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Cartolina da Belgrado

Belgrado by night

Rosario PipoloBelgrado guarda avanti. Niente pregiudizi e Tito resta solo un ricordo, nel rimpianto delle vecchie generazioni. La tomba del didattore icona della ex Jugoslavia è lontana dal centro, alle porte di un parco semi abbandonato. Vi arrivo dopo un’ora di cammino e scopro che c’è un biglietto da pagare. Rimprovero la guardia: “Non vi vergognate? Cosa direbbe il vecchio Tito se sapesse che avete trasformato la sua tomba in un’attrazione tustica?”. Mi fanno entrare. Il centro della capitale della Serbia è in pieno movimento a qualsiasi ora del giorno e le bombe della Nato sembrano roba di altri tempi. Passeggiare di sera sulle rive del Danubio è rilassante. Meglio mettere da parte i pregiudizi in materia di “sicurezza” e non fare figuracce: “L’anno scorso siamo stati a Milano e di notte è davvero pericolosa”, replica una giovane coppia serba. Belgrado ha l’aria di capitale sempre, anche quando ti mimetizzi talmente da dimenticare che sei un viaggiatore di passaggio. Di Emir Kusturica si parla poco, forse per i suoi giudizi audaci su fatti e luoghi. Mi sono portato come souvenir quasi tutti gli album di Goran Bregovic con una curiosa scoperta: non sapevo che avesse fatto parte dei Bijelo Dugme, il gruppo rock di punta dell’Jugoslavia che si è ispirato ai Led Zeppelin e ai Black Sabbath. Gli imprevisti capitano quando meno te lo aspetti, anche alla fine del viaggio. Sul treno del ritorno che mi riportava verso l’Italia, ero in bagno (mi scappava la pipì!) proprio mentre hanno fatto i controlli doganali. La polizia serba mi ha scambiato per un profugo italiano e non mi riconosceva dal passaporto. Saranno stati i cd di Bregovic a farli cambiare idea? La prossima volta è meglio farsela sotto!

Cartolina da Sarajevo

Sarajevo

Rosario PipoloHo fatto colazione in compagnia di un giovane serbo. Lui parlava qualche briciola di spagnolo. Ci capivamo, ma poi è finita a paccate sulla spalla come se ci conoscessimo da una vita, tra capuccini e una scorpacciata di burek. Non succede tutto per caso: lavorava come giornalista presso un’emittente televisiva serba.  E’ iniziato così il mio viaggio a Sarajevo, la città flagellata da una sporca guerra raccontata dai nostri media  come un videogioco. Bisogna entrare nel cuore della capitale della Bosnia-Erzegovina per non fare a meno di pensare che il conflitto  serbo-bosniaco abbia lasciato i suoi segni. In centro è tutto normale, Sarajevo è meravigliosa perché è vitale dalla mattina a notte fonda, e sa come essere cordiale con gli stranieri. Il quartiere ottomano di Bascarsija ti porta altrove, verso Oriente e non ti aspetti una Turchia in miniatura accanto agli edifici da cartolina. Basta fare fare pochi passi fuori e lo sguardo si posa sulle lapidi gelide dei cimiteri che raccolgono le salme delle vittime. Accompagnato da una jeep, mi sono spinto nei pressi dell’aereoporto dove c’era quel tunnel costruito per mettere in contatto la gente con la città assediata. Adesso c’è un museo ed è emozionante. La domenica pomeriggio ho passeggiato per quattro ore lungo il fiume Miljacka e mi soffermavo sui visi delle persone. Mi sembrava di essere tornato a Belfast, in Irlanda del Nord, tra le facce giovani e anziane che nascondevano piccole cicatrici. Sarajevo sa come sorprenderti. Prima di partire, Alen mi ha scorazzato in città. Gli ho chiesto una semplice indicazione, ma poi ho attaccato bottone. Mi ha raccontato della sua visita ad amici a Seregno, a pochi passi da Milano, e del suo Ramadan. Mi ha mostrato la foto della sua deliziosa bimba, manifestando il desiderio di rivedere musulmani, cattolici e ortodossi vivere in pace. A Sarajevo c’era un tramonto rosso quando ci siamo salutati con un forte abbraccio. Mentre il mio autobus si allontanava,  ho capito che la voglia di cambiare può cancellare le atrocità del passato e tenerci alla larga dalla nostalgia o dai sensi di colpa.

