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Diario di viaggio: Parigi non può essere più la stessa con un Ground Zero

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Bataclan, 6 gennaio 2017 (In memoria di Valeria Solesin e di tutte le vittime del 13.11.2015)

rosario_pipolo_blog_2Nel 1996 arrivai la prima volta a Parigi su un treno della SNFC francese. In vent’anni il mio via vai ha sigillato un legame continuativo con la capitale francese. Ci sono ritornato on the road con Ouibus, sentendomi per metà francese appena vi ho messo piede con le dovute distanze dal solito tam tam dell’Epifania e dello slogan deplorevole di “La Befana tutte le feste porta via”.

I controlli alla frontiera sono certosini, l’aria è tesa, vanno e vengono passaporti. Anche io, che sono italiano, sono sottoposto ad un mini interrogatorio, mi sento straniero in direzione di una Francia che invece mi appartiene.
La mia alba è a Place de la Bastille, il luogo in cui Parigi diede all’Europa la più grande lezione di civiltà, ghigliottinando una monarchia incapace, facendo soffiare sul vecchio continente i venti di Liberté, Égalité, Fraternité.

A pochi passi da lì il primo Ground Zero parigino, la vecchia redazione di Charlie Hebdo messa a ferro e fuoco dal terrorismo che il 7 gennaio 2015 spezzò la matita della libertà d’espressione. Mi incammino verso il numero 50 di Boulevard Voltaire. Davanti il Bataclan, la sala concerto che subì uno degli attacchi terroristici del 13 novembre 2015, resto pietrificato ripensando agli angeli che vi morirono, inclusa la nostra connazionale Valeria Solesin. Qui c’è la seconda fossa del Ground Zero Parisien, oltre la gelida lapide di marmo.

Entrando in Place de la Republique si scorge il memoriale corner con i fiori dedicato ai morti del terrorismo infame. Parigi ha smesso di essere acquerellata tra Torre Eiffel, Arco di Trionfo, Louvre – triangolo sopravvissuto soltanto nell’immaginario del turismo di massa distratto – e perde i suoi simboli da cartolina.
Il Ground Zero spezzettato sul cuore ferito della Ville Lumière scatena in ciascuno un indomabile sospetto: chiunque, a pochi passi da noi, potrebbe essere il terrorista del prossimo turno: l’uomo barbuto che legge il giornale; la donna minuta col burqa al forno per la solita baguette; il ragazzo che bivacca sulla panchina.

Questo “sospetto” mette a repentaglio il Nous somme unis, facendo correre ai francesi il rischio di risvegliarsi gli uni contro gli altri, come accenna tra le righe il meraviglioso film Tour De France diretto da Rachid Djaïdani, visto in anteprima insieme a Depardieu all’ultimo Festival France Odeon di Firenze.

Chi voleva ammirare Parigi dall’alto è andato sulla Torre Eiffel, senza rendersi conto che la foschia in una domenica di gennaio ne avrebbe impedito la vista.
Parigi non si lascia più guardare dall’alto, ma dal di dentro. Questo può avvenire soltanto dal basso e con lo sguardo diritto verso un Ground Zero che ci appartiene.

Pray for Paris, nel silenzio di Parigi il Ground Zero dell’Europa ferita

Rosario PipoloAvremmo dovuto sentire il tifo acceso parigino allo Stade de France per l’amichevole Francia-Germania. A Saint-Denise Parigi ha sentito lo stesso boato del massacro terroristico di Monaco di Baviera nel 1972.

Avremmo dovuto ascoltare fino all’ultimo arpeggio le chitarre graffianti degli Eagles of Death Metal. Parigi invece ha assistito incredula alla carneficina a freddo di un pubblico da concerto tra le mura del Bataclan.

Avremmo dovuto festeggiare senza troppi clamori il nostro anniversario al ristorante Petite Cambodge. Ci hanno servito invece colpi di kalashnikov e la Torre Eiffel non ci ha aspettati tutta illuminata come la prima volta per il romantico bacio di mezzanotte.

Il terrorismo si è preso beffa di tutte le misure di sicurezza dopo la prima avvisaglia dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo dello scorso gennaio. I terroristi del 13 novembre non hanno colpito le istituzioni, ma direttamente la libertà di tutta la comunità nei luoghi che rappresentano la quotidianità di ciascuno: lo spalto di uno stadio, la sala di un concerto, un ristorante.
E’ uno dei momenti più bui della Quinta Repubblica Francese e il più oscuro della traballante presidenza di François Hollande.

L’ISIS ha scavato con un bagno di sangue il Ground Zero europeo nel cuore di Parigi. L’Europa abbassa il capo ferita e nelle ultime 50 ore ha preso coscienza di avere il suo 11 settembre. La paura ha abbassato i livelli di sicurezza emotiva, non la sentiamo più neanche nei nostri bunker a forma di casa. Il pericolo lo corriamo tutti.

Lo sciacallaggio mediatico ha mostrato che in Italia basta poco per essere sconci: il titolo di un quotidiano fuori posto, la bega politica nel cortiletto televisivo o l’intervista insensata.
I social network
, che in questo weekend infernale hanno dimostrato per l’ennesima volta di essere bacino spontaeno di pubblica utilità, hanno supportato le famiglie delle vittime e dei dispersi attraverso l’hashtag su Twitter #RechercheParis.

Parigi non sarà più la stessa così come tutta l’Europa. Non è più tempo di crociate, di guerre mondiali e forse neanche delle guerre intelligenti, spiegate negli anni ’90 da Rossella Savarese in un saggio su cui mi sono formato. E’ tempo di affrontare con coscienza e senza l’istinto vendicativo o guerrafondaio la sordità dell’odio, quello che Kassovitz spiffera nelle sequenze dell’indimenticabile film La Haine.

In queste ore di fermo emotivo e silenzio si legittimano le riflessioni: i ricordi personali, che legano ciascuno di noi alla Parigi ferita, torneranno ad illuminare la Torre Eiffel, al buio prima della mezzanotte nelle ore del terrore sulla coda del 13 novembre.
Restituiremo a Parigi, attraverso la gratitudine e la riconoscenza di viaggiatori, anima e serenità, recuperati dal perimetro di un selfie, di uno scatto qualunque, di un momento speciale condiviso.

Vogliamo che la Torre Eiffel non sia ricordata come un ammasso di ferraglia spettrale, perché Parigi non resti un lager, ma una terrazza da cui guardare il futuro della memoria di essere europei nella gioia e nel dolore.