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Cartolina da Santiago del Cile: come un esiliato tra gli spettri dell’11 settembre

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rosario_pipolo_blog_2È ancora buio. Sulle spalle ho la stanchezza della traversata notturna della cordigliera delle Ande. Ho perso il conto dei giorni in viaggio. Butto la coda dell’occhio sull’orologio: è il 1 dicembre. Sono arrivato a Santiago del Cile.
Cammino lungo l’avenida Libertador ‘O Higgins a passo sostenuto, prima che il sole sorga nella capitale del Paese che l’11 settembre 1973 finì in mano ai golpisti militari. La mia alba è davanti il palazzo della Moneda. Rivedo la sommossa, l’edificio in fiamme, rivivo la fine del Cile di Salvador Allende. C’è un poliziotto che marcia su e giù con quell’aria insidiosa di “pinochetismo”, quel solco di nostalgia seppellita.

Comincia un’altra tappa del mio viaggio della memoria, l’ho atteso a lungo, prima che vedessi al Festival del Cinema di Venezia Garage Olimpo di Marco Bechis; prima ancora di vederci chiaro sull’ascesa al potere dell’orco in divisa Augusto Pinochet, appoggiato dall’allegra brigata occidentale; prima ancora di cercare documenti e dossier sul genocidio dei desaparecidos, di cui tutti siamo stati complici, chi più, chi meno.

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Il mio è un rancore storico distillato nel distacco dei cileni, che evitano di rispondere sull’argomento senza prendersi la briga di manifestare una posizione netta. Per quanti l’11 settembre è sparito nel tunnel dell’indifferenza?
I cileni in esilio conosciuti nella mia vita, incluso il gruppo musicale degli Intillimani intervistati a Milano più di dieci anni fa, mi hanno dimostrato il contrario.

Una fioraia mi regala un garofano bianco ed io la ringrazio in uno spagnolo maccheronico: “Sono un italiano con lo stato d’animo di un cileno in esilio che fa ritorno a casa”. Sì, mi sento così lungo i viali del Cimitero Generale di Santiago con lo sguardo abbassato sulla zolla di deserto di croci senza nomi e fosse scavate nella terra prosciugata dalle lacrime di mamme, figli, fidanzate che non videro tornare più i propri cari, “scomparsi”, in uno dei genocidi sibilanti più crudeli del XX secolo.

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Poi il garofano bianco finisce sulla tomba di Salvador Allende (1908-1973), nel silenzio di un venerdì mattina e tra i pensieri di una profonda riflessione che si chiude in una conversazione tra me e   i titolari della libreria de Luis Rivano, in cui trovo per il mio archivio due pubblicazioni degli anni ’60 dei discorsi del presidente cileno ammazzato dal potere militare. Volevo sentire il profumo della carta prima della dittatura, scorrere l’inchiostro delle parole che sognavano un Cile diverso.

È un’ascia che fa  pezzetti i miei 40 anni l’impatto emotivo con il Museo della Memoria dei Diritti Umani. Un viaggio nel viaggio tra testimonianze, filmanti, documenti, custodite oggi nell’unica riserva della memoria cilena e degli orrori di quella dittatura.

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Continuo a sentirmi un cileno in esilio che ha fatto ritorno a casa, ma senza aver trovato le persone lasciate. Mi perdo tra le vie di Santiago del Cile, ascoltando le canzoni di Los Prisoneros, ostili al regime di Pinochet, il cui album Pateando Piedras resterà la colonna sonora di questa tappa indimenticabile.

Di ritorno da Santiago, siamo fermi in piena notte tra le Ande per i controlli alla frontiera argentina. Azzanno un panino, fa freddino, punto gli occhi al cielo. Le stelle stanno a guardare: sono lo sguardo di coloro a cui è stata spezzata la vita, facendoci credere che fossero dispersi. Ci abbiamo voluto credere. Sono i rimorsi della nostra coscienza.