Cartolina da Podgorica e Cetinje

Sulla strada da Podgorica a Cetinje

Rosario PipoloRaggiungere il Montenegro dall’Albania è un’impresa. Arrivati a Shkodra, c’è la rituale contrattazione con i tassisti – la categoria non mi è simpatica! – per farti portare oltre il confine.  Mantenendo sempre lo spirito low cost, ho ottenuto un viaggio a Podgorica per 30 euro (75 km). Eravamo io ed un altro sventurato della Puglia e così abbiamo diviso le spese! La capitale del Montenegro sembra un paesotto di provincia. Non c’è davvero niente, a parte un ponte costruito alcuni anni fa. L’unico vantaggio è l’Euro e ti risparmi il cambio. Il centro? Nulla. Dopo qualche ora ti innervosisci perchè ti sembra di essere finito “in culo al mondo”. La sola via di salvezza è fare una corsa “mordi e fuggi” a Cetinje (in italiano Cettigne), capitale del Montenegro fino alla Prima Guerra Mondiale. In un’oretta di autobus siete lì e il percorso è interessante per la vista panoramica tra le montagne montenegrine. Tra la corte del Re Nicola e un vecchio monastero, che vanta una mano di San Giovanni Battista e un pezzo della Santa Croce (?), ho trascorso un piacevole pomeriggio. Nella piazza centrale speravo di ascoltare musica locale ed invece c’era il rock degli anni ’60 tra Beatles e Rolling Stones. L’appassionato era un uomo grosso di mezzà eta che vendeva souvenir e in cambio ti omaggiava dei suoi ricordi made in UK. Come è piccolo il mondo! Ho assaggiato una buona crepe alla nutella e mi sono perso in una passeggiata a piedi tra le montagne. C’è sempre un angelo caduto in volo: una coppia di studenti mi ha riportato sulla retta via. Purtroppo, anche Cetinje ha le sue pecche. La stazione degli autobus non ha neanche un cartello con gli orari e sembra una fermata della diligenza in un vecchio western di John Ford. Occorre aspettare, avere pazienza e sperare che l’autobus arrivi. Da questo punto di vista i Balcani mi hanno messo a dura prova…

Cartolina da Tirana

Tirana

Rosario PipoloA Tirana essere italiano è una buona raccomandazione perché con noi gli albanesi sono davvero affettuosi, a parte i tassisti che tentano di spillarti quattrini in ogni modo. Alloggiavo in un edificio fatiscente a pochi passi dalla piazza centrale, ma in compenso l’appartamento e  i vicini erano deliziosi: c’è chi mi ha fatto scroccare il collegamento ad Internet o il salumiere sotto casa che si è ricordato della massima “dare da bere agli assetati se non hanno cambiato ancora l’euro” e mi ha regalato una bottiglia d’acqua fresca, leggermente frizzante. Gli italiani vanno nella capitale dell’Albania per lavoro e sono rari quelli come me che decidono di fermarsi per turismo. Di giorno non c’è tanto da fare, ma la sera la città cambia pelle e diventa la culla della nightlife albanese: le decine di locali che pullulano nella zona del block (chiamata così perché ai tempi del regime non era accessibile) ravvivano l’atmosfera in tanti modi. Gli incontri non capitano mai per caso: ero indeciso se portarmi come souvenir una statuetta di artigianato locale. Un signore mi ha spiegato che raffigurava Marigot, la donna che ha cucito la prima bandiera dell’Albania dopo l’indipendenza. Siamo diventati amici e così Albano – ha precisato che il suo nome non aveva niente a che fare con quello del  cantante italiano – mi ha offerto un cappuccino. Mi ha raccontato i suoi 4 anni in Italia a Bassano del Grappa, donandomi tante pagine dal diario intimo della vita del suo Paese. E’ stato quell’incontro il souvenir più emozionante da portarmi via per buttar giù i soliti luoghi comuni. Gli albanesi hanno tanta voglia di raccontarsi e condividere con noi i sogni delle nuove generazioni!

Cartolina da Skopje

Skopje, capitale della Macedonia

Rosario PipoloArrivato alla stazione degli autobus di Skopje, mi sono chiesto: “Dove caspita sono finito?”. Sarà l’effetto del sole cocente, ma la città non ha per niente l’aria di essere la capitale della Macedonia. Quando ti lasci alle spalle la piazza principale e il suo centro commerciale nuovo di zecca, arrivi nel quartiere turco e sospiri: “Non male… E se avessi sbagliato strada e fossi ritornato ad Istanbul?”. Il cazzeggio è una buona alternativa e condividere un sacchetto di noccioline con due giovani macedoni è rassicurante: lui, 25 anni, è disoccupato e deve sorbirsi la stessa filastrocca del padre nostalgico della ex Jugoslavia; lei, 20 anni, studia come fashion designer e sogna almeno una volta di venire a Milano. Laggiù la vita scorre tranquilla e me lo ripetono tutti.  Dove vanno gli skopjni (si dice così?) a refrigerarsi quando in centro ci sono quasi 40 gradi? Al lago Matka, raggiungibile comodamente in auto, ma in maniera folcloristica con un autobus (e pensare che mi lamentavo di quelli greci!). Quella pozzanghera d’acqua sembra un’oasi in mezzo al deserto, anche se è tutta artificiale. Niente bagno, niente tintarella. Al ritorno però non faccio cazzate e mi improvviso autostoppista, più sicuro del servizio pubblico. Un signore e il suo bambino mi hanno accompagnato per una manciata di chilometri. Peccato che il pargolo fosse pestifero e si è divertito a mordermi le orecchie per tutto il tragitto. Ecco perchè nelle foto le ho tutte arrossate!