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Lina Wertmüller, travolto da un insolito destino alla Reggia di Caserta

Travolto da un insolito destino alla Reggia di Caserta. Una mattinata insieme a Lina Wertmüller durante le riprese di Ferdinando e Carolina. Io, lo sbarbatello non ancora laureato, penna e taccuino alla mano, inviato dal caporedattore di un quotidiano nazionale e papà che mi ripeteva: “Quando mi chiedono quale mestiere hai iniziato a fare, cosa rispondo?”.

QUESTA VOLTA PARLIAMO D’UOMINI

Travolto da un insolito destino nell’azzurro del mare d’agosto che non c’era. Per me bastava ci fosse lei, dietro la macchina da presa, lo scalone della Reggia di Caserta che mi scivolava addosso. La Wertmüller abbassò gli occhialini e, prima del prossimo ciak, mi disse: Benvenuto“. Forse sarei stato scontato, se per attirare la sua attenzione, avessi esordito citando il titolo del suo film Questa volta parliamo d’uomini.
Macché, proprio con lei che era il mio mito di emancipazione femminile, lontana da stizzinosi slogan e assordanti megafoni riposti in soffitta dalla generazione dei miei genitori.

RIDATEMI MIMI’ METALLURGICO

Il culo gigante in Mimì Metallurgico ferito nell’onore era stato a 12 anni una sorta di luna gigante felliniana: nonno Pasquale me lo aveva fatto osservare senza alcuna censura. Prima di quel set mi ero ritrovato rinchiuso in camerino con Mariangela Melato a rovistare testimonianze di Film d’amore e d’anarchia, anni dopo sulla laguna di Venezia con Giancarlo Giannini a sbucciare noccioline cinefile tra Pasqualino Settebellezze e La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia, appiccicato ad una cornetta telefonica della SIP con Paolo Villaggio dell’altra parte per un memento colorito da Io speriamo che me la cavo.

STRISCIONE DI PROTESTA CONTRO L’INFAME MASCHILISMO

Prima che le femministe di Sinistra si facessero spennare come galline nei salotti borghesi, Lina Wertmüller aveva mitragliato con la sua macchina da presa l’infame maschilismo accampato nel cinema italiano dal Secondo Dopoguerra in poi.
Quanti tra i fetenti nascosti sotto le sagome cartonate da benpensanti si sono mai accorti che i film della Wertmüller sono stati tra gli striscioni di protesta più roboanti Italia?
Intanto di quello shooting di Ferdinando e Carolina mi torna in mente l’armonia tra tutti gli addetti ai lavori, la postura della Wertmüller nei confronti dei suoi attori: autorevole e garbata, severa e con un sorriso sornione sempre per tutti. Da quel reportage mi portai via l’esperienza del set come un gioco di costruzioni, in cui l’atto creativo era condivisione e l’ultimo tassello fuori posto poteva fare la differenza e stimolare chiunque partecipasse alla realizzazione del film.

Lina Wertmüller ha fatto ridere a crepapelle persino gli ingessati a stelle e strisce dell’Academy. Datele retta, basta con questo “maschilista” Oscar.
Da oggi chiamiamola Anna, come da lei suggerito, la statuetta più ambita del mondo.
Evviva Lina, fantasista e anticonformista, autentica rivoluzionaria e avanguardista, che ci lascia in balia della pochezza del nostro tempo.

Storia di un backstage “a prova di futuro”

Chi viene da lunghi anni di esperienze lavorative con le troupe video sa bene che, nonostante la grande illusione dell’avvento digitale, per fabbricare emozioni oltre uno schermo non basta una videocamera e qualche gioco di prestigio in fase di montaggio.

Negli anni di lavoro al Festival del Cinema di Venezia, quando il girato giaceva su metri e metri di nastro BETA, imparai sulla mia pelle che il backstage era il recinto in cui già il fertilizzante umano svelava l’orma del primo passo per raggiungere l’obiettivo comune. Erano le singole personalità che facevano il team, il fidarsi l’uno della professionalità dell’altro nel rispetto dei ruoli della troupe, l’alchimia di essere noi stessi per la buona riuscita di ciò che avremmo realizzato.

Se eri capace di far venire fuori te stesso durante il backstage, anche condividendo con gli altri i piccoli ritagli della tua quotidianità o del tuo privato, potevi tirare il meglio dal tuo interlocutore durante l’intervista. Chiunque sia il tuo commitente – una casa di produzione, un editore, un brand – non c’è migliore ricompensa della libertà creativa. E’ un atto di conquista da parte di chi la riceve e, al tempo stesso, un atto di fiducia da parte di chi la concede.

Le tecnologie si evolvono, ma la condivisione umana del backstage e dello shooting restano secondo me ancora un bel banco di prova per chi vuole farlo diventare un mestiere.

 

Inventare è mischiare cervello e materiali. Più cervello usi, meno materiali ti servono.
(C. F. Kettering)