[Il 31 gennaio 2017 questo diario di viaggio scritto in inglese è stato pubblicato dal quotidiano indipendente cilento The Santiago Times.]

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Dov’eri quel maledetto 11 settembre di dieci anni fa?

Caspita, sto pensando a dov’ero quel maledetto 11 settembre di dieci anni fa. E tu? Dalla parrucchiera; col culo incollato alla scrivania dell’ufficio; per strada illudendoti che fosse un giorno qualunque; a telefono afflitto dalle solite cazzate; a sbuffare sul divano perché ti toccava fare in fretta, se volevi recuperare l’interrogazione di latino del giorno dopo; in coda all’ufficio postale per inviare un pacco posta-celere ai cugini italo-americani; a litigare col tuo ragazzo; a dare la poppata a tuo figlio.
Dove c**** eri quel maledetto 11 settembre di dieci anni fa? Me lo vuoi dire sì o no?
Io a Firenze, rinchiuso in una sala cinematografica, a recuperare una vecchia pellicola in occasione di un convegno a cui avevo relazionato. Sono uscito tra il primo e il secondo tempo. Pensavo al discorso anti-americano del Nobel Harold Pinter pronunciato il giorno prima. Aveva imbarazzato tutti gli accademici. Mi sono girato, ho buttato l’occhio alla tv e ho visto un aereo schiantarsi nelle Torri Gemelle. Il solito film di fantascienza! Sono rientrato in sala e ho continuato come nulla fosse successo.
Al termine della proiezione, mi sono detto: che c**** ho fatto? Questo non è uno scherzo. E dopo dieci anni mi interrogo: chissà se ci fosse stato Twitter, come sarebbe andata. Chissà se l’uragano social avrebbe raddrizzato il marasma confusionario mediatico, svoltando oltre il cine-documentario alla Micheal Moore.
Gli dei hanno giocato sporco e nessuno ci ha fatto caso. A casa di mio zio Mimmo – che dopo dieci anni non c’è più – ho trovato un vecchio libro sul Cile di Allende. E mi sono ricordato dell’11 settembre, quello del ’73, in cui ero lì beato nella culla, mentre a Santiago del Cile prendeva il potere Augusto Pinochet. I cileni vissero un dolore e un dramma che ci hanno costretto a dimenticare. Forse è ora che ce ne ricordiamo in occasione di quest’altro anniversario.
Dove c**** sarai il prossimo 11 settembre? Io voglio starmene da solo, da qualche parte, a vagabondare come un eremita che si ostina a non credere che “tutto cambia per rimanere come prima”.

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L’altro 11 settembre, la fine del Cile di Allende

L’11 settembre è una data in rosso nei nostri diari: nel 2001 l’organizzazione terroristica di Al-Quaida fa schiantare due aerei civili sul World Trade Center, le Torri Gemelle di New York. Da allora ogni anno in questo giorno tutto il mondo commemora le vittime di quella tragedia e il dolore degli Stati Uniti.

C’è l’altro 11 settembre che abbiamo dimenticato: 35 anni fa l’esercito cileno rovescia con un golpe a Santiago del Cile il governo di Salvador Allende. Con l’appoggio diplomatico degli USA, sale al potere il dittatore Augusto Pinochet e comincia per i cileni un lungo periodo di buio, fatto di delitti, atrocità e torture (i desaparecidos). Come fa un capitolo di storia così drammatico a sfuggirci? Perchè i media di mezzo mondo piangono il lutto degli Americani e non anche quello dei Cileni?

Riflettiamo con l’episodio diretto da Kean Loach nel film corale del 2002 dal titolo “11′ 09” 01″. Uno scrittore cileno scrive agli americani, concludendo così la lettera: “Oggi, 11 settembre, noi ricorderemo i vostri morti, ma voi, per favore, ricordate anche i nostri”. E’ solo così che gli angeli torneranno a volare, lasciando alla storia un saggio “Mea culpa”.

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