio diario, signora Mazzini, è solo un pretesto per farle gli auguri di compleanno per i suoi 70 anni. Ognuno ha “la sua Mina” , e la mia non è di certo né  quella di Le mille bolle blu né quella di Brava. Mi piace portarmi addosso la voce graffiante di Il corvo, la voce folgorante di Rose su rose, la voce che rialza la speranza di Amornero. Le lascio una carezza perchè la sua voce mi ha tenuto compagnia in certe sere nere, desolate, quando rincasavo tardi e non c’era nessuno ad aspettarmi.