Domenica pomeriggio. Mi perdo nel parmense sotto un sole cocente. 38 gradi e per giunta in bici, alla scoperta di un’altra zolla di terra della regione emiliana. Vengo da Sabbioneta e il traguardo è Parma. Lo stomaco brontola, ma trovare un posto per mangiare sembrava impossibile. E poi mettiamola così. Avendo sforato l’orario del pranzo accademico, chi mi farà mettere qualcosa sotto i denti alle tre del pomeriggio? Mi rassegno a filar diritto verso Parma a stomaco vuoto, quando avvisto un’insegna con una “R” gigante. Sta per Romani, il ristorante di Vicomero di Torrile, e una signora me lo conferma: “Provi lì, hanno la cucina aperta fino a tardi”.
Dopo quindici chilometri sotto il sol leone, me lo merito il pranzetto succulento. Dopo una passerella di affettati e torta fritta (al di là della sponda lombarda del Po è il fratello gemello dello gnocco fritto), ecco che spunta il gestore. Fabio Romani, mio coetano, è una persona simpatica e a modo. Mi racconta della sua Correggio e di come il papà mise in piedi l’attività. Quando azzanno i miei tortelli alle erbette, Fabio mi guarda con orgoglio, come per dire “ne è valsa la pena arrivare fin qui”. Insiste per farmi assaggiare la punta con patate al forno. Tra una forchettata e l’altra, scopro che il ristoratore di Correggio è un appassionato di dolci. E che dolci! Tira fuori dal cilindro magico il jolly: una torta di mele ricoperta di amaretto.
Dopo tutto quel ben di Dio e senza alcuna delusione dopo l’arrivo del conto (dall’antipasto al caffè, 33€), penso di non farcela a pedalare. Prima di andar via, Fabio mi infila due bottigliette d’acqua in una borsa di cuoio della mia bici. E poi dicono che gli emiliani sono scostanti! Sono i soliti pregiudizi che i viaggiatori dell’ultima ora come me amano smentire. Il gesto di Fabio mi ricorda quello del giorno prima di Ivana di Rivarolo del Re, ai confini tra il mantovano e il cremonese. La signora mi avevo guidato tra le campagne, offrendomi poi una bottiglia d’acqua fredda a casa sua.
Dobbiamo tornare a vivere “il tragitto” e non la “meta” del viaggio, perché solo così notiamo i dettagli che sfuggono al turista distratto che corre con i paraocchi alla velocità della luce. E la mia bici “Tognazzi” – battezzata così a Cremona tre anni fa – mi ha fatto assaggiare il retrogusto dell’ospitalità, lì in un angolo del parmense.