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Caro Babbo Natale, mi regali Dudù?

Rosario Pipolo“Trottolino amoroso dudu dadadà”, cantarono Amedeo Minghi e Mietta nel bel mezzo degli anni ’80. E noi italiani, storditi dal benessere fasullo del decennio del riflusso, non ci accorgemmo che in quella zuccherosa canzoncina in stile sanremese si nascondeva la vera star di questo Natale 2013: Dudù.

Dudù, il cucciolo di casa Berlusconi, ha spento la prima candelina. Rotocalchi e social network non fanno altro che parlar del cane di Arcore, innescando la probabile incazzatura degli animalisti che dicono basta ai “cani da salotto” e vorrebbero le copertine dedicate agli anonimi randagi.

Dudù lo conosco in tanti e persino Emilio Fede ci mette la mano sul fuoco. “Lo conosco ed è molto simpatico”, ha dichiarato l’ex direttore del TG4 al Corriere della Sera. E chi non lo conosce, farebbe a cazzotti per stringergli la zampa, adesso che è una star tra cinema e tv. Maurizio Crozza lo ha inserito nel cortometraggio Berlusconi-Padrino che sta facendo crepare il popolo social nei giorni prenatalizi.

Dudù, chi era costui? Il primo pet a quattro zampe ad avere una frequentatissima pagina Facebook tutta per lui. Ahimé è stata chiusa e non sapremo mai quando arriverà la prossima scorreggia “profumata” del cane che fa più rumor nel Belpaese cialtrone.

Altro che le urla dei Forconi. Altro che legge di stabilità, Trise, rimonta dei renziani e la nuova fogna del calcio scommesse. Dudù sa come far parlare di sé e potrebbe essere la mascotte della partitocrazia che vuole tornare protagonista della Terza Repubblica con la stessa deplorevole logica degli ultimi vent’anni: scambiare la politica per una serata goliardica in compagnia, tra tette, un bicchiere di vino e quattro canzonette.

“Trottolino amoroso dudu dadadà”, cantarono Amedeo Minghi e Mietta nel bel mezzo degli anni ’80. E adesso come replichiamo a chi ha scritto “Caro Babbo Natale, mi regali Dudù”?

Zanzibar, anche i conigli vanno in Paradiso!

Nove anni fa mio padre si prese una bella fregatura: gli dissero che quel leporide era nano, invece lui è cresciuto a dimensione normale. Mia sorella sognava un cane e papà  le portò un coniglio. Io gli diedi soltanto il nome, Zanzibar, perché ai tempi volevo fuggire lontano, lì in quell’arcipelago dell’Oceano Indiano. Pure mia madre, che non voleva avere animaletti tra i piedi, si rassegnò e si affezionò a lui. La sua padroncina andò via di casa qualche anno dopo e quel batuffolo con gli occhi azzurri restò a casa nostra. Una bella consolazione per i miei. Avevano perso in un colpo due figli – c’eravamo appena trasferiti a Milano- ma in compenso avevano qualcuno da allevare. Lo ammetto, io sono colui che non si concede facilmente agli animali, ma quel dì che portai Zanzibar dal veterinario per il controllo annuale, mi convinsi di una cosa. I conigli non sono stupidi e sciocchi e possono essere addomesticati. Tutte le volte che tornavo a casa dopo mesi di assenza, Zanzibar era lì che mi aspettava, mi osservava, mentre io lo rimproveravo: “Lasciami perdere, con me non attacchi”. Nel suo atteggiamento di fedeltà, assomigliava più ad un cane che a un leporide. Per un destino beffardo, ho trascorso con lui l’ultima notte senza saperlo. La mattina mi sono svegliato all’alba per ripartire, senza accorgermi che quel coniglio non era più chiassoso perchè era malato. Zanzibar aveva un sogno: assomigliare ad un cagnolino per rendere felice mia sorella. C’è riuscito, ma con la sua fierezza ha abbattuto il clichè del “coniglio fifone”, evitando quella dolorosa puntura che mette fine a tutto. E’ andato da solo incontro al suo destino, quello che spetta ad ogni essere umano.Gli animali non hanno un’anima? Zanzibar mi ha insegnato il contrario, adesso che girando per Milano, lo sento che mi sta dietro passo dopo passo. Nei suoi nove anni di vita c’è qualcosa di ciò che sono stato. Perciò avrei dovuto dargli più carezze, per traghettare il prima possibile la mia anima dalle delusioni dell’età adulta alla beatitudine dell’infanzia.

Trenitalia, sospeso il diveto ai cani di grossa taglia!

E’ vero che non sono un amante degli amici a quattro zampe. Chi mi conosce sa che non sono tipo da smancerie, né nascondo l’imbarazzo di quanto li trovo al mio fianco nel vagone di un treno. Tuttavia, sono contento che Trenitalia abbia revocato il divieto del 1 ottobre: bandire tutti i cani di peso superiore a 6 chili. L’allarme sarebbe avvenuto perché su un treno a lunga percorrenza un viaggiatore è stato visitato da un esercito di zecche. Al di là delle indignazioni degli animalisti, mi chiedo cosa sia stato a far cambiare idea a Trenitalia.  Si sono fatti un esame di coscienza e hanno ammesso che le condizioni igieniche dei treni notturni sono così indegne da poter causare questo e altro? Il cane sarebbe stato soltanto il capro espiatorio per adombrare la sporcizia degli Espressi come il 1920 Trinacria (Palermo-Milano), su cui ho viaggiato qualche estate fa, vergognandomi di essere italiano. La replica del capotreno? “Non si scaldi. Nei paesi dell’Est sono messi peggio di noi”. Trenitalia dovrebbe inviare le sue ditte di pulizia a fare un giro nei treni locali di nazioni come Polonia o Bulgaria. In realtà quelli messi male siamo noi. I nostri amici a quattro zampe tornano a viaggiare al sicuro, ma l’allarme igiene sui treni resta e non può passare inosservato